I disturbi del comportamento alimentare (DCA) colpiscono molte più persone di quelle che saremmo disposti a credere. Associamo il DCA quasi sempre ad anoressia o bulimia, binge o obesità, ma difficilmente ci focalizziamo sulla vasta palude dei cosiddetti DCA atipici, che colpiscono quasi una persona su tre. Sapete, ad esempio, che il dieting è un disturbo dell’alimentazione? Per dieting si intende lo stare continuamente a dieta, con un’attenzione esasperata al peso e un rapporto morboso nei confronti del cibo, fino a far ruotare ogni aspetto della vita quotidiana intorno ad esso. Anche l’ortoressia (di cui abbiamo parlato qui) è un altro DCA atipico.
I disturbi dell’alimentazione NAS (non altrimenti specificati) sono ancora più insidiosi di quelli conclamati, perché diventa estremamente difficile sia per la persona stessa che per chi le sta accanto rendersi conto di quanto il pensiero ossessivo al cibo sia diventato pervasivo e malato: “sei fissata” si dice, ma non si comprende quanto questa fissazione sia un morbo che corrode. 
La cura di questo genere di DCA dovrebbe essere pari a quella di anoressia e bulimia: una sinergia tra medico, psicologo e dietista. Tuttavia, rispetto ad anoressia, bulimia e binge propriamente detti, capita con una certa frequenza che i DCA atipici possano avere una regressione spontea e graduale: pian piano si smorza l’attenzione morbosa verso il cibo, che smetterà di essere motivo di preoccupazione e fissazione, un altare cui immolare la propria vita e su cui convergere ogni energia.

Parlare della genesi e della cura di un disturbo dell’alimentazione, di qualsiasi tipo esso sia, richiederebbe una lunga trattazione in collaborazione con una psicologa. Quello su cui vorrei focalizzare l’attenzione in questo articolo (che verrà suddiviso in due parti) sono invece le conseguenze organiche che un DCA si lascia alle spalle: accade con una certa frequenza che il DCA venga gradualmente risolto – o perlomeno smorzato nella sua potenza negativa – sia a livello emotivo che nell’approccio verso il cibo, ma che purtroppo lasci per lunghi anni i segni delle carenze e dei maltrattamenti cui il corpo è stato costretto. 
Tali carenze sono eclatanti e a volte fisicamente dolorose nei DCA propriamente detti: mi riferisco all’osteopenia dell’anoressia o alla gastrite e al reflusso della bulimia con vomito autoindotto; ne esistono tuttavia molte altre, più insidiose perché non immediatamente riconducibili al passato disturbo, e che hanno a che fare con assetti borderline di vitamine e minerali. Per “borderline” si intende una condizione che non è (o non è più) di carenza conclamata, ma in cui i valori rilevati sono molti vicini ai range inferiori di riferimento. 
Nel caso di DCA atipico è forse ancora più complicato rilevare una carenza vitaminica o minerale: la paziente che ne ha sofferto non sempre ammette con il medico curante di aver avuto problemi con il cibo, relegando quei mesi conflittuali ad un periodo circoscritto del proprio passato adolescenziale, ingenuamente pensando che non possano aver lasciato conseguenze.

Eppure non è così.
Il nostro corpo può risentire per lungo tempo di carenze nutrizionali determinate da restrizioni alimentari, soprattutto quando tali restrizioni sono coincise con il periodo dell’infanzia e dell’adolescenza: i DCA che colpiscono bambine delle scuole elementari e medie devono suscitare forte preoccupazione non solo per il disagio psicologico che nascondono, ma anche per le profonde ferite che lasciano su un corpo non ancora completamente maturo.

Quando parlo di DCA mi riferisco ad anoressia e bulimia, ma anche all’obesità, conseguenza di binge e iperfagia (abbuffate incontrollate con andamento ciclico o costante). 
Sebbene sia controintuitivo, anche l’eccesso di peso comporta carenze nutrizionali.

Si può essere iperalimentati ma iponutriti.

In che modo? Il meccanismo è piuttosto semplice: il dilagare di obesità nella società mondiale è determinato, a mero livello biochimico, dalla rottura dei pattern organici che riguardano l’autoregolazione di introito e dispendio energetico; le cause sono l’iperalimentazione con prodotti altamente energetici tipici dell’industria alimentare: snack e merendine, bevande gassate zuccherate, gelati e dolci, tripudio di farine, grassi industriali e carboidrati semplici. Tutti i cibi che determinano il progressivo aumento di peso sono altamente calorici, ma scarsamente nutrienti: sono ricchi di calorie, non di vitamine e minerali. Per questo motivo è assai frequente riscontrare forti carenze di micronutrienti anche in chi soffre di un significativo eccesso ponderale; ancora una volta, la condizione è particolarmente preoccupante quando parliamo di bambini e adolescenti, le cui rotondità non sono “tutta salute”, quanto l’espressione di un forte disagio psicologico e lo specchio di un corpo organicamente sofferente.

DCA e carenze di nutrienti
In letteratura ci sono numerosi studi scientifici che dimostrano la correlazione tra DCA e carenza di micronutrienti: maggiore sono la severità e la durata del DCA, maggiore sarà il deficit alimentare e più prolungate le sue conseguenze. 
Le carenze di maggior rilievo sono state evidenziate per calcio, ferro e zinco tra i minerali, mentre le vitamine più problematiche sono la D, la E e la B12.

I rischi relativi alle carenze di micronutrienti sono marginali per quanto riguarda la salute nel suo significato maggiore (non espongono ad alcun rischio di mortalità), ma considerevoli per quanto concerne il benessere quotidiano:
– Problemi ormonali sessuali, come amenorrea, cicli anovulatori, estrogeno-dominanza, scarsa libido; sono dovuti a carenza di grassi essenziali e saturi, colesterolo, zinco, ferro, vitamina B12 e D.
– Insonnia e disturbi del sonno, dovute a carenza di zinco, carboidrati complessi, triptofano, selenio e magnesio.
– Sistema immunitario fragile, dovuto a disbiosi, carenza di vitamina D, ferro, zinco.
– Ipotensione con difficoltà di ritorno venoso e linfatico, edemi agli arti inferiori e spossatezza, dovuto a carenza di sodio e cloro (sale), ferro, vitamina B12.
– Osteopenia e osteoporosi, dovute a carenza di calcio e vitamina D.
– Difficoltà di risposta insulinica, con alternanza di nausea e appetito spropositato, ipoglicemia post-prandiale, sonnolenza, spossatezza, irritabilità, dovute a carenza di cromo e squilibri nell’apporto di carboidrati.
– Stanchezza e spossatezza croniche, dovute perlopiù ad inadeguato apporto proteico, di ferro, vitamina B12, folati, vitamina D, acidi grassi essenziali, colesterolo.

Man mano che si torna ad alimentarsi in modo adeguato le carenze più importanti vengono corrette, ma non sempre si è in grado di compensarle completamente. Ciò accade sostanzialmente per due motivi:
1. Il nostro corpo ha, per la maggior parte dei micronutrienti, delle riserve organiche; ad esempio abbiamo riserve di ferro nel fegato, di vitamina C nei reni e di calcio nelle ossa. Quando si ricomincia a mangiare adeguatamente è possibile che queste riserve vengano ripristinate solo in minima parte, poiché il corpo usa i micronutrienti del cibo per le funzioni immediate. Immaginate di avere un conto in banca piuttosto misero, e di avere continue spese quotidiane: tasse, pane, riscaldamento. Quando mensilmente vi viene consegnato lo stipendio usate quei soldi per le spese più impellenti, e riuscirete a mettere in banca solo quello che vi avanza, che probabilmente, su un stipendio di 1300 euro mensili, sarà poca cosa.
2. La soluzione potrebbe essere quella di privilegiare il consumo di tutti quegli alimenti che siano riccamente densi di micronutrienti, così da usarne una parte per le funzioni immediate, e una parte per ripristinare le riserve. Questo sarebbe sicuramente saggio, ma purtroppo gli alimenti che sono più ricchi di vitamine e minerali carenziali a causa di un DCA quasi sempre coincidono con tutto ciò che ancora provoca timore e paura: infatti, sono quasi sempre associati ad alimenti grassi e/o di origine animale (la vitamina D nel burro, il ferro nella carne rossa, lo zinco nel tuorlo delle uova…).

Il complesso problema della flora intestinale
Mi correggo. Quello che ho scritto nell’ultimo paragrafo non è completamente vero: anche certe fonti vegetali sono assai ricche di zinco, calcio, ferro e provitamine. Ad esempio, se controlliamo le tabelle di composizione di nutrienti vedremo che lo zinco è contenuto nella frutta secca, il betacarotene nelle carote, il ferro nel cioccolato, negli spinaci e nei ceci.
Purtroppo, queste tabelle non prendono in considerazione il fattore di biodisponibilità, né tantomeno la condizione della flora batterica delle singole persone.

Per biodisponibilità si intende la quota di nutriente che sia effettivamente disponibile all’assorbimento intestinale, quota che quasi mai coincide con il contenuto “assoluto” nell’alimento. 
Ad esempio, sappiamo che gli spinaci contengono moltissimo ferro: peccato che solo una minimissima percentuale di esso sia biodisponibile, poiché è quasi tutto chelato (ossia imprigionato) dagli ossalati vegetali contenuti nelle foglie di spinaci. 
Il betacarotene delle carote è una pro-vitamina (nello specifico, provitamina A): significa che deve essere convertita prima di essere trasformata nella vitamina in forma attiva. Tale trasformazione è consentita solo se il betacarotene si associa ad una discreta quota lipidica: in altre parole, se le carote non sono condite con olio extravergine tutti i carotenoidi di cui sono ricche saranno quasi completamente inutili. 
La frutta secca (noci, nocciole, semini, mandorle…) è una miniera di minerali e vitamine, purtroppo in alta percentuale chelati dagli antinutrienti della frutta secca stessa, ossia da quelle sostanze (fitati, ossalati, fibra) che imprigionano i minerali e li rendono indisponibili all’assorbimento. Per poter inattivare gli antinutrienti, la frutta secca (così come i legumi) andrebbe sottoposta a un preventivo ammollo in acqua.

L’apporto di antinutrienti del mondo vegetale non è di sostanziale rilevanza per chi abbia sempre avuto un’alimentazione varia e completa; può invece rappresentare un fattore limitante qualora diventi il bacino principale di rifornimento energetico a seguito di forti privazioni alimentari: non permette di alzare adeguatamente le riserve.
Questo accade anche a causa dei cambiamenti gastrointestinali che interessano chi abbia in passato sofferto di DCA.

Da un lato, è abbastanza intuibile che lunghi periodi di vomito autoindotto causino ulcerazioni e infiammazioni gastriche, che compromettono la digestione dei nutrienti e di conseguenza determinano un peggior assorbimento nell’intestino. Allo stesso modo l’abuso di lassativi determina un’atrofizzazione del colon, che si traduce con forti difficoltà di evacuazione e conseguente meteorismo e gonfiore.
D’altra parte, non ci si può esimere dall’analisi del microbiota intestinale. Il nostro colon è popolato da famiglie batteriche numerosissime e variegate, la cui composizione è variabile in funzione di diversi input ambientali: il modo in cui nasciamo (parto vaginale o cesareo), il nostro nutrimento nei primi 6 mesi di vita (latte artificiale o di mamma), l’uso di farmaci in particolare se antibiotici, il contatto con “batteri buoni” dall’ambiente e da altre persone, il tipo di dieta seguita. Gli studi sul microbiota intestinale sono ancora agli albori, perché è solo negli ultimi anni che il mondo scientifico ha cominciato a capire pienamente le potenzialità di questo esercito di batteri che popola il nostro piccolo intestino; quello che è emerso, e che ormai è consolidato, è che l’alimentazione ha un potere enorme nel modificare la tipologia di batteri che vivono e proliferano in noi. Brevi periodi di restrizione alimentare sembrano avere un effetto assai favorevole sulla flora intestinale: il classico digiuno religioso sembra essere veramente depurativo e rigenerante, se fatto con criterio; tuttavia, quando la restrizione alimentare è protratta nel tempo e, soprattutto, orientata verso scelte alimentari sbagliate la flora batterica ne soffre, impoverendosi in termini di numero e qualità, e diventando sempre di più fermentativa.

Le donne che hanno sofferto di DCA spesso lamentano problemi di gonfiore, dolore addominale, distensione, flatulenza, stitichezza alternata a dissenteria: troppo spesso si pensa che questi sintomi siano il culmine di una patologia psicosomatica e di un effetto “nocebo”. Vale a dire: “se penso che mi farà male, allora avverto i sintomi” (in termini più scientifici, l’effetto nocebo è la risposta patologica dell’organismo di alcuni soggetti suggestionabili che, temendo l’insorgere di un sintomo, ne favoriscono la comparsa in concomitanza del consumo dell’alimento incriminato). 
In realtà, anche se talvolta amplificati da chi ne soffre, tali sintomi sono tutt’altro che “immaginari”: sono una conseguenza delle restrizioni e delle abbuffate dell’epoca del DCA. Lentamente ci si è causati una forte disbiosi intestinale, che avrà bisogno di tempo, cure e attenzioni per poter essere completamente risolta.
Immaginate la flora batterica come un esercito, che viene nutrito e allenato da una grande varietà di alimenti e micronutrienti. Quando l’esercito viene affamato, ossia si restringe l’apporto di cibo, esso sarà debole e stanco, e, quando la restrizione è lungamente protratta, ci saranno i primi plotoni che muoiono. Quando l’esercito viene nutrito con carboidrati semplici e raffinati, dolci, prodotti industrializzati e conservati – come tipicamente accade durante le abbuffate e gli episodi di binge – i suoi “soldati” sono come avvelenati, e sono meno propensi a svolgere le normali funzioni. Quando, viceversa, l’esercito viene rifornito di un eccesso di fibra (alimenti vegetali e integrali) senza l’accompagnamento di alimenti lipidici e proteici, o con inadeguato apporto di essi, l’esercito riesce a sostenersi, ma è indebolito: alcuni plotoni inizieranno ad appropriarsi della fibra e a fermentarla (formazione di gas e meteorismo), altri invece rimarrano pressoché inattivi perché ipoalimentati.

La disbiosi, ovvero la rottura dell’equilibrio tra le famiglie batteriche, porta a problematiche relative alle funzioni della flora intestinale: una flora in eubiosi, in equilibrio, garantisce un buon assorbimento dei nutrienti, la produzione di sostanze antinfiammatorie e di alcune vitamine, un corretto transito intestinale e la protezione da alcuni fattori di rischio cardiovascolari come l’ipercolesterolemia. In episodi di disbiosi tali funzioni sono compromesse: ecco quindi che si hanno difficoltà di transito e di assorbimento, si ha fermentazione e infiammazione. Si possono accusare sintomi da cattiva digestione, acidità gastrica, colon irritabile, dolori addominali. Il malassorbimento che si accompagna alla disbiosi comporta, inoltre, che a cascata alcune funzioni organiche rallentino, poiché mancano le materie prime (minerali e vitamine) indispensabili agli ingranaggi di funzionamento. E’ per questo che, quando si sospetta disbiosi non è sufficiente assicurarsi di avere un corretto apporto alimentare di micronutrienti, ma bisogna capire se effettivamente essi arrivino ad essere correttamente assorbiti e, naturalmente, utilizzati.
Questo accade anche quando la disbiosi è dovuta ad altre cause oltre il DCA: l’uso protratto di antibiotici, infezioni batteriche e stress cronico, ad esempio.

Quando si parla di carenze vitaminiche e minerali borderline conseguenti a lunghi periodi di restrizioni alimentari non si può non prendere in considerazione la disbiosi intestinale, che comporta una minor capacità di assorbimento di micronutrienti nelle loro forme inattive, largamenti diffuse in prodotti di origine vegetale.
Gli alimenti di origine animale e, soprattutto, le fonti di grasso, al contrario, dispongono di micronutrienti ad elevata biodisponibilità, che risentono minoritariamente di stati di disbiosi e che, anzi, sono in grado di nutrirla e rinvigorirla, promuovendo la regressione della sindrome, migliorando l’assorbimento intestinale e permettendo di disporre di materia prima immediatamente utile alle reazioni organiche.
Chiaramente, è necessario accompagnare la paziente a non aver paura di questi alimenti, insegnando come sfruttarne pienamente le proprietà e facendo comprendere i motivi per cui siano funzionali alla sua alimentazione: tuorlo delle uova, ghee o burro di centrifuga, carne da allevamenti non intensivi, pesce mediterraneo ricco di grassi buoni.

Nel prossimo articolo vi parlerò più nello specifico di alcune problematiche che possono correlarsi a conseguenze dei disturbi dell’alimentazione, anche qualora essi siano stati risolti: ipovitaminosi che concorre all’amenorrea, osteopenia, insonnia e basso tono dell’umore.

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