Vi faccio una domanda a bruciapelo.
Il peso corporeo è un parametro di salute?

Probabilmente molti di voi hanno risposto “sì”, giusto?
Certo che è un parametro di salute: un peso troppo elevato corrisponde ad un aumentato rischio per la salute cardiometabolica. Di conseguenza, se una persona pesa troppo, è inevitabile che incorra in problemi cardiaci, ma non solo: l’elevato peso si correla anche ad un peggioramento della fitness respiratoria, aumentati tempi di recupero dopo l’influenza, minor benessere psicologico e sessuale, aumentato rischio di fibromialgia e infertilità, persino aumentato rischio di carie!
Insomma, essere grassi è decisamente la peggior scelta che possiate fare per vivere a lungo e in salute.

Giusto?!

Uhm, ehm, pensiamoci.

Poniamo che il peso corporeo sia effettivamente un parametro che rispecchia la salute di una persona: in che modo è possibile definire “il limite”? Ossia, mi spiego meglio, come è possibile determinare da che peso corporeo un corpo non è più “perfettamente in salute” ma diventa “a rischio di patologia”?
Un tempo si utilizzava il fastidioso calcolo del BMI: altezza / (peso)^2. A seconda del risultato, si rapportava a diverse categorie (sottopeso, normopeso, sovrappeso, obeso): il minor rischio per la salute cadeva per un BMI compreso tra 20 e 25, corrispondente alla fascia del cosiddetto normopeso.
Il calcolo del BMI, d’altronde, è nato come strumento usato dalle compagnie di assicurazioni americane: era stato visto che se una persona pesava “troppo” o “troppo poco” era a maggior rischio di mortalità. Quindi, si stipulavano assicurazioni con prezzi diversi a seconda (anche) del peso della persona (per farvi capire: se fate 5 incidenti l’anno la vostra assicurazione auto vi costa di più, giusto? Vi si ritiene essere ‘a maggior rischio’: idem per il calcolo del BMI).

Il problema del calcolo del BMI è che si tratta di uno strumento che risente di innumerevoli difetti: non è valido per persone muscolose, tanto per cominciare, né per i bambini; non è indicato per persone molto alte, o molto basse; non va bene per chi è geneticamente magro (… e chi è geneticamente grasso, invece? Esiste o non esiste la grassezza costituzionale? No? Ne siete sicuri? Perché la nostra società ammette e ammira la magrezza costituzionale, ma non il suo opposto?).
Inoltre, esistono categorie di persone per le quali un BMI superiore a 25 è tutt’altro che negativo: ad esempio le donne dopo la menopausa con un BMI di 26-27 sono protette dal perdere troppo velocemente densità ossea; e uomini e donne dopo i 65-70 anni con un BMI “superiore” sono protetti dal rischio di malnutrizione e cachessia.

Insomma, il BMI non è uno strumento che permetta efficacemente di individuare quando il peso corporeo di una persona sia un fattore di rischio per la salute.
(Eppure ancora un medico/nutrizionista su 3 lo usa in anamnesi: perché?).

Cosa si potrebbe usare, come discrimine?
Esistono strumenti molto raffinati che analizzano la composizione corporea: è noto che il grasso che si localizza a livello viscerale (“di pancia”) rappresenta un fattore di rischio molto più significativo rispetto al grasso sottocutaneo (cosce, glutei, braccia).
Si potrebbe usare questo parametro, giusto? Beh, in un certo senso sì: però non stiamo più parlando di peso corporeo, ma di localizzazione (nemmeno di quantità, proprio di localizzazione) del tessuto adiposo.

Quindi il peso non è un parametro di salute?
Mh: diventa complicato.

Quello che dovremmo riconoscere è che il peso, da solo, non può essere lo specchio della salute di una persona – e invece troppo spesso lo diventa.

Nel momento in cui isoliamo il peso corporeo da “tutto il resto” e lo ergiamo a parametro di salute, stiamo attuando né più né meno una forma di discriminazione: dividiamo i “sani” dagli “a rischio/non sani” in funzione di una variabile fisica.
Si chiama grassofobia: un termine che no, non va tradotto letteralmente (“paura del grasso”), ma che appunto individua una forma di discriminazione (medica, sociale, psicologica) e di stigmatizzazione rispetto a chi “pesa più del dovuto”, dove il “dovuto” è un limite del tutto aleatorio, determinato più dal diktat estetico imperante che non da aspetti oggettivamente dimostrabili.
Nel momento in cui il peso corporeo diventa un parametro di salute, c’è un confine tra “giusto” e “sbagliato” che va a categorizzare le persone, legittimando -per altro- un certo tipo di paternalismo medico-sanitario che ha la pretesa di risolvere problemi altrui attraverso il dimagrimento.

Il peso corporeo non può essere un parametro oggettivo legato alla condizione di salute di una persona semplicemente perché una sua modifica non è esente da una sequela di effetti collaterali fisici, psicologici e sociali con un potenziale negativo sulla salute stessa assai peggiore del peso in sé.
Inoltre, come avevo scritto in questo articolo, un percorso focalizzato sulla performance del dimagrimento ha 4 possibilità su 5 di fallire – anzi peggio, di portare la persona che inizialmente stava dimagrendo a rimettere tutto il peso perso e accumularne anche di più (quindi, di fatto, ad avere una breve parentesi di miglioramento della condizione fisica durante il dimagrimento per poi approdare a una condizione peggiore di quella iniziale).

Il peso corporeo non è un problema, e il dimagrimento non è la soluzione.
Nel momento in cui parliamo di legame tra alimentazione e salute di una persona dobbiamo, appunto, focalizzarci su tutto ciò che orbita intorno a queste due parole: alimentazione e salute.
– Come è strutturata la giornata alimentare della persona?
– Sono raggiunti i fabbisogni quotidiani di vitamine e micronutrienti?
– Come sono la digestione, il transito intestinale e la performance cognitiva?
– Ci sono sintomi fisici riconducibili ad un’alimentazione non equilibrata?
– La persona che si rivolge al professionista per migliorare la propria dieta, ha le conoscenze e gli strumenti necessari per comprendere quello che il professionista sta proponendo?
– E cosa dire, invece, delle sue risorse finanziarie – e di conseguenza delle scelte che può compiere al supermercato, mercato o discount?
– Quale è il rapporto emotivo che lega la persona al cibo? Presenta tratti di disfunzionalità?
– La persona assume farmaci o integratori che possano interferire con l’assorbimento di nutrienti o con il peso corporeo?

Il percorso di salute che passa attraverso l’alimentazione dovrebbe avere l’obiettivo di sondare tutti i punti in esame, migliorando gli aspetti su cui sia possibile lavorare al fine di avere una ripercussione positiva per la vita della persona; tale miglioramento dovrebbe sempre essere compatibile alle possibilità economiche della persona, compatibile ai suoi valori e alle sue priorità, e non dovrebbe mai essere un fattore di rischio per un peggioramento sul lungo termine della sua salute psicofisica.
In tutto questo, si deve sempre considerare che la modifica del peso corporeo non è un traguardo, non è un parametro di salute e non è nemmeno un aspetto che possa rispecchiare il valore della persona che è dimagrita.