Negli ultimi mesi, sul mio profilo Instagram, sto affrontando spesso la tematica relativa alla percezione di fame e sazietà: si tratta di una competenza che dovrebbe essere alla portata di tutti, poiché rientra nella sfera di un bisogno primario (il nutrimento), eppure così non è.
I problemi sono essenzialmente due:
1. Da un lato esistono fattori esterni, relativi alla società della dieta nella quale siamo immersi, che offuscano la nostra capacità di sentire la fame e di apprezzare la sazietà: mi riferisco a anni di diete di restrizione, effetto yo-yo del peso e dogmatismi della diet culture.
2. Sull’altro versante, altri fattori determinano dei cambiamenti metabolici e ormonali (fortunatamente, del tutto reversibili) che modificano il modo in cui fame e sazietà si presentano; in questo caso mi riferisco di nuovo a diete di restrizione e effetto del dieting, ma anche abbuffate, uso di lassativi o diuretici, utilizzo di alcuni farmaci “dimagranti” , soppressori della fame o amplificanti della sazietà.

Impossessarsi nuovamente della capacità primordiale ed istintiva di percepire fame e sazietà è un diritto che tutti noi dovremmo avere per vivere un rapporto sereno con il cibo, oltre che un requisito indispensabile per poter fare scelte alimentari spontanee, coerenti e autodeterminate.

In questo articolo mi propongo di spiegarvi che cosa influenza fame e sazietà, sperando di darvi il quadro più esaustivo possibile.

La fame
Sul perché la fame esista, penso che siamo tutti d’accordo: si tratta di un meccanismo con il quale il nostro corpo di spinge a cercare cibo e a nutrirci, soddisfacendo il nostro fabbisogno e quindi di fatto permettendoci di (soprav)vivere.
La fame è un istinto primario. In un mondo ideale ed idilliaco sarebbe tutto molto semplice: ho fame quindi mangio, smetto di avere fame quindi termino di mangiare. Nel momento in cui ho fame ascolto il mio corpo perché lui sa quello che è meglio per me, e quindi sono perfettamente in grado di assumere tutti i nutrienti di cui ho bisogno nel giusto equilibrio.

Ecco, capiamo bene che non è proprio così…
Prima di tutto c’è da considerare che esistono innumerevoli fattori esterni che non ci permettono di concentrarci veramente sul nostro appetito. Ve ne elenco solo due, i più noti:
– Gli orari dei pasti: a volte abbiamo molta fame ben prima dell’orario canonico del pranzo, eppure non mangiamo perché “non è ancora ora” o perché stiamo lavorando, e dobbiamo necessariamente aspettare la pausa pranzo.
– Le porzioni standard comunemente conosciute: avete presente ad esempio i famosi 70-80 g di pasta o cereali a pranzo? Ecco, questa porzione è scritta ovunque si voglia fare educazione alimentare, a qualsiasi livello: ne siamo talmente tampinati che ci siamo convinti che quella porzione sia oggettivamente quella in grado di saziarci. Non è così: ci sono persone che si saziano con una porzione più abbondante, altri con meno; ci sono giorni in cui ci è sufficiente, altri no: dipende da tanti, troppi fattori per poterli enunciare tutti. Sotto sotto lo sappiamo, però quante volte ci è capitato, mezz’ora dopo un pasto e con lo stomaco che già borbottava, di dire “Ma *non posso* avere già fame, ho mangiato il giusto!”.
Questi e altri fattori contribuiscono ad offuscare la nostra capacità di sentire la fame. Aggiungo inoltre che le diete restrittive portano, mentre le si segue, a una negazione della fame: “non posso avere fame, perché altrimenti non dimagrisco!”; durante le diete restrittive in realtà si innescano meccanismi metabolici tali per cui la fame aumenta, e aumenta anche parecchio: la mente non vuole sentire questa fame, la minimizza, eppure lei è lì – e se non si fa sentire subito, lo farà comunque prima o poi (perché, ribadisco, è un istinto di sopravvivenza legato ad una parte del cervello che non ha filtri emotivi o sociali: si può tacitare solo per un po’, poi prenderà il sopravvento).

Quindi, la fame dovrebbe essere istintiva, ma spesso siamo confusi, e non ci permettiamo di percepirla nel modo adeguato anche quando non stiamo seguendo diete restrittive.
Ma c’è un altro problema: anche se sentiamo la fame, non sempre riusciamo a risponderle nel modo più opportuno.
Se si tratta di fame fisica (ossia, derivante dal dover soddisfare il nostro fabbisogno energetico), potremmo non soddisfarla adeguatamente perché abbiamo perso (inevitabilmente) durante l’infanzia la capacità di autoregolarci. Persone particolarmente sensibili, o sintonizzate sul proprio corpo, e soprattutto che non abbiano mai fatto diete e non siano condizionate dalla diet-culture (insomma, forse il mio compagno e qualche altra mosca bianca in Italia), riescono a percepire meglio di altre *di cosa* hanno bisogno: sentono quando è bene orientarsi verso scelte più proteiche o più glucidiche, quando hanno più bisogno di grassi o quando necessitano di pasti molto velocemente digeribili.
Nella stragrande maggioranza dei casi, la scelta comportamentale in risposta alla fame è condizionata da:
Disponibilità di cibo (se sono nella foresta e ho a disposizione solo cacciagione e frutti di bosco, posso avere tutta la fame “di carboidrati” di questo mondo, ma mi devo arrangiare; se ho finito un turno di notte e tutto quello che offre il bar è un toast, la mia “fame di proteine” va a farsi benedire; se l’unico negozio aperto è una pasticceria, il mio istinto a mangiare un piatto completo e bilanciato va naufragando…).
Condizionamento sociale (se il mio corpo necessiterebbe di carboidrati ma sono inserito in una società carbofobica, è molto probabile che nel reparto del supermercato io cerchi gli alimenti più proteici; se sono diversi giorni che mangio poche proteine ma sono particolarmente invogliato dal marketing dei nuovi cereali glassati al triplo cioccolato, passerà un altro giorno senza fonti proteiche di alta qualità…).

E se invece non si tratta di fame fisica?
Se si tratta di una fame emotiva? Se si tratta di una fame affettiva? Se si tratta di una fame degli occhi?
Esistono diverse tipologie di fame (tutte puntualmente spiegate nei siti che trattano intuitive eating), e un percorso completo di riabilitazione nutrizionale dovrebbe permettere alla persona di riconoscerle tutte, per poter di volta in volta fare le scelte più opportune.

Insomma, la situazione relativa alla fame è abbastanza complessa, e non esauribile in un unico articolo.
Oggi mi focalizzerei più che altro a farvi capire quali sono i fattori che determinano la fame.
Sono due gli equilibri in gioco:
1) Omeostasi
2) Fattore edonico

Omeostasi. È la determinante più importante della fame, e il perché è abbastanza intuitivo: esistono diversi centri endocrini del nostro corpo che ‘registrano’ la carenza di energie, o l’aumento del fabbisogno, e che, per farla breve, fanno passare il messaggio “ehi corpo, devi nutrirti, orienta il tuo comportamento ad assumere calorie!”.
In particolare ad essere coinvolti sono il nucleo arcuato cerebrale, lo stomaco e l’intestino.
Alcuni situazioni nella quale sentiamo fame fisica sono:
Quando passano troppe ore tra un pasto e l’altro. Attenzione, la società della dieta ci indurrebbe a credere che “debbano” passare “almeno” tre ore tra i pasti per sentire fame: e questo è sbagliatissimo! Quante volte capita di sentire fame già dopo un’oretta o due da un pasto, magari anche percepito come abbondante? In funzione della credenza comune tenderemmo a negare quella fame, in realtà sarebbe da accogliere: prima di tutto per capire se, magari, il pasto precedente sia stato nutrizionalmente inadeguato e magari si possa fare qualcosa per migliorarlo. E poi perché esistono molte situazioni nelle quali la fame può tranquillamente essere precoce: ad esempio, se veniamo da un lungo periodo di restrizione calorica è normale che la fame sia piuttosto persistente durante la nostra giornata.
Quando il nostro dispendio calorico aumenta, ad esempio se lavoriamo in un ambiente a basse temperature, se facciamo sport all’aperto in inverno, se abbiamo avuto una giornata molto più dinamica del solito. [Attenzione sulla questione sport: l’attività fisica indubbiamente aumenta l’appetito, ma certi tipi di sport, nell’immediato post-workout, la sopprimono, quindi è bene avere qualche informazione in più per non rischiare di sottoalimentarsi].
Quando dormiamo meno del solito, o con una qualità del sonno inferiore.
– A seguito di fattori ormonali, ad esempio prima del ciclo mestruale, in periodi di forte stress, o a seguito di terapie protratte con cortisone.
– In periodi di restrizione alimentare, siano essi fisiologici (ad esempio durante l’influenza o la gastroenterite) o forzati (diete di dimagrimento – e qui si apre tutto un discorso che magari riprendo in un articolo successivo).

Fattore edonico. Forse lo possiamo comprendere a livello intuitivo, ma in realtà è un dato scientifico, in quanto entrano in gioco due ormoni (dopamina e serotonina): maggiore è la soddisfazione del pasto (e dell’alimentazione nel suo complesso), maggiore è l’appagamento dell’appetito. Abbiamo più fame quando siamo poco appagati da quello che mangiamo: ci ritorno a breve, parlando della sazietà.

La sazietà
La sazietà a mio parere è un po’ più semplice da comprendere della fame a livello teorico, ma allo stesso tempo a livello pratico potrebbe essere più difficile capire quando fermarsi dal mangiare perché si è “sazi il giusto”.
La sazietà dipende essenzialmente da quattro fattori:
1. Volume di cibo
2. Densità calorica
3. Masticazione
4. Appagamento

Volume. Quando mangiamo cose che riempiono il volume dello stomaco iniziamo a sentirci sazi. È per questo motivo che nelle diete di dimagrimento si consiglia di mangiare “tanta fibra”: tantissima verdura, alimenti solo integrali, legumi. Siamo talmente convinti che senza volume non ci sia sazietà che, venendo da anni di diete ipocaloriche, temiamo pasti che non prevedano verdura: “non mi sazierò mai, sono abituato al triplo di questo!”. Ecco, non è così e lo vedremo a breve: senza contare che la troppa fibra può presentare effetti avversi, primo tra tutti un estremo gonfiore, in secondo luogo la fibra permette una sazietà solo nel breve termine (un’oretta, più o meno), non di più.
Tuttavia, a volte si può effettivamente sfruttare il volume della fibra a proprio vantaggio: ad esempio se sono le 18 e abbiamo parecchia fame, ma la nostra cena a cinque portate con i colleghi non inizierà prima delle 20, perché non optare per uno spuntino a base di frutta e/o verdura? Ci permetterebbe di darci una breve sazietà, senza appesantirci e permettendoci poi di godere della cena.

Densità calorica. Alimenti densamente calorici, anche se poco voluminosi, permettono di avere una sazietà meno immediata rispetto alla fibra, ma più duratura nel tempo: è per questo motivo che i grassi sono così importanti nella nostra sazietà. Olio extravergine, burro di qualità, frutta secca, avocado… Alimenti spesso temuti nelle diete di dimagrimento, ma senza i quali i nostri pasti non possono essere sazianti in quella modalità veramente “piena” a cui vorremmo ambire.
Un buon modo per calibrare i pasti può essere quello di unire la sazietà da volume a quella da densità calorica, nel giusto equilibrio: insalata di radicchio con olio e semi di zucca, due uova al tegamino con burro, pane tostato e mela finale.

Masticazione. Avete presente quando mangiate adeguatamente, ma talmente in fretta da alzarvi dal tavolo senza ancora sentirvi sazi? Quello che vi è mancato (oltre a un po’ di tranquillità) è la masticazione: l’indicazione di iniziare il pasto con un po’ di verdura cruda è ottima per poter accelerare la trasmissione del segnale di sazietà al cervello, così come a volte può funzionare uno spuntino poco voluminoso ma impegnativo per la masticazione (ad esempio frutta secca, da deglutire quando il composto sarà morbido e omogeneo in bocca).

Appagamento. Torniamo di nuovo sull’appagamento… Su questo fattore io insisto moltissimo durante i percorsi con le pazienti in ambulatorio: se manca la soddisfazione, non siamo “veramente” sazi. Provare piacere da quello che mangiamo non deve essere percepito come qualcosa di sbagliato, di amorale, che deve essere punito, come invece la diet culture ci spingerebbe a pensare; la soddisfazione è positiva (e, più in generale, l’appagamento e la gratificazione in tutti i campi dovrebbero essere viste come qualcosa di simile ad un bisogno primario…).
Possiamo mangiare in modo nutrizionalmente perfetto, senza privazioni caloriche: ma se non proviamo gratificazione, la sazietà non è completa. Questa gratificazione può provenire da diversi stimoli: il pasto stesso (ossia, mangiare qualcosa di buono!), la compagnia con la quale condividiamo il pasto (amici, famiglia, parenti, partner), la situazione nella quale ci troviamo (una vacanza, ad esempio).
Al contempo, in certi percorsi che seguo la ricerca della soddisfazione dal cibo diventa troppo enfatizzata, ossessiva: non è necessario trovare soddisfazione in ogni singolo pasto. A volte è impossibile, magari perché abbiamo poco tempo per cucinare o per mangiare, perché ci sono i figli che ci distraggono, perché siamo in ansia per un lavoro e mangiamo di fretta: quello che è importante è che l’alimentazione sia nel suo complesso soddisfacente, appagante, gratificante.

Conoscere da cosa dipendano fame e sazietà non è di per sé sufficiente a comprenderle davvero, a sentirle su di sé: ma sono le prime informazioni utili per orientarsi in quella dimensione che, forse, abbiamo a lungo trascurato. Mi riferisco alle sensazioni del nostro corpo, a quello che lui cerca di dirci, e che spesso, troppo spesso, incontra una mente sorda ai suoi bisogni, perché troppo condizionata dal dogmatismo alimentare.

Tornerò sull’argomento, promesso, ma per ora penso di aver messo abbastanza carne al fuoco!