Più di un anno fa avevo pubblicato una breve serie di articoli sull’indice glicemico (li trovate all’inizio di questa raccolta di tag); in seguito avevo scritto riguardo al rapporto tra carico glicemico ed acne (qui), e dell’importanza del controllo insulinico nella sindrome da ovaio micropolicistico (qui).
Dai commenti e dalle mail che mi sono arrivate mi è però parso che molti di voi abbiano una bella confusione in testa, dunque -seppur a distanza di molto tempo- eccomi a fare un po’ di chiarezza.
Pubblico questo articolo anche in virtù dell’ultima tematica affrontata, ossia quella del dimagrimento: ritengo infatti che l’attenzione al carico glicemico ed insulinico di una dieta sia una delle basi perché la dieta stessa sia efficace.

Indice e carico glicemico
Prima di tutto, diamo le definizioni (paragrafo superfluo per chi già le conosce).
L’indice glicemico (IG) è un valore che si riferisce alla velocità con cui i carboidrati contenuti in un alimento si riversano nel sangue: a parità di carboidrati, ci sono alimenti che innalzano più velocemente la glicemia ed altri più lentamente. Consultando la tabella dell’indice glicemico potremmo ad esempio accorgerci che la zucca ha un valore molto elevato (75), quasi quanto lo zucchero puro (100). Questo significa che zucca e zucchero hanno lo stesso deleterio effetto sul corpo…? Fortunatamente no…
Infatti, è in seguito subentrato il valore di carico glicemico (CG) degli alimenti, che tiene conto anche del concreto quantitativo di carboidrati che si stanno ingerendo. Mi spiego meglio: in 100 g di zucca sono contenuti 3,5 g di carboidrati, mentre in 100 g di zucchero sono contenuto 100 g di carboidrati. L’IG non confronta 100 g di zucca e 100 g di zucchero, ma 100 g di carboidrati della zucca (ossia ben 3 kg di zucca!) con 100 g di carboidrati dello zucchero (pari esattamente a 100 g di zucchero). Vi sembra poca cosa? Grazie al carico glicemico siamo in grado di confrontare porzioni normali di alimenti: risulta infatti che il CG dello zucchero rimane pari a 100, mentre quello della zucca è solo di… 3! Questo valore aumenta leggermente quando la zucca viene cotta, perché i suoi zuccheri diventano più immediatamente disponibili, ma ai fini del controllo glicemico quest’aspetto è di secondaria importanza.
Lo stesso discorso fatto per la zucca vale anche per altri alimenti che hanno un IG elevato ma un basso CG: papaia, melone, barbabietola, carote, anguria, rapa, sedano rapa.

A complicare le cose gli studiosi hanno aggiunto anche l’indice insulinemico.

Il ruolo dell’insulina
Passo indietro. La glicemia è il valore di zuccheri nel sangue: aumenta quando si introducono carboidrati attraverso l’alimentazione, siano essi semplici o complessi. I valori di indice e carico glicemico si associano solo ad alimenti che contengono una seppur minima quantità di carboidrati: cereali, legumi, frutta, verdura, latticini (il lattosio è uno zucchero), dolci. A rigor di logica, alimenti che non contengo zuccheri come carne, pesce, uova e olio non dovrebbero avere alcuna influenza sulla glicemia, ed in effetti le cose stanno esattamente così: se mangiate una bistecca o del pesce al forno, la vostra glicemia non si alza.
Dal momento che un tempo sembrava che l’aumento di peso e le condizioni di salute risentissero degli sbalzi glicemici, la soluzione a tutti i mali sembrava essere la famigerata dieta dell’indice glicemico: mangiare pasti composti prevalentemente da proteine e carboidrati a basso IG come verdura e legumi ci avrebbe salvato dalla dilagante epidemia di obesità e patologie cardiache?
Peccato che poi -come tante volte nella storia della scienza dell’alimentazione- gli studiosi abbiano fatto una scoperta rivoluzionaria che avrebbe cambiato le carte in tavola:

Il problema non sono tanto i livelli della glicemia, quanto quelli dell’insulina.

L’insulina è un ormone secreto durante i pasti che mira ad abbassare la quantità di glucosio in circolo: per fare un paragone, è come se fosse un pompiere che spegne un incendio. Cattive abitudini alimentari e uno stile di vita sedentario portano a lungo andare a sviluppare insulino-resistenza: anche se abbiamo abbondante insulina in circolo, i tessuti del nostro corpo non sono più in grado di rispondere efficacemente ad essa. Per fare un altro paragone, è come se il telefono continuasse a squillare ma l’interessato fosse quasi completamente sordo.
Attraverso complicati meccanismi biochimici, l’insulino-resistenza porta a sviluppare le sindromi e le patologie più disparate: è alla base delle dislipidemie con elevati livelli di colesterolo LDL e trigliceridi (fattori predisponenti per patologie cardiovascolari), ipertensione, alterazione della coagulazione, obesità, diabete. Rimanendo in ambito “patologico ma non troppo”, l’insulino-resistenza si correla anche a sfoghi acneici post-adolescenziali (che risentono sia dell’eccesso che del difetto di carboidrati), ovaio micropolicistico, senso di stanchezza ed astenia, abbuffate compulsive, depressione.

L’insulina e la glicemia: come si correlano?
Ritorniamo da dove eravamo partiti.
Se il nostro corpo rispondesse esclusivamente a regole matematiche, l’insulina (il cui scopo -ricordo- è quello di abbassare la glicemia) dovrebbe essere secreta solo quando si mangiano carboidrati, che sono gli unici nutrienti in grado di innalzare la glicemia.

Dovrebbe essere: mangio carboidrati > aumenta la glicemia > secerno insulina > abbasso la glicemia. Invece non è così.

Gli studiosi hanno visto che anche alcuni aminoacidi (ad esempio l’arginina) e, in misura minore, alcuni acidi grassi sono in grado di stimolare la produzione di insulina.
Dunque, anche un pasto esclusivamente a base di proteine può determinare un innalzamento dell’insulina: è questo l’indice insulinemico degli alimenti.

Ora abbiamo un problema: nel tentativo di abbassare il carico glicemico della nostra alimentazione abbiamo fatto un pasto di proteine, che ha provocato l’immissione in circolo -ad esempio- di 100 unità di insulina. Normalmente quelle 100 unità avrebbero dovuto abbassare un pari quantitativo di zuccheri nel sangue: ma se il pasto non ha previsto carboidrati (ossia, zuccheri semplici o complessi), cosa farà quell’insulina?
Purtroppo, si andrà ad innescare un meccanismo perverso: in assenza di zuccheri alimentari, l’insulina andrà ad abbassare oltre la soglia minima il nostro livello di glicemia basale.

I livelli di glicemia e lo stato di energie
Il nostro corpo per funzionare bene ha bisogno di un livello minimo di glicemia (almeno 70): quando tale livello scende sotto la soglia cominceremo a sentirci stanchi, affaticati, mentalmente rallentati e con poche energie in circolo. Non dimentichiamo che il nostro cervello usa come unico carburante i carboidrati, ossia il glucosio in circolo: se la glicemia si abbassa drasticamente il cervello andrà in deficit di funzionalità!
La conseguenza più deleteria di questo circolo vizioso è che ci ritroveremo a mangiare la prima cosa che ci capita sotto gli occhi, spinti da una fame indicibile: il nostro cervello è in allerta, e vuole cibo.

La glicemia può scendere sotto soglia a causa di un digiuno prolungato (ipoglicemia) o per effetto dell’insulina (ipoglicemia reattiva). L’ipoglicemia reattiva può instaurassi per due motivi: insorge a distanza di circa 3 ore da un pasto eccessivamente ricco di carboidrati, oppure può essere conseguenza di un pasto troppo povero di carboidrati. La causa prima è la stessa: troppa insulina in circolo. Nel primo caso è stata secreta sullo stimolo di un eccesso di carboidrati (i carboidrati sono “l’incendio” e l’insulina è il “pompiere” che nella foga di lavorare bene ha determinato un allagamento); nel secondo caso l’insulina è stata secreta sullo stimolo delle proteine: è come un pompiere che attiva gli idranti anche quando non c’è fuoco (ossia, non ci sono carboidrati).

Questo è il motivo per cui quando si intraprende una dieta volta a controllare i livelli glicemici non si dovrebbe mai eliminare totalmente i carboidrati: non solo alla lunga sarebbe controproducente qualora il nostro obiettivo fosse la perdita di peso, ma non sarebbe nemmeno sana e ci predisporrebbe a diversi rischi per la salute. Infatti, l’eccesso di insulina in circolo andrebbe a determinare insulino-resistenza: pensate ai bambini, che quando sono minacciati di essere messi in castigo si comportano bene, ma quando alle minacce non fa seguito alcun provvedimento rimangono insensibili alle urla materne. Anche il nostro corpo è come un bimbo: livelli ottimali di insulina lo rendono efficiente, livelli troppo elevati perpetuati nel tempo lo rendono “sordo” e poco collaborativo.

Riassumendo…
In alcune condizioni è necessario o consigliabile intraprendere una dieta a basso carico glicemico, ossia che non causi oscillazioni violente della glicemia: i livelli di glucosio nel sangue si devono innalzare dolcemente, e diminuire con altrettanta armonia.

Lo sbaglio più grande che si può fare quando si intraprende una dieta a basso carico glicemico è quello di limitare eccessivamente i carboidrati in favore di pasti proteici: come abbiamo visto, in questo modo mettiamo una toppa ma apriamo una falla. Da una parte controlliamo strettamente la glicemia, dall’altra andiamo a creare una secrezione ingiustificata e deleteria di insulina.

L’ideale sarebbe dunque abbinare a ciascun pasto una piccola quota di carboidrati e la giusta quantità di proteine e grassi: i carboidrati forniranno quel giusto quantitativo di zuccheri sul quale l’insulina -secreta dallo stimolo di tutte e tre i nutrienti- potrà agire. Se il nostro bilanciamento sarà stato armonico, non causeremo picchi glicemici né ipoglicemia reattiva.

La scelta dei carboidrati e la loro quantità varia a seconda delle nostre necessità: nel prossimo articolo parlerò più nello specifico dell’argomento.

Riuscire a gestire la corretta quantità di proteine, carboidrati e grassi non è cosa da poco (d’altronde, per lavorare nel campo della nutrizione ci vuole una laurea…); in linea di massima, avremo ottenuto un bilanciamento armonico quando dopo un pasto non ci sentiremo intorpiditi e stanchi, e non avremo fastidiosi buchi allo stomaco a distanza di un paio d’ore.

Lo sapevi che…
I dolci, come ben sappiamo, sono le nostre maggiori fonti di zuccheri semplici. L’eccesso di zuccheri causa picchi glicemici, indesiderati soprattutto in chi deve dimagrire, soffre d’acne, si trascina sintomi da sindrome metabolica, ha ovaio policistico.
Alla luce di quanto abbiamo detto, può essere un ottimo suggerimento quello di scegliere sempre dolci con poco zucchero (meno è sempre meglio!) e una discreta quantità di proteine e grassi che modulino l’innalzamento di glicemia e la secrezione di insulina. Ad esempio, ai biscotti canestrelli possono essere preferibili i cantuccini, che vantano tra gli ingredienti anche le noci; anche se più calorica, una crostata di frutta secca ha un impatto glicemico inferiore rispetto alla crostata, così come un pezzo di cioccolato fondente rispetto alle caramelle.
Ovviamente questi suggerimenti non devono autorizzare ad un consumo smodato di dolci, ma a fare scelte ponderate in base alle proprie esigenze: una donna che soffre di ovaio micropolicistico o di acne e vuole concedersi un dolce sgarro farebbe meglio a valutare il bilanciamento di nutrienti del suo dolce, piuttosto che il mero apporto calorico…

E questo ragionamento non vale solo per la scelta del dolce, ça va sans dire