“Io sono molto golosa, ma mangio dolci solo se sono fatti in casa”
oppure
“Non do mai merendine a mio figlio; lui mangia solo torte e biscotti che faccio io”
oppure
“Io faccio colazione con tè e biscotti, ma i biscotti li preparo io!”

Vi riconoscete in una di queste affermazioni, o simili? Siete convinti che “se è fatto in casa, non può far male”?
Ecco, vi consiglio di trovare due minuti per leggere questo articolo.

Perché amiamo il dolce?
L’uomo è predisposto geneticamente ad una predilezione al sapore dolce
: alla dolcezza sono associati alimenti altamente calorici, con la caratteristica di poter fornire energie di rapido utilizzo, ma anche di facile stoccaggio in forma di riserva adiposa (= grasso).
In uno stato di Natura pre-civiltà, il dolce della frutta selvatica, delle bacche e del miele diventava un segnale cerebrale tale da scatenare nell’uomo primitivo il desiderio di nutrirsi abbondantemente di quelle materie prime, in modo da immagazzinare grasso utile come fonte energetica nel momento in cui il cibo avrebbe scarseggiato. Insomma, “pancia mia fatti capanna, che non so quando ricapiterà un tal banchetto”.
In un contesto di scarsità di cibo le calorie derivate da cibi dolci servivano a creare un pannicolo adiposo indispensabile per affrontare i periodi di magra. Tuttavia, nella civiltà attuale la capacità degli zuccheri di accrescere il grasso corporeo è decisamente uno svantaggio. Nonostante siano passati centinaia di anni da quando la razza umana rischiava di estinguersi nei periodi di carestia, la predilezione ancestrale per il dolce è rimasta inscritta nel nostro DNA: il sapore dolce crea godimento e benessere, ma anche assuefazione e picchi insulinemici.
Più mangiamo dolce, più ne vogliamo: siamo ingordi di dolce. Spesso capita di riuscire ad astenerci dai dolci anche per un lungo periodo, ma di rischiare vere e proprie abbuffate non appena si assaggia un singolo biscotto o una mezza porzione di tiramisù.

Quando mangiamo un dolce lo associamo al concetto di “sgarro”, di “extra”, di “golosità non lecita” o di “eccezione rispetto a un’alimentazione bene o male bilanciata”. Quindi, lo sappiamo: i dolci non sono propriamente alimenti salutari.
Eppure, nell’immaginario comune ci sono due situazioni in cui il dolce diventa qualcosa di lecito, di normale e quasi quasi persino di salutare: se è fatto in casa, e se è consumato a colazione.

I dolci a colazione
Durante l’anamnesi alimentare della prima visita mi capita spesso di chiedere ai pazienti se consumino dolci, e di ricevere risposte negative. Poi, chiedendo cosa mangino a colazione, sovente ricevo risposte come “una fetta di torta fatta in casa/biscotti/una brioche”: e questi non sono forse dolci? Non contengono forse zucchero?
Nell’immaginario comune i dolci consumati a colazione, semplicemente, non sono da considerarsi un vero e proprio dolce: vuoi per la diceria che “se mangi zuccheri al mattino poi hai tutta la giornata per bruciarli”, vuoi perché è un’abitudine talmente radicata che non ci si interroga su quanto sia giusta, vuoi perché “…e altrimenti cosa mangio?!”.

In questo articolo avevo spiegato perché è bene aprirsi a diversi tipi di colazione, che non siano la classica all’italiana, ma che contemplino l’introduzione di proteine e grassi, oltre che di carboidrati complessi. Fare una colazione abbondante e saziante è importante per carburare bene fin da prima mattina, per avere concentrazione e per mantenere a lungo la sazietà.
Una colazione composta praticamente di soli zuccheri e carboidrati a rapido rilascio (marmellata, fette biscottate, brioche, torte, biscotti…) è deleteria per il corpo e per la mente: piuttosto che ridurvi a farla in questo modo, meglio non fare proprio colazione, credetemi.

Che cosa succede quando, dopo il digiuno notturno, decidiamo di introdurre come prima cosa alimenti ricchi di zuccheri, con un carico glicemico notevolmente alto? Il nostro corpo, in risposta, produce abbondantemente insulina; quest’ormone ha il compito di abbassare gli zuccheri nel sangue, che vi si sono riversati proprio in conseguenza del pasto: tuttavia, quando ci sono *troppi* zuccheri si produce *troppa* insulina, e come risultato si ha un abbassamento repentino ed eccessivamente consistente degli zuccheri stessi. Questo non è un bene: quando il titolo glicemico è così basso il corpo lavora male, e il cervello -che è furbo- fa in modo che il livello torni a salire in modo accettabile. In che modo ottiene questo obiettivo? Nell’unico possibile: facendovi venire fame, cosicché nuovi zuccheri vengano messi in circolo e la glicemia risalga.
In questo grafico potete vedere quello che accade a livello di insulina ogni volta che mangiate qualcosa ricco di carboidrati raffinati e/o di zuccheri: è un continuo su e giù, come sulle montagne russe.

Alimentazione in equilibrio - Dolci basso carico glicemico

Le conseguenze di continui picchi insulinemici, perpetrate giorno dopo giorno, sono nefaste per la nostra salute: oltre ad avere perennemente fame, saremo anche stanchi e appannati, con poche energie; sul lungo termine andremo a predisporre il nostro organismo ad accumulare grasso, e/o a sindrome metabolica, e/o diabete. Numerose ricerche recenti hanno inoltre associato i picchi insulinemici a predisposizione per patologie neurodegenerative (come Alzheimer e Parkinson) e a infiammazione organica (infatti le diete terapeutiche per patologie che si associano a infiammazione, come RCU, endometriosi, acne, prevedono una netta riduzione del consumo di carboidrati e zuccheri).

Quando, dopo una colazione ricca di zuccheri, cominceremo ad avvertire un languorino nello stomaco, ci troveremo di fronte a tre possibilità:
1. Se il nostro spuntino sarà equilibrato, magari con un frutto abbinato a frutta secca o un pezzo di pane nero con del Parmigiano o del cioccolato molto fondente (quindi, abbinando carboidrati a grassi o proteine), il secondo picco di insulina sarà meno invasivo del primo: manterremo più a lungo sazietà e lucidità.
2. Se invece, come spesso accade, ci buttiamo nuovamente su zuccheri e carboidrati sfavorevoli (merendine, snack da macchinetta, caffè zuccherato…) ecco che avremo un secondo picco insulinico elevato, che innesca un pericoloso circolo vizioso (di nuovo rapido appetito, di nuovo abuso di alimenti inadeguati, in un su-e-giù continuo).
3. …e se non rispondiamo allo stimolo della fame, evitando di fare lo spuntino? Il corpo usa una modalità di emergenza per risollevare la glicemia: utilizza le proteine corporee per trasformarle in zucchero (una reazione detta gluconeogenesi), e avere così combustibile da utilizzare come fonte energetica. La situazione, alla lunga, comporta alcuni problemi: stanchezza cronica, difficoltà di concentrazione, difficoltà a dimagrire, rallentamento del metabolismo.

“Ma come, se resisto alla fame il mio corpo non brucia grassi?!”: purtroppo no, o meglio: non quando l’organismo si trova già in una condizione di ipoglicemia.

Per semplificare quello che accade: il corpo ha necessità di mantenere livelli glicemici a 70-80 mg/dL, poiché in tale range tutti gli organi funzionano al meglio, in particolare il cervello. Quando la glicemia scende al di sotto di questa soglia in risposta a un picco glicemico (= abbiamo mangiato troppi carboidrati e zuccheri e abbiamo mandato la glicemia sulle montagne russe: prima su su su, e poi giù a picco) il nostro corpo non è più in grado di attingere ai grassi come risorsa energetica. Ha bisogno di ristabilire al più presto valori glicemici normali, e per farlo usa le proteine del nostro corpo: è un passaggio più breve rispetto all’utilizzo dei grassi e, trovandosi in una situazione di emergenza, cerca di ottimizzare i tempi.
Ovviamente anche i grassi possono fare da combustibile, tuttavia il corpo è in grado di utilizzarli solo in condizioni di “calma insulinica“: ossia quando non vi siano sconvolgimenti nel livello di zuccheri nel sangue. In definitiva, dimagriamo solo quando siamo ben nutriti: quando non consumiamo zuccheri in eccesso, provvedendo altresì a fornire al nostro organismo tutti i micro e macronutrienti indispensabili al corretto funzionamento di organi e tessuti.
D’altronde, è sempre vero il paragone con la benzina e l’automobile: siamo più disposti a partire per un lungo viaggio quando il serbatoio è in riserva, o quando è pieno?

Ma stavamo parlando dei dolci a colazione…
Tutta questa lunga spiegazione era volta a farvi capire che introdurre zuccheri e dolci a colazione è assolutamente inutile e controproducente sia a livello di peso corporeo, sia (e soprattutto) in termini di concentrazione e attenzione: altro che “ho tutta la giornata per smaltirli”!

Dolci fatti in casa
Avere tempo per cucinare è, al giorno d’oggi, cosa ammirevole e rara: presi dalla frenesia di lavoro-figli-studio-palestra-spesa-traffico et cetera, chi ha più tempo per mettersi a cucinare manicaretti? Quando si ha una mezz’ora da passare in cucina, noi donne tendiamo a virare verso torte e biscotti piuttosto che spezzatini e ragù, giusto? Ci danno più soddisfazione, e poi “almeno c’è qualcosa per la colazione”. Così, ecco che al mattino è spesso disponibile un plumcake, una crostata o una torta al cacao: è fatta in casa, è sana, non fa male.

Ma è pur sempre un dolce.

Quanto scritto poco fa a proposito degli zuccheri continua ad essere valido anche qualora il dolce fosse fatto in casa.
Il vantaggio delle torte e dei biscotti realizzati da noi sta nel poter scegliere le materie prime: farine macinate a pietra, frutta secca biologica, uova del contadino… Ma di fatto, per potersi fregiare del titolo di “dolci”, devono pur sempre avere una componente di zuccheri: magari opteremo per zuccheri meno raffinati (zucchero integrale, malto di riso, miele…), magari ne useremo meno (80/100 g per impasto anziché 120/150 g), magari aggiungeremo frutta per regalare una dolcezza naturale (banana, mela cotta, uvetta, datteri…). Ma son pur sempre dolci.
Il fatto che siano “fatti in casa” non li preserva dal creare un brutto equilibrio glicemico e dallo stimolare in modo improprio la produzione di insulina; un impasto di torta contiene mediamente 100/150 g di zucchero: supponendo che da una torta si ottengano 6-8 porzioni, il quantitativo è equivalente a 12-20 g di zucchero per fetta. A questo aggiungiamo i carboidrati delle farine: una torta fatta con 150-250 g di farina ne conterrà per fetta circa 18-35 g, e siamo già a 30-50 g di carboidrati totali per porzione. A questi dobbiamo aggiungere gli eventuali zuccheri extra contenuti in altri ingredienti usati per la realizzazione del dolce (marmellata, cioccolato, yogurt, frutta…): non impossibile raggiungere e superare gli 80 g per porzione, ossia l’equivalente di 100 g di riso o pasta…!

A questo punto, ad alcuni di voi ronzeranno per la testa alcuni quesiti, che cerco di prevenire.

1) Ma io uso lo zucchero di cocco che è a basso indice glicemico!
Lo zucchero di cocco contiene inulina, una molecola in grado di rallentare l’immissione di zuccheri nel sangue: in linea di massima è un buon dolcificante da usare nella preparazione dei vostri dolci, tuttavia non dovete dimenticare che 100 g di questo prodotto contengono 95 g di zucchero. In quanto a densità glicemica è perfettamente sovrapponibile allo zucchero comune bianco: è inadatto a chi deve dimagrire, al controllo del diabete e delle sindromi patologiche che si accompagnano a infiammazione.

2) Io uso il fruttosio, che è naturale.
Purtroppo, a discapito del nome, il fruttosio che trovate nei barattoli del supermercato (o nelle bustine del bar) è ben lontano dall’avere a che fare con la frutta… Il dolcificante fruttosio, infatti, viene prodotto in laboratorio a partire da cereali (in genere il mais), che vengono sottoposti a reazioni di idrolizzazione volte a scomporre gli amidi di cui sono costituiti. In questo modo si ottengono singole molecole di fruttosio, che vengono quindi cristallizzate e vendute come dolcificante.
L’eccessivo consumo di fruttosio in polvere o in sciroppo è stato correlato ad aumento dei trigliceridi e delle transaminasi: alla lunga può creare una disfunzione epatica che porta alla steatosi non alcolica.

3) Io uso solo il miele, o al più malto di riso o malto d’orzo!
Si tratta di dolcificanti indubbiamente naturali, ma che hanno lo stesso “difetto” dello zucchero di cocco: sono costituiti di soli zuccheri. A prescindere dalla sua provenienza, una molecola di zucchero avrà sempre la stessa azione insulino-stimolante sul nostro pancreas: vale a dire che miele, zucchero bianco e qualsiasi altro tipo di zucchero (datteri, fichi, malto…) stimoleranno allo stesso modo la produzione di insulina da parte del nostro organismo.
Alcune persone ritengono che il miele e il malto siano più “sani” perché, al contrario dello zucchero bianco, contengono anche minerali e micronutrienti: vero, ma le quantità sono irrisorie. Ad esempio 100 g di miele possono contenere circa 5-7 mg di calcio; se la vostra fetta di torta contiene circa 20 g di miele, avrete introdotto 1-1.4 mg di questo minerale: considerando che il fabbisogno quotidiano di calcio è di circa 700 mg, potete ben capire che affermare che il miele sia fonte di calcio è una barzelletta bella e buona (e lo stesso identico ragionamento può essere rapportato ad altri nutrienti: ferro, zinco, magnesio…).

4) Può andar bene usare dolcificanti di sintesi? Almeno non hanno calorie né zuccheri!
Assolutamente no! I difetti dei dolcificanti di sintesi (ciclammato, acesulfame, ad esempio) sono più d’uno:
– In primis, perdono capacità dolcificante quando vengono cotti. Quindi, potete anche vuotare il barattolo di Dietor nella vostra torta, ma non otterrete un dolce “dolce”.
– Diversi studi hanno dimostrato che, pur non apportando zuccheri, i dolcificanti chimici hanno comunque la capacità di stimolare la produzione di insulina da parte del nostro corpo; e, per assurdo, quando si bevono bibite “zero” o “light” ne risulta un desiderio di dolci spasmodico.
– Da ultimo, nessuno studio ha sancito in modo incontrovertibile la non-dannosità cerebrale di queste molecole. Ci si ferma a dire che “quando non assunti in eccesso, non ci sono rischi derivati dal consumo dei dolcificanti di sintesi”: ma quello che è “eccesso” per una persona può essere tollerabile per un’altra, e viceversa. I calcoli sono sempre fatti sulla media della popolazione: e se noi ci troviamo fuori dalla media?

5) Cosa mi dici della stevia, dello xilitolo di betulla e dell’eritritolo?
Qui si apre una parentesi interessante. Questi tre dolcificanti hanno effettivamente prospettive allettanti di utilizzo: alto potere edulcorante, basso impatto insulinemico, pressoché privi di zucchero (il tenore glucidico è trascurabile).
Purtroppo, almeno due di questi presentano lati negativi: la stevia ha uno spiacevole retrogusto liquiriziato che viene accentuato con la cottura, e lo xilitolo, come tutti gli appartenenti alla categoria dei polioli, può comportare un notevole discomfort a livello intestinale. Maggiori garanzie si possono avere con l’eritritolo: qui l’unico lato negativo concretamente rilevabile è il costo elevato.

In definitiva, è possibile fare dolci “sani”?
La risposta, ahimè, è la solita: *dipende*.
Se per “sano” intendete dire “che fa così bene da poterne mangiare a vagonate, traendo solo beneficio per la salute” direi che siamo su un orizzonte fantascientifico.
Se state cercando un modo per realizzare dolci che non abbiano un eccessivo impatto metabolico, e che possano essere introdotti con una certa frequenza settimanale, direi che si può trovare un compromesso.

Quali regole bisogna tenere presenti per realizzare dolci a basso impatto metabolico?
1. Quando preparate gli ingredienti, vi consiglio di calcolare un massimo di 10-15 g di zucchero per porzione + 20-30 g di farine.
Esempio pratico: un impasto per una torta da dividere per 6 fette, contenente complessivamente 60-90 g di zucchero + 120-180 g di farina (+ ovviamente gli altri ingredienti: burro di buona qualità, uova, frutta secca, cioccolato fondente…).
2. Preferite dolci che contengono frutta: in particolare le mele e le banane, una volta cotte, sprigionano una dolcezza molto marcata. Ottimi anche i dolci con la zucca, soprattutto considerando che è questa la stagione!
3. Sempre senza eccedere con le quantità totali, preferite dolcificanti naturali quali datteri, uvetta e fichi secchi.
4. Aggiungete aromi naturali che esaltano il sapore dolce: la vaniglia in polvere (non la vanillina!) e la cannella, ad esempio.
5. Provate a usare anche mix di farine per propria natura dolci: ad esempio aggiungere farina di castagne o di riso.

Prima di adottare questi consigli, tuttavia, tenete presente che:
1. Per apprezzare dolci ‘naturali’ dovrete prima educare il vostro palato ad un sapore dolce non industriale. Se passate da gelati confezionati, merendine e caramelline gommose a questi dolci, non li apprezzerete né ne capirete il senso.
2. La consistenza che otterrete è diversa da quella dei dolci tradizionali; i dolci saranno più umidi e compatti, meno areati e soffici.

Se volete qualche dritta in più per la realizzazione di dolci sani scaricate gratuitamente questa infografica, mentre se volete prendere spunto dalle mie ricette preferite, vi rimando al mio ebook di dolci a basso carico glicemico: l’avevo realizzato per dare suggerimenti a donne che soffrono di PCOS e vogliono togliersi qualche sfizio, ma le ricette sono riproponibili per chiunque voglia imparare le basi di pasticceria naturale.

Con che frequenza si possono consumare i dolci?
Dopo il “posso mangiare questo e quest’altro?”, l’interrogativo che mi viene fatto più di frequente è “ogni quanto posso mangiarlo?”.
Ecco, la risposta è… *Dipende*.
Come sempre, la frequenza di consumo di un dato alimento è strettamente dipendente dai fabbisogni individuali, dal livello di attività fisica e dal resto dell’alimentazione.

> E’ possibile mangiare un dolce “sano” al giorno? Dipende: se si è sportivi, non si hanno problemi metabolici né di peso, e se la dieta nel suo complesso non è sbilanciata verso carboidrati raffinati e zuccheri semplici, è possibile introdurre un dolcetto al giorno (purché non si ecceda nelle quantità, ma questo è scontato).
> E’ possibile consumare 20-30 g al giorno di cioccolato extrafondente al 70-80-90%? La porzione indicata corrisponde a un quantitativo variabile di zucchero, compreso tra 3 e 7 grammi: una quantità pressoché esigua, che può essere consumata con tranquillità tutti i giorni (e infatti io spesso metto un bonus di cioccolato fondente al giorno nelle diete delle mie pazienti); tuttavia, bisogna considerare che la stessa quantità consumata quotidianamente risulta spesso essere eccessiva nei percorsi di dimagrimento, in caso di allergia al nichel o all’istamina, in caso di acne o dermatite o psoriasi; insomma…. *Dipende*.

Ultimissimi consigli pratici:
– A volte il consumo di dolci può essere terapeutico: se siete ossessionate dal controllo degli zuccheri e dell’alimentazione, se avete paura a mangiare anche solo un cioccolatino non previsto, e se vi sentite “sporche” quando fate uno strappo alle vostre regole inflessibili, è il caso di approfondire le motivazioni remote che vi rendono succubi delle vostre stesse imposizioni. Fatevi aiutare da chi di competenza: se da un lato è vero che meno dolci si mangiano meglio è per la salute, dall’altro è anche vero che essere terrorizzati dal consumo di zucchero è sintomatico di ortoressia.
– Il consumo di dolci è terapeutico anche quando siamo giù di morale: gli zuccheri aumentano la produzione di serotonina, facendoci stare meglio. In questo caso la cosa difficile risulta essere trovare l’equilibrio per mangiare *il giusto*, senza eccedere e senza farsi prendere dalla compulsione. Una buona idea è quella di chiamare un’amica per una merenda o una colazione insieme, di modo che la presenza di un’altra persona ci faccia da freno se fossimo in pericolo di abbuffarci.
– Se proprio non sapete rinunciare al dolce quotidiano, ma cercate espedienti per minimizzarne gli effetti negativi, provate una di queste alternative (sempre ricordando che quantità e modalità sono in rapporto alla vostra vita: stati patologici, fabbisogni e attività fisica):
* Banana con cannella e tahin o burro di mandorle
* Mela renetta cotta con cannella
* Mousse di avocado frullato con cacao e vaniglia in polvere
* Shaker di banana, cacao e latte di mandorla
* Yogurt greco intero (o ricotta morbida) con cannella o vaniglia
* Patata americana bollita, spolverizzata di cannella
* Zucca al vapore o bollita, frullata con cacao e vaniglia

Spero, con questo articolo, di avervi un po’ chiarito le idee circa il consumo di dolci, anche qualora fatti in casa e anche se preparati secondo le regole della pasticceria naturale.

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