Settimana scorsa vi ho parlato dello studio italiano che dimostra come il consumo di 30 g di Grana Padano al giorno favoriscano un abbassamento della pressione in soggetti ipertesi senza dover ricorrere a farmaci.
Con il termine ipertensione si indica un aumento stabile della pressione arteriosa: di per sé non è una patologia, ma è un fattore di rischio incisivo per tutte le malattie che possono colpire il sistema cardiocircolatorio. Si parla di ipertensione quando i valori superano i 140 mmHg per la massima e i 90 mmHg per la minima; valori ottimali sono sotto i 115/75 mmHg, ma si considerano accettabili fino a 130/85 mmHg: se sono superiori bisogna stare in allerta.
Prevenire l’aumento della pressione in soggetti già border-line, e diminuire i valori in chi è già oltre la soglia massima, è un importantissima strategia di prevenzione di ictus, infarto e malattie a carico dei reni. La maggior parte dei soggetti ipertesi non sa di esserlo, e lo viene a scoprire durante una semplice visita di controllo dal medico: si tratta infatti di una condizione silente, che solo in alcuni casi dà segno della propria presenza con chiari sintomi organici (mal di testa pulsante, vertigini, ronzii, sudorazione fredda). Nella maggior parte dei casi l’aumento dei valori pressori è talmente graduale che le prime complicanze a livello cardiaco insorgono anche dopo una decina d’anni che il soggetto è iperteso e non lo sa: è quantomai pericoloso, perché se un fattore di rischio così decisivo è invisibile è molto difficile combatterlo. Altre volte, purtroppo, la persona sa di essere ipertesa ma banalizza la condizione, la subisce come qualcosa di ineluttabile e non fa nulla per prevenire conseguenze ben più gravi.
Abbassare i propri valori pressori è possibile: prevenire infarto e ictus è facile, se si agisce tempestivamente e si è disposti a modificare abitudini di vita sbagliate.
Vi parlo di ipertensione perché la formula vincente consiste in semplici regole: attività fisica e sana alimentazione. …che novità! -mi direte. La strategia per stare in salute sembrano conoscerla tutti: chi non sa che una mela è meglio dello snack al caramello, o che il branzino è meglio degli hamburger confezionati? Ma se tutti lo sanno, perché dai dati più recenti in ambito medico sembra che l’italiano medio sia più bendisposto a spendere soldi in farmaci e integratori, piuttosto che a fare la spesa con maggiore consapevolezza?
Dal punto di vista alimentare la prima cosa da fare quando si scopre di avere valori pressori alti è quella di diminuire l’apporto di sale, o meglio di sodio: sodio e sale non sono la stessa cosa! Il sodio viene indicato come Na, ed è contenuto nel comune sale da cucina, che nella nomenclatura chimica è detto cloruro di sodio e indicato come NaCl: una molecola di sodio e una di cloro ripetute milioni di volte, a formare i granelli bianchi che ben conosciamo.
Tutto il sale contiene sodio, ma questo elemento chimico è contenuto tantissimi altri alimenti che non contengono sale (inteso come NaCl): è il caso ad esempio della salsa di soia, che contiene sodio legato a un aminoacido – il glutammato.
Il sodio è un esaltatore di sapidità, quindi sarà contenuto il tutti quegli ingredienti da cucina che hanno il fine di aumentare il gusto delle pietanze: dadi da brodo, estratti di carne, salse e mix di aromi. State attenti quando andate a fare la spesa: non è detto che se c’è scritto “senza sale” significhi che il prodotto è “senza sodio”, quindi controllate sempre la sua presenza in etichetta. Il cosiddetto “sale nascosto” può essere riportato tra gli ingredienti come cloruro di sodio, bicarbonato di sodio, nitrato di sodio, solfato di sodio, glutammato monosodico (sigla E621).
Quando ci si avvicina ad un’alimentazione povera di sodio (e di sale) la prima cosa da tener presente è che solo il 10% del sodio che ingeriamo proviene dagli alimenti naturali: frutta, verdura, carne, pesce, legumi e uova contengono pochissimo sodio. Circa il 34% proviene invece dal sale che usiamo nella cottura delle nostre pietanze e nel condimento dei nostri piatti: il classico “sale qb” delle ricette; il rimanente 56% proviene infine dagli alimenti processati.
Ciò significa che attraverso i prodotti trasformati dall’industria alimentare introduciamo più della metà del sodio quotidiano.
Soffrite di pressione alta e temete per la salute del vostro cuore? Il primo passo è quello di aprire la vostra dispensa ed eliminare affettati e insaccati, formaggi stagionati e freschi, alimenti affumicati, pane, crackers, alimenti sott’olio e sott’aceto, pancarrè, pasta sfoglia, ketchup, salse e piatti pronti. E’ un grosso sacrificio: che sia per questo che tutti conoscono la formula per la salute, ma solo una minoranza è disposto a metterla in pratica…?
Nella tabella che vi riporto di seguito potete notare come il quantitativo di sale dei prodotti trasformati sia ben diverso rispetto allo stesso alimento quando consumato fresco, non processato.
Notate non solo le differenze più intuitive – ad esempio tra prosciutto crudo (ovvero carne di maiale conservata) e la lonza (carne di maiale fresca) – ma anche quelle più sorprendenti. Ad esempio la margarina contiene moltissimo sale, mentre il burro solo qualche traccia; i minestroni pronti (in busta, in lattina, liofilizzati) contengono mediamente 1 g di sale, mentre la verdura fresca ne contiene solo tracce. La tanto osannata salsa di soia (shoyu) contiene l’equivalente di ben 14 g di sale ogni 100 ml: attenzione la prossima volta che andate al giapponese…!
Chi è abituato a mangiare molto salato troverà insipido il cibo naturale; questo perché il gusto del salato (come quello per il dolce) crea assuefazione: più si mangia salato, meno si percepisce il sale e -come un circolo vizioso- il “pizzico di sale” aumenta ogni giorno di qualche granello. Fortunatamente è anche vero il contrario: quando ci si abitua a introdurre meno sale le papille gustative provano quasi disgusto quando assaggiano qualcosa di troppo saporito.
Imparare a gustare il cibo poco salato aiuta anche a distinguerne la qualità: il salato aumenta l’appetibilità degli alimenti, quindi induce a mangiarne di più anche quando la materia prima è scarsa. Provate ad esempio a mangiare il salmone affumicato, e un trancio di salmone selvaggio cotto al forno con un paio di rametti di rosmarino: nel primo caso sentirete solo il gusto del sale, che quasi vi brucerà le labbra, mentre nel secondo imparerete a distinguere la delicatezza delle carni di questo pesce, e ad apprezzarlo di più.
Lo sapevi che…
Quanto sale c’è in una pizza?
Mediamente, ben 8-9 grammi! Non poco, se pensiamo che per rimanere in salute non bisognerebbe superare i 6-8 g al giorno! Questo quantitativo si riferisce a una margherita, se poi ci aggiungiamo qualche fetta di prosciutto o dell’altro condimento i valori aumentano ulteriormente: ecco perché se il sabato sera mangiamo una pizza la domenica mattina pesiamo un chilo in più (ed ecco perché ci sveglieremo di notte assetati come cammelli nel deserto…)! Non è di certo grasso: semplicemente, ritenzione idrica!
5 Comments
Sale e glutammato contengono entrambi sodio, ma stimolano due gusti diversi: il primo, guarda un po’, il salato, il secondo l’umami. Un buon uso del glutammato o di ingredienti che lo contengono (parmigiano, il gel intorno ai semi dei pomodori, funghi) permette di usare meno sale ed una buona sinergia dei due comporta un minor consumo di sodio.
Come sempre, è utile sapere la quantità di una sostanza per il riferimento100g, ma sfido a trovarti qualcuno che si beve 100g di salsa di soya o si mangia 100g di dado da brodo, un insaporitore e non un alimento, pertanto reputo il confronto sviante.
Infine, sulla pizza, la maggior parte dei problemi di sete è dovuta ad una lievitazione incompleta ed una cottura imperfetta: difatti la sete dovuta al salato non è persistente (mai mangiato un pacchetto di patatine?).
Il glutammato contiene sodio, e anche se stimola un gusto diverso quando complessato a questo amminoacido rimane comunque uno dei fattori di rischio per ipertensione. Quando vai al giapponese difficilmente userai 100 ml di salsa di soia, ma il credo che un buon 20-30 ml vengano usati (mediamente): si tratta comunque di 2-3 g di sale-equivalente. Per il dado, come vedi in tabella, non ho riportato il quantitativo per 100 g ma per pezzo: bisognerebbe poi vedere quanto dado la cuoca usa per persona, e aggiungerci il pizzico di sale che comunque ci scappa sempre 😉
Grazie per la precisazione sulla pizza: volevo farci un articolo a parte ma ho cominciato a lanciare uno spunto qui 😛 Ad ogni modo, anche se la sete e la maldigestione è dovuta alla lievitazione, anche in questo caso non toglie il fatto che una pizza contiene 8-9 g di sale… E qui si parlava di questo in relazione alla salute 😉
PS. E’ passato talmente tanto tempo da quando ho mangiato patatine fritte o in sacchetto che sinceramente non ricordo nemmeno il gusto! 😛
Ciao Arianna,
ultimamente sono a dieta iposodica, e sto prendendo tutta una serie di accorgimenti per ridurre la quantità di sale aggiunto.
Ho eliminato completamente il sale aggiunto, compreso quello per la cottura della pasta, consumo pane senza sale (peccato che non ci sia integrale) ed ho abolito insaccati, tonno in scatola, dado, formaggi, oltre che quei pochi alimenti pre-confezionati che occasionalmente mi capitava di consumare.
Inoltre, anche se non sempre compensa, ne sto approfittando per imparare ad usare bene le spezie, soprattutto quelle orientali, cosa che da molto tempo desideravo fare! 🙂
Mi rimane però un problema: normalmente preferisco di gran lunga cucinare i legumi secchi (anche dopo aver letto questo tuo articolo) ma ultimamente, a causa di problemi di tempo, ricorro ai legumi in scatola.
Perciò vorrei chiederti, per ridurre il tenore di sale di legumi in scatola od altri prodotti conservati in salamoia (tonno, vongole, capperi, ecc), quanto può aiutare risciacquarli sotto l’acqua o perlomeno scolarli del liquido di conserva?
Grazie!
In termini matematici non ti saprei dire purtroppo… Di certo eliminando la salamoia elimini una buona parte di sale, però rimane quello che è stato assorbito dei legumi (o altri prodotti).
Se vuoi un consiglio per ovviare questo problema, quando cuoci i legumi fanne una grossa quantità e poi congelali già porzionati; lo stesso vale per i frutti di mare (se ne trovano anche di già congelati, ma è bene controllare la provenienza). Il tonno, invece, lo sconsiglirei a priori anche fresco: è molto inquinato da mercurio ed è un pesce di bassa qualità, proviene soprattutto dall’Indo-Pacifico e arriva sulle nostre tavole che ha già diversi mesi di conservazione, magari sottovuoto. Quello mediterraneo (il rosso mediterraneo) è in via d’estinzione e la pesca è permessa solo in alcuni periodi l’anno.
Spero di averti aiutata comunque 🙂
Come sempre, grazie mille. 🙂