Mettersi a dieta non è una cosa semplice: se state leggendo questo articolo, quasi sicuramente lo sapete per esperienza vissuta in prima persona.
Parliamo anche solo di dieta dimagrante: più volte sul sito ho spiegato che non è sufficiente contare e restringere le calorie per poter avere un dimagrimento duraturo e sano, e più volte ho spiegato gli effetti collaterali del fai-da-te (non solo effetto yo-yo assicurato, ma anche rischio di squilibri ormonali, ipofertilità, calo della libido e diminuzione del lavoro tiroideo).
Se poi estendiamo il concetto di “dieta” a tutti quei protocolli alimentari terapeutici, il discorso si amplia enormemente: se soffri di una malattia autoimmune devi mangiare in un certo modo, se hai uno squilibrio ormonale in un altro; se soffri di pressione alta il cioccolato potrebbe essere tuo amico, ma se hai allergia al nichel no; se hai il colesterolo alto dovresti far attenzione ai carboidrati, ma se sei cronicamente stanco non li devi restringere.


Insomma, se volete una dieta su misura, il consiglio è quello di rivolgersi a chi studia questa materia: biologo nutrizionista, dietista o dietologo, con dovuti corsi di aggiornamento (perché, forse non lo sapete, ma la Scienza dell’Alimentazione è in continua evoluzione, dal momento che è una branca della Medicina piuttosto recente, con ancora tantissimi aspetti non sufficientemente indagati: quello che distingue le competenze tra i vari specialisti è proprio l’aggiornamento continuo).

Tuttavia…

Tuttavia se il vostro desiderio è “semplicemente” quello di dare una ripulita alla vostra alimentazione, senza pretese di consistenti perdite di peso o di funzione terapeutica della dieta, forse questo articolo può fare al caso vostro, soprattutto in prospettiva dei buoni propositi del 2017!
L’obiettivo è quello di avvicinarvi all’intuitive eating.

Per prima cosa, cosa si intende per “intuitive-eating”? Tradotto in italiano, stiamo parlando di “mangiare in modo intuitivo”.
E’ una capacità che tutti gli animali non domesticati hanno: avete mai visto un giaguaro obeso, un gorilla con la carie, un panda con carenza di ferro? I mammiferi nascono con la straordinaria capacità di sapersi autoregolare nell’assunzione di cibo, senza che nessuno gliel’abbia insegnato, e senza che questo significhi avere uno “schema” alimentare: possono passare due giorni digiunando e due giorni ipermangiando, in modo assolutamente randomico, eppure la loro salute -almeno per gli aspetti legati all’alimentazione- è preservata. Certo esistono differenze specie-specifiche: gli animali vegetariani non possono permettersi un digiuno prolungato (infatti gorilla e conigli passano il 90% del tempo rosicchiando), mentre i carnivori hanno una migliore flessibilità metabolica. Questo è intrinseco alla specie di appartenenza, e non è interessato dall’intuitive-eating.

La capacità di autoregolazione è propria anche dei cuccioli di uomo, e ne parlerò più approfonditamente quando scriverò un articolo riguardo all’alimentazione neonatale e allo svezzamento; i bambini lasciati liberi di scegliere cosa, quando e quanto mangiare sono perfettamente in grado di autoregolarsi, sebbene magari si corra il rischio che creino menu da far rabbrividire qualsiasi pediatra (due giorni di solo pollo, tre di sole mele, uno con latte e spaghetti…).
In realtà, quello che ho scritto non è propriamente corretto: la capacità di autoregolazione dell’uomo è parzialmente condizionata dalle scelte dei genitori; quando il bambino può scegliere tra alimenti “basici” (come carne, pesce, cereali, olio o frutta) e alimenti “industriali” (cioccolato, patatine, biscotti), inevitabilmente la scelta va verso gli alimenti più palatabili, ossia più appetitosi e soddisfacenti a livello gustativo (e cerebrale, emotivo). Ne risulta, piano piano, una progressiva perdita della capacità di autoregolazione, che poi raggiunge il suo culmine nell’adulto (quante volte mangiamo per noia, gola, convenzione sociale o tristezza, anziché per fame?). La stessa cosa succede negli animali domesticati: ad esempio, sapete bene che quando nutrite un cane con gli avanzi della cena di famiglia, il povero animale sarà costantemente alla ricerca di cibo e avrà probabilmente molti problemi intestinali nell’arco della sua vita.

Per l’uomo tornare ad un’alimentazione completamente intuitiva è quasi impossibile, per almeno quattro motivi:
– Anche volendo rinunciare a qualsiasi forma di zucchero e prodotto industriale, sono innumerevoli gli esempi di ricette casalinghe che utilizzando prodotti assolutamente “basici”, ma che, per via della loro combinazione, portano inevitabilmente lontano dalla capacità di autoregolarsi. Parliamo ad esempio dei piatti di pasta al ragù, dell’arrosto con patate, delle verdure gratinate al forno.
– A meno di avere una vita sociale pari a zero, anche il più morigerato di noi si troverà prima o poi a mangiare “per convenzione”, riaccendendo il desiderio di cibi saporiti: un aperitivo di laurea, la torta per un anniversario di matrimonio, o semplicemente il pranzo della domenica in famiglia. In soggetti predisposti, maggiore è la privazione di alcuni sapori, maggiore diventa il rischio di scatenare compulsione quando ci si ritrova a doverli affrontare: il gioco non vale la candela.
– Abbiamo troppi pregiudizi alimentari, dettati da anni di pubblicità e da letture più o meno scientifiche che ci siamo trovati a fare nel corso della vita: uova sì o uova no? Proteine animali sì o no? Frutta secca sì o no? Persino, verdura in abbondanza o con parsimonia? Le nostre scelte sono sempre e comunque orientate da mediazioni esterne al nostro istinto.
– Se ci fermiamo a pensare a cosa sia davvero “naturale” per l’alimentazione umana, ci troviamo in grossa difficoltà: esistono diverse tribù che vivono in uno stato di natura, come ad esempio i Masai, gli Inuit o gli Aborigeni australiani; ciascuna realtà tribale ha abitudini alimentari quali-quantitativamente diverse: a differenza dei gorilla e dei giaguari, noi non possiamo avere una lista univoca di alimenti “per la nostra specie”. Alcune tribù primitive hanno una dieta basata sulla caccia e su qualche radice selvatica; altre hanno un’alimentazione prettamente vegetariana, che tuttavia include insetti e piccoli roditori; altre ancora non consumano alcun alimento vegetale perché vivono in climi troppo rigidi (come gli Inuit). 
Di fatto, la naturalità della nostra alimentazione, e di conseguenza anche le scelte intuitive, dipendono dal contesto in cui viviamo: per un italiano può essere “intuitivo” orientarsi su pomodori, pasta e formaggi. Per un cinese è “intuitivo” preferire daikon, riso e soia fermentata.

Per questi motivi l’approccio all’intuitive-eating non può prescindere la nozione di alcune regole d’oro con le quali districarsi nei meandri dell’alimentazione; via via che passano le settimane è possibile fare deroghe a queste regole, testando su sé stessi quelle strategie alimentari che funzionano meglio, e avendo la scaltrezza di fare un passo indietro qualora i cambiamenti apportati si siano rivelati più nocivi che positivi.
Ad esempio, una regola d’oro potrebbe essere quella di iniziare a organizzare i propri pasti secondo il Piatto Sano (qui trovate l’approfondimento), ossia prevedendo di consumare a ciascun pasto una quota di carboidrati, una di proteine e una di grassi. Dopo qualche tempo si sarà già in grado di individuare quelle combinazioni che, su sé stessi, funzionano meglio: cereali in chicchi piuttosto che patate, oppure pesce al posto dei legumi. E già queste rivelazioni iniziano ad arricchire il nostro bagaglio di autopercezione e autoanalisi. Dopo qualche altro tempo si può provare ad affinare ulteriormente l’alimentazione: cosa succede se a pranzo mangio sempre solo cereali, e a cena sempre solo secondi piatti? Magari mi accorgo che rendo di più nello studio pomeridiano o che, viceversa, accuso più sonnolenza durante la giornata. 
Insomma, si parte da una “regola” che generalmente è adeguata al 75% della popolazione e la si affina, modellandola sui propri bisogni. 
Quando si capisce se le modifiche apportate stanno avendo successo oppure no? Quando, a parità di altri fattori (sport praticato, stress lavorativo, tono dell’umore…), il nostro livello di benessere sale o scende.

Le regole d’oro per cominciare
Come vi accennavo, questo articolo vuole semplicemente essere una guida per muovere i primi passi verso l’intuitive-eating e verso l’autopercezione dei propri bisogni. Anziché stravolgere completamente la nostra alimentazione allo scoccare della mezzanotte tra il 31 dicembre e il 1 gennaio (perché, si sa, “a gennaio mangio sano”), non vale forse la pena di affrontare un piccolo cambiamento alla volta, magari uno a settimana? In questo modo avremo il vantaggio di valutare con gradualità i cambiamenti sul nostro corpo, di apprezzarli, e di forgiarli giorno per giorno.

Ho scritto che questi consigli sono adatti a chi voglia mangiare in modo sano, senza pretesa di perdere peso; in realtà, una delle piacevoli conseguenze dei cambiamenti che vado a proporre è proprio la possibilità di vedere il peso scendere (qualora ce ne sia davvero da dover perdere!). In fondo, quante volte ci siamo approcciati a diete drastiche, le abbiamo seguite per due o tre settimane, e poi pian piano siamo tornati alle vecchie abitudini e agli sgarri, con la promessa del “da lunedì ricomincio”? Forse è più saggio andarci piano, cambiando di poco per volta, ma per sempre. E soprattutto, focalizzandoci su un fine diverso: non quello di dimagrire, ma quello di ascoltare il nostro corpo, le sue reazioni al cambiamento. Nutrirlo nel profondo, non privarlo del cibo. Potremmo ritrovarci in primavera a trovare stucchevoli le uova di Pasqua commerciali, proprio noi, che al supermercato facevamo incetta di Galak e ovetti Kinder!

Pronti per partire? Tra settimana prossima e quella successiva a Natale pubblico le mie proposte, arricchite di spiegazioni e dettagli. 
Saranno divise in tre “blocchi”: le prime riguardano il cambiamento di abitudini generale. Il blocco centrale è mirato a migliorare i singoli pasti. La coda dei consigli è per l’organizzazione in cucina.

A presto!

Salva