Settimana scorsa Martina ci ha spiegato il quadro psicologico che sta alla base di quelle che abbiamo definito “abbuffate soggettive”: abbiamo visto che questi episodi sono tanto più frequenti quanto più rigida è la dieta. Vediamo oggi che provvedimenti alimentari è utile attuare per debellare le abbuffate, o anche solo quegli sgradevoli sgarri che ci lasciano in balìa del senso di colpa.
Nota bene. I consigli che vi darò -così come quelli dati da Martina- possono essere utili fino a un certo grado di conflittualità con il cibo; non sono sicuramente il sostituto di una terapia cognitivo-comportamentale in caso di disturbi dell’alimentazione veri e propri, di lunga decorrenza, e dal forte potere penetrante nella vita quotidiana. Abbiamo deciso di trattare il rapporto conflittuale con il cibo nella sua accezione potremmo dire subclinica, ovvero quando rappresenta motivo di sconforto e di mancanza di stima per sé stessi; i DCA più importanti devono essere curati con un team di dietisti, psicologici, medici: la risoluzione del problema non è semplice e va affrontata su più fronti.
Lasciando perdere per un istante le cause psicologiche (stress, nervosismo, bisogno di conforto dal cibo), esistono due meccanismi scatenanti che potremmo ricondurre alla sfera alimentare: in primis -come Martina ci ha brillantemente illustrato- c’è quell’insinuoso effetto collaterale per il quale abbiamo voglia di ciò di cui ci priviamo. L’alimento proibito diventa tentazione, sacrificio e condanna: lo desideriamo, e allo stesso tempo lo connotiamo di un forte valore simbolico; l’alimento tenta la nostra volontà, è simbolo della nostra forza finché siamo in grado di voltargli le spalle, ma diventa il nostro peggior nemico nel momento in cui l’abbiamo tra le mani. Il cibo incriminato assume quasi un valore trascendente: è qualcosa di cui assolutamente privarsi, ma che diventa automaticamente ‘permesso’ -e permesso in larga quantità- qualora avessimo già commesso l’innocente sbaglio di averlo assaggiato. Non esistono gradazioni di grigio: o tutto o niente. O ce ne priviamo totalmente, o ci strafoghiamo: sappiamo benissimo che da un punto di vista calorico-metabolico non è la fettina di torta o il biscottino o la pizza che compromettono l’andamento di una dieta dimagrante, eppure il potere psicologico di ciascuno di questi alimenti è tale che se solo ne assaggiamo un boccone nella nostra testa dipingiamo scenari catastrofici, ci colpevolizziamo, pensiamo di aver mandato tutto all’aria; contemporaneamente alla nostra autofustigazione, addentiamo un altro boccone e poi un altro ancora. Scateniamo l’abbuffata, in un misto di emozioni: l’ebbrezza di gusti proibiti, la perdita di controllo e la forse inconscia punizione che ci affliggiamo per essere stati deboli, quasi pensando che l’abbuffata sia il giusto prezzo da pagare per quella che era un’innocente tentazione, che se fosse rimasta tale non avrebbe avuto conseguenze né fisiche né psicologiche.
La suddivione mentale di “cibo permesso e cibo proibito” è sicuramente la causa di molte abbuffate, ma non è l’unica. Ce n’è un’altra, più attinente a questioni meramente fisiologiche, e si chiama omeostasi. L’omeostasi è quel sottile equilibrio organico che il nostro corpo tenta di preservare anche in situazioni estreme, ed ha a che fare con qualsiasi sua funzione o qualsiasi suo distretto corporeo: l’aumento della termogenesi da brivido è la risposta omeostatica al freddo; l’aumento della sudorazione è la risposta al caldo; l’aumento del cortisolo è la risposta allo stress; l’aumento della fame è la risposta alla privazione.
Il nostro corpo ha bisogno di un equilibrio dei macronutrienti tale per cui diete troppo restrittive innescano le abbuffate come meccanismo di risposta ad una situazione che l’organismo vive come “carestia”.
Dunque, ecco che nella genesi delle abbuffate entra in gioco anche un fattore fisiologico (ossia comune a tutti noi e non solo dipendente dalla nostra psiche). Persone che hanno un brutto rapporto con il cibo, persone depresse, ansiose o ipercritiche tendono ad essere molto più sensibili alle abbuffate da restrizione alimentare perché in loro i due condizionamenti (fisiologico e psicologico) si sommano.
Ora che abbiamo descritto i due vettori che portano alla compulsione alimentare, veniamo ai consigli pratici: quali strategie sono consigliabili per evitare il più possibile il rischio di abbuffate?
Aggiungere, non togliere.
Spesso (e discutibilmente) quando ci si mette a dieta si tagliano completamente alcune categorie di cibo: abitudine sconsideratamente pericolosa in cui ha un brutto rapporto con il cibo, perché non farà altro che aumentare il desiderio di quegli stessi alimenti che si sono proibiti. Non sottovalutiamo il potere psicologico del cibo: se siamo a rischio di abbuffate non è assolutamente il caso di sottoporci allo stress della rinuncia totale di un determinato alimento.
Consumare cibi “pericolosi” in situazioni che offrano deterrenti.
Purtroppo bisogna tener conto anche dell’altro lato della medaglia: per alcune persone esistono degli alimenti che rappresentano un pericolo di abbuffata sia quando totalmente assenti (perché innescano il desiderio compulsivo) sia quando sono “consentiti” perché se ne vorrebbe una quantità sempre maggiore rispetto a quella lecita: non è sufficiente “un biscotto”, se ne voglio 10-15.
Altro esempio. Esistono alimenti che fin da quando siamo piccoli associamo a qualcosa di molto gustoso ma da mangiare con moderazione perché -come ci ricordava la mamma o la rivista di benessere di turno- “fanno male”: la pizza, il pane, i formaggi, le fritture. Anche inserendo tali alimenti in un contesto di alimentazione consapevole, vale a dire senza demonizzarli, c’è il rischio che la loro atavica connotazione negativa spinga ad un’abbuffata, come se appena sotto il proprio conscio si avesse la sensazione di mangiare qualcosa di proibito che fa scattare il ben noto meccanismo del “…tanto ormai!”.
Un buon compromesso in questi casi è organizzare un’uscita con amici o parenti per mangiare con loro la pizza (o qualsiasi altro alimento pericoloso): assoceremo al momento goloso la situazione conviviale, e la presenza di altre persone farà da freno ad una nostra eventuale compulsione successiva.
Senza privarci di nulla, facciamo in modo di consumare gli alimenti più tentatori nelle occasioni in cui la presenza di altre persone farà da deterrente alla nostra abbuffata: in questo modo non rimarremo con la voglia del dato alimento, ma allo stesso tempo gli avremo impedito di essere pericoloso. Sfruttiamo merende con le amiche per una cioccolata con panna, pomeriggi di studio in compagnia per i biscotti, cene fuori per la pizza, pranzi di famiglia per lasagne o cannelloni. Non facciamoci cogliere impreparati: scegliamo preventivamente di mangiare qualcosa di pericoloso, perché se usciamo di casa pensando di ‘resistere’ e poi -sulla scorta delle insistente altrui- cediamo alla gola ci sentiremo deboli e sconfitti, più vulnerabili; invece, avendo preventivato lo sgarro, ci sentiremo autorizzati a goderne: purtroppo l’abbuffata risente fortemente della nostra coscienza, come se ci fosse un giudice superiore che ora permette, ora nega.
Cerchiamo di fare in modo che l’occasione in cui sgarrare si protragga per un tempo sufficiente a debellare la nostra frenesia: se abbiamo un brutto rapporto con il cibo potremmo “fare i bravi” finché siamo in pubblico, ma rinchiuderci in cucina non appena torniamo a casa.
Per questo è importante ricordare che il desiderio di abbuffata raggiunge un acme, un vertice, per poi decrescere: l’intensità del desiderio di cibo non si mantiene elevata per delle ore, ma viene smorzata dallo scorrere del tempo. Ecco perché è importante assicurarsi di avere qualcuno vicino per tutto il periodo potenzialmente pericoloso pre-abbuffata, che in genere dura 30-60 minuti.
Programmare “bonus” a frequenza giornaliera, settimanale o bisettimanale.
Beninteso che in caso di disturbo alimentare conclamato è assolutamente controproducente intraprendere una dieta dimagrante prima di averlo completamente risolto, se il nostro problema di abbuffate soggettive è di piccola entità il mio suggerimento è quello di iniziare la dieta inserendo un ‘bonus’ che ce la faccia pesare meno.
Sapendo di avere questo momento in cui indulgere alla gola non ci sente privati delle proprie tentazioni e si vivrà con meno costrizione il resto della dieta.
La frequenza e la consistenza dello ‘sgarro’ sono da valutare individualmente: c’è chi si sente più tranquillo con 20 g di cioccolato al giorno, e chi invece preferisce avere una cena completamente libera a settimana. Se il resto della dieta è ben calibrato vi assicuro che non sono questi extra a frenare il vostro dimagrimento.
Seguire un’alimentazione bilanciata nella suddivisione dei macronutrienti.
E’ imprescindibile che il tipo di alimentazione che si intende seguire -sia esso dimagrante o meno- non sia a ridotto contenuto di proteine e grassi, e che abbia il giusto apporto di carboidrati. Diete sbilanciate sono vissute dal corpo come una privazione di cibo: soggetti predisposti ad abbuffate saranno a maggior rischio di recidivare questo comportamento.
Ricordarsi che “lo zucchero chiama zucchero”.
Quando il nostro corpo ha fame indirizza la sua scelta verso quegli alimenti che gli danno energia di pronto utilizzo: i carboidrati, semplici (dolci) o complessi (farinacei).
La fame “vera” è causata da un abbassamento dei livelli di glicemia sotto la soglia che permette al cervello di lavorare bene: gli alimenti che fanno risalire più velocemente la glicemia sono i carboidrati. La fame nervosa o compulsiva tende ad orientarsi verso i carboidrati, l’unico tra i macronutrienti che sia connesso ai meccanismi di gratificazione cerebrali in senso meramente biochimico: una fiorentina può farci sentire appagati in senso edonico (gratificazione generale), ma una fetta di torta, con i suoi zuccheri e le sue farine, va a sollecitare gli stessi meccanismi cerebrali connessi alla dipendenza da sostanze, seppure in forma nettamente minore.
Sia nel caso di fame vera che in quello di fame compulsiva i carboidrati sono la scelta versa la quale siamo naturalmente predisposti ad orientarci: non si tratta di semplice debolezza o mancanza di volontà, ma è una risposta fisiologica del nostro organismo. Purtroppo se abbiamo un brutto rapporto con il cibo e mangiamo prodotti a base di carboidrati, tendiamo a non averne mai abbastanza: avremo sempre voglia di un pasticcino in più, mentre se avessimo nel frigorifero solo carne, uova e verdure smetteremmo molto prima anche se il desiderio di cibo -di un altro genere di cibo- rimarrebbe presente. Vi è mai capitato di sentirvi sazi ma di avere ancora il pensiero rivolto al pane, al dolce o ai tarallini? Se vi venissero offerti li accettereste volentieri, mentre non pensereste ad un bis di bistecca.
Se però state pensando che togliere i carboidrati sia la soluzione migliore, vi state sbagliando di grosso: una privazione di carboidrati troppo rigida predisporrà ad un’abbuffata ulteriore, mentre la giusta presenza quotidiana di questi nutrienti ci aiuterà a non connotarli più come negativi. Vi consiglio di introdurre quotidianamente nella vostra alimentazione carboidrati complessi, come la pasta o i cereali, le patate, il pane, e di riservare alle occasioni (o bonus) di cui sopra i carboidrati più golosi – ossia dolci, pizza, tarallini e prodotti da forno.
Mangiare piano.
Qualsiasi pasto stiate facendo e qualsiasi sia il vostro stato d’animo, mangiate piano e masticate a lungo; concentratevi sul cibo. Lasciate il cellulare e il pc in un’altra stanza, spegnete il televisore e cercate di mangiare in un’atmosfera serena.
Non negate il cibo. Non fatelo diventare qualcosa di automatico come il respiro, o -peggio ancora- qualcosa da vivere sommessamente, di nascosto e con disagio. Mettete nel piatto e sul tavolo ciò che volete mangiare ad ogni pasto, e prima di cominciare a consumare gli alimenti prescelti chiedetevi se vi basteranno, se sono troppi o se sono troppo pochi. Aggiungete o togliete cibo, e non iniziate a mangiare finché non sarete sicuri di poter gestire con un buon autocontrollo il pasto: per evitare un’abbuffata è meglio programmare gli extra del pasto (es.dolcetto finale o una porzione più abbondante di primo) piuttosto che tornare di soppiatto in cucina a prendere ciò che si desidera. I due atteggiamenti sono diversi, e fanno la differenza: nel primo caso si ammette a sé stessi di avere quel determinato desiderio e si valuta se sia il caso o meno di metterlo in tavola (chi si abbuffa si conosce meglio di quanto crede… Sa quando rischia di più a mangiare e quando a non mangiare un determinato cibo). Nel secondo caso il solo fatto di aver precedentemente negato la concessione del dato alimento fa vivere con disagio il momento in cui si cede allo stesso: ci si sente deboli, vulnerabili, e colpevoli.
…e quando l’abbuffata è dietro l’angolo?
Chi si abbuffa lo sa: l’abbuffata ha un modo tutto suo di presentarsi. Può cominciare al mattino, perché avete mangiato un biscotto in più che vi graverà sulla coscienza fino a sera quando rientrate dall’ufficio e siete finalmente liberi di fare razzia della dispensa. Oppure può essere più insinuosa: subito dopo aver mangiato la frutta per merenda vi viene voglia di aprire l’armadietto dei dolci.
State calmi: come vi ho detto prima l’abbuffata ha i suoi tempi, raggiunge un apice di desiderio per poi decrescere piano piano. Prima ammettete con voi stessi che siete in pericolo, prima riuscirete a correre ai ripari: se convivete con le abbuffate da lungo tempo sapete che negare di essere a rischio non serve a nulla, perché i segnali sono ben chiari. Trovate il prima possibile qualcosa da fare, possibilmente qualcosa che vi metta a stretto contatto con voi stessi: fate una lunga doccia calda anche se sono le tre del pomeriggio, pettinatevi, truccatevi, incrematevi, toglietevi la tuta e mettete vestiti “veri” anche se siete soli in casa. Non perdete il controllo di voi, non negate il vostro corpo.
E soprattutto non pensate “non ho tempo per fare queste cose”: sapete che se vi mettete davanti al computer o alla tv o sui libri nel giro di poco vi alzerete per andare in cucina. Prevenitelo, perché vi conoscete. Butterete via 30-40 minuti ma avrete scampato l’abbuffata. E sarete più profumati e belli che mai!
Vi consiglio -come già accennato da Martina settimana scorsa- di fare una lista preventiva delle cose da fare nei momenti più pericolosi per l’abbuffata: pensateci prima, così da non essere impreparati; sapete che prima di un’abbuffata è impossibile concentrarvi su altro, quindi fate in modo di avere già una lista di cose da fare che vi tenga impegnati.
Essere gentili con sé stessi e non avere fretta.
Correggere un brutto rapporto con il cibo è un percorso che presenta qualche passo a gambero: tre avanti, uno indietro.
Siate realistici: non è possibile interrompere di punto in bianco un ciclo di abbuffate che dura da anni, delle cadute ci saranno sempre.
Siate ottimisti: queste cadute saranno sempre meno frequenti e sempre meno pesanti, si diraderanno il tempo e diventeranno qualcosa di più simile ad uno sgarro per golosità che non un’abbuffata.
Siate tolleranti: chi ha vissuto un disturbo dell’alimentazione difficilmente ne esce completamente; ci saranno momenti della sua vita particolarmente stressanti nei quali le cattive influenze si ripresenteranno. E’ una vostra debolezza, non una vostra colpa. Fa parte di voi e del vostro carattere: prima lo accettate, meno danni farà. Se invece continuate a negare questa parte di voi, ripetendovi che “voi non siete così”, continuerete a negare una parte di voi stessi con la quale dovete comunque convivere, e che diventerà tanto più forte quanto più intensamente voi la negherete.
Non sto dicendo che non avrete mai un bel rapporto con il cibo o con voi stessi, anzi! Voglio però farvi capire che rimarrà un vostro modo d’agire in situazioni di stress: riconoscere che anche a distanza di anni potrete passare un periodo in cui sfogherete le emozioni sul cibo vi aiuterà a riconoscere tempestivamente il problema, e a fare il possibile per non permettergli di farvi del male.
35 Comments
Complimenti, davvero!
Gran bel post; come sempre mi rispecchio tantissimo nei tuoi articoli…sembri essere dentro alla mia testa; mi ritrovo tantissimo nei comportamenti che descrivi..mi aiutano a “togliermi le fette di prosciutto dagli occhi” (giusto per rimanere in tema. :P)
Perchè si cerca sempre di negare (anche a se stessi) di avere dei problemi con il cibo fino a quando qualcuno non ti fa rendere conto che il rapporto con cui ti poni con esso non è sereno ma nervoso, sofferto, ossessivo.
Ci siamo viste a fine ottobre ma purtroppo non sono riuscita ancora a seguire con costanza ed impegno lo schema alimentare da te consigliatomi. Mi capita spesso di cadere nelle abbuffate che tu descrivi tanto bene qui sopra, per poi alternarle a periodi di alimentazione ristretta per il senso di colpa (es. pasti a sola verdura), che mi fanno ricadere in un’altra ennesima abbuffata. Abitudini radicate da cui è difficile sbarazzarsi. Seguirò i tuoi ottimi consigli e cercherò di impegnarmi al massimo per cercare di uscire da questo circolo vizioso e rispettare al meglio lo stile alimentare ( e non la dieta) che mi hai suggerito.
Grazie mille per tutti gli aiuti che ci dai con i tuoi post!
ottimo articolo….e ottimi consigli! Grazie! attendo trepidante i prossimi, come dicevo anche in un post nel precedente articolo, sarebbe interessante un approfondimento sui nostri autosabotatori interni che a volte sembrano proprio non volerci abbandonare mai…pensi di essere sulla strada giusta x il cambiamento….sembra andare tutto x il meglio e trackkkkk….eccoli che escono a rovinare tutto e riportarci sulla vecchia strada!!
grazie per questi articoli, personalmente li trovo molto utili!!
Grazie per i complimenti Michela 🙂
Con il tempo cercheremo di dare una panoramica completa ai vari problemi, ma tieni conto che ho in programma anche tanti altri articoli che non c’entrano con il rapporto con il cibo… Quindi, tempo al tempo 😉
Grazie 🙂
Con le lacrime agli occhi ti dico grazie perchè hai saputo rivelare quello che troppo spesso a se stessi si vuole tacere. E lo hai rivelato con competenza, chiarezza ma soprattutto con quella spontaneità che rende il problema riconoscibile e il modo d’essere a esso connesso accettabile. Grazie Arianna, ti seguo da tempo e non sai come il tuo sito sia una sicurezza nei momenti di confusione, una voce che sa suggerire sempre una soluzione praticabile, una finestra che offre una prospettiva diversa sul mondo che ci circonda ma soprattutto sul mondo che gravita in noi stessi!
Grazie a te Francesca per essere uscita dal silenzio con cui mi segui con questo commento, e per avermi fatto sentire la tua presenza 🙂 E’ bello sapere di esserti stata utile quando ne avevi bisogno, e spero di poterlo continuare a fare anche in futuro. Ti mando un abbraccio e un in bocca al lupo per tutti quei brutti momenti che ti fanno vivere male, e che si sentono attraverso le tue parole.
Anche questa volta leggo e piango, soprattutto nell’ultima parte. L’ho capito pochi mesi fa, troppi pochi. Ma l’importante e’ averlo capito. Mi voglio bene ora, so che ci saranno ricadute, e so che e’ una dura lotta. Ma so di poterla affrontare. Ho le lacrime, perche’ a volte avviene cosi’, per caso, ci si accorge di avere un problema, lo si realizza, e d’improvviso non e’ piu’ un mentire a se’ stessi, ma un dirsi una verita’, che fa cosi’ male da far restare senza fiato.
Essere gentili con se’ stessi, essere tolleranti. Sono cose difficilissime. Spesso non ci si sa perdonare. Io sono su questa strada dissestata e in salita, e in un periodo della mia vita in cui peggio non potrebbe andare, in cui tutte le certezze sembrano frantumarsi. Eppure forse e’ in questi frangenti che si trova quel briciolo di forza dentro di se’ che ci aiutera’ a uscire da tutto quel pantano.
Forse ho divagato. Chiedo scusa se vi ho annoiato. Non lo so. Ma questi articoli e questo tema sono devastantemente aprenti una diga dentro la mia anima.
Tutti i consigli nell’articolo li avevo giá intuiti da me. E li attuo, o cerco di farlo al meglio. Mi aiuta parecchio sapere di essere sulla strada giusta.
Mi voglio bene. A 30 anni lo scopro.
E faro’ di tutto per riuscire a uscire dal tunnel. In particolare il tunnel del cibo. Basta abbuffate. Basta alimentazione sbagliata.
Si alla vita.
(ok lo ammetto l’ho inventato io il “Si a Valsoia”. Era Valsoia vero? Ho un dubbio ora 🙂 ).
Sei un tesoro ad aprirti così pubblicamente: credo che i messaggi di chi sta passando un brutto momento e sta cercando di uscirne con equilibrio siano molto più significativi di qualsiasi mio consiglio. Perché tu ora stai dicendo che è possibile cambiare le cose in qualsiasi momento della propria vita, anche quando “proprio non va” o anche quando si fa una fatica immane ad ammettere il proprio problema, e le proprie debolezze.
Sono onorata di starti vicino in questo momento! 🙂
…anche se il dubbio che tu sia affiliata a Valsoia mi fa guardare con sospetto il tuo operato in terra straniera! Non è che vuoi convertire i campi di papaveri in campi di soia, vero?!
… tra l’altro in Olanda ci sono i tulipani, non i papaveri.. quelli forse in Danimarca 😉
…sì ok, ci rinuncio: prima ti colloco in Danimarca, poi faccio un casino botanico.
Brava Arianna. -.-”’
Arianna che consigli utili e argomenti interessanti hai trattato in questo post !! Io amo il cibo, amo stare a tavola, cucinare per me e per gli altri e mangiare di gusto, per cui per me è solo un piacere e il cibo non rappresenta un pericolo, ma questo a volte mi porta a quello che io definisco ” mangiare per ingordigia”, ossia dopo un pasto completo ho il pensiero di un determinato alimento di cui vado ghiotta, e magari lo mangio anche se sono sazia! Penso che i tuoi consigli mi possano essere utili anche per questi miei atteggiamenti che non saprei se definire vere e proprie abbuffate soggettive, perché io riesco a controllarmi e darmi un freno, ma a volte mi piacerebbe ascoltare di più il mio segnale di sazietà, e dire STOP ho mangiato abbastanza!
Come sempre GRAZIE! Un bacio
Brava Giulia! Anche se le tue non erano di certo abbuffate, si trattava di certo di dare un potere ‘extra’ al cibo, potere che non gli spetta affatto! Ascoltati: nessuno ti conosce meglio di quanto tu stessa puoi fare 🙂
Davvero tanti complimenti Arianna per questo articolo! Spesso si associa la parola dieta con privazione e sacrificio invece dovrebbe essere un cambiamento verso uno stile di vita più sano per amare di più noi stessi anima e corpo.
Grazie per i tuoi consigli e la tua professionalità!!Ottimo lavoro!!!Un abbraccio
Grazie mille a te per questo bellissimo commento!! 🙂
lascio anche i miei di complimenti, anche io mi ritrovo in questi 2 articoli sulle abbuffate… mi chiedo: succede in prevalenza alle donne? può dipendere anche dagli ormoni? (sono ossessionata dai miei ormoni, fino a che non troverò il giusto equilibrio con me stessa non smetterò di cercare di capire!!)
Sì, mediamente il rapporto conflittuale con sé stesse -che poi si ripercuore sul cibo- è appannaggio prettamente femminile, anche se non mancano casi di DCA negli uomini (più binge e obesi-abbuffatori che non bulimici o anoressici). Di certo non si tratta di un comportamento scatenato da un’unica causa, e possiamo tranquillamente dire che gli ormoni siano coinvolti… Ne parlerò agli incontri che terrò al mio paese nelle prossime settimane, di cui se riesco metterò un sunto anche qui!
Buonasera! Ho letto ora questo articolo: a me era capitato in passato di sentire di perdere il controllo, ma ora no. Semplicemente 3 o 4 volte all’anno ho voglia di qualcosa di dolce (non poco) e la assecondo, anche se so che il mio corpo non ne è felice. Ad esempio stasera dopo moltissimi sushi e sashimi ho mangiato metà vasetto di crema di nocciole e cacao e un pacchetto di biscotti con cioccolato da 300 g! Oltretutto con consapevolezza e tranquillità sebbene sembri strano!
Abbuffate vere e proprio io non le faccio – se non consideriamo quelle programmate tipo “stasera faccio le patate fritte e ne voglio mangiare uno sproposito!”… situazioni di questo tipo hanno cadenza circa ogni 10 giorni.
Da quello che ho capito l’abbuffata ha come fondamento la quantità smodata di cibo ingerito in maniera complusiva, giusto?
Se invece a metà pomeriggio lavorativo sgarro e mangio una dolce porcheria (un Mon Cheri, ad esempio) so che lo faccio per noia (non lo farei se stessi facendo qualcosa di coinvolgente) ma non capita spesso e soprattutto si limita a un solo dolcetto. Il problema è che poi mi avvilisco per non essere riuscita a resistere e mi sento mortificata per i motivi così ben spiegati nell’articolo.
Questa fame nervosa mi è rimasta da quando, due anni fa, ho smesso di fumare e non se ne è mai andata via purtroppo!
Da quello che mi descrivi le tue non sono abbuffate nemmeno da un punto di vista soggettivo: sono semplicemente sgarri che ti lasciano il senso di colpa, né più né meno che come il resto della popolazione femminile 🙂 Le abbuffate sono un problema molto più profondo, mentre il senso di colpa verso il cibo dev’essere inscritto in qualche modo nel nostro DNA 😉
Semplicemente grazie, spero mi sia d’aiuto.
Anche se non ci conosciamo, spero davvero che lo sia per te…
Cara dottoressa, le avevo scritto un po’ di tempo fa, non ricordo il motivo preciso. so solo che la situazione da allora è molto peggiorata e sono entrata in un tunnel da cui non riesco a uscire. Non riesco a smettere di abbuffarmi, continuamente, dopo ogni pasto, è un inferno. Conosco tutte le tecniche, ho letto migliaia di testimonianze, eppure nella mia testa scatta sempre qualcosa di strano, abominevole, di cui mi vergogno, che mi porta a mangiare qualsiasi cosa, e va avanti per ore, oggi due volte, anche sei, sette, forse di più alla settimana. Ho perso il controllo, ma non so a chi rivolgermi, perché non voglio confessarlo ai miei genitori, ma neppure posso andare da uno specialista gratuitamente. Aveo pensato di chiedere un incontro con lo psicologo del mio comune, il servizio è gratis, pensa che potrebbe essere un punto di partenza? Sto impazzendo ormai, eppure non riesco a fermarmi. quando inizio a mangiare è la fine. sento che sta rovinando tutto.
Cara Valentina, pur non conoscendo nello specifico il tuo problema ti consiglio caldamente di cominciare da qualsiasi parte, purché cominciare: lo psicologo del comune potrebbe essere un buon punto di partenza, chiedendo consiglio a lui per avere nomi di strutture specializzate in DCA vicino a te. Molte fanno lo sportello di consulenza gratuito, o a un prezzo molto basso e detraibile dalle spese sanitarie.
Ti consiglierei anche di parlarne ai tuoi genitori, iniziando da tua mamma o da tuo papà a seconda di chi senti più affine: credimi, il coinvolgimento dei genitori è fondamentale per la guarigione; hai bisogno di un sostegno e di un aiuto anche tra le mura domestiche.
Non sentirti sperduta: le soluzioni ci sono, e il primo passo è sicuramente quello di ammettere di avere un problema. Il secondo passo è trovare l’aiuto, e non demordere mai anche se inizialmente il percorso sarà tortuoso e con mille buche o ostacoli.
Non posso che augurarti il più sincero in bocca al lupo… Mantieni la concentrazione su di te e sul tuo benessere!
grazie perche sto passando uno dei periodi piu’ brutti della mia vita..e te hai rinfrescato e ridato speranza a cio a cui credo e cio per cui ho sudato tanto!!!!baci
Grazie a te per il commento Federica, e un in bocca al lupo di cuore per il tuo percorso…! 🙂
Io ti ringrazio infinitamente per questo blog e per questo articolo dal profondo del mio cuore 😉
Grazie mille per il tuo commento Raffaella 🙂
Grazie!
Mi sono trasferita per studio, ma non ingrano. Ho ascoltato troppe teste,anche ben intenzionate. Troppi consultiMi hanno consigliato il crudismo prevalentemente a base vegan, ma è diventato un problema fare la spesa,perche mangio subito quello che dovrei tenere di scorta. O passo a prendere le gallette, vergognandomene. Ieri 150 GR frutta oleosa. Albicocche secche, due fichi d India, 80 GR bacche di goji, 300 gr di ceci. Oggi mandorle, 3 pacchetti di gallette, poi goji ma è troppo. E sento che non è fame fisiologica.mi impedisce di studiare, di essere serena nelle relazioni sociali. Mi sento rallentata se mangio troppo. Sono 162 ossatura fine. E sento chili inutili. Incontri dietisti e medici più disparati, un medico vegano mi ha detto verdura e frutta crude di base, ma so che troppa frutta porta a trigliceridi. È un attimo che ti affibbiano etichette. È un attimo rischiare di rovinare i propri sogni e progetti. Da giugno da 42 a 53 chili di adesso, solo per forte stress e solitudine, e tanta tristezza. Pur con tutti gli schemi del mondo. Posso essere vegetariana.Arianna? Com fonti sane di carboidrati vanno bene le verdure più amidacee,zuccapatate dolci ecc? Quanti legumi sono troppi? Se do fede a berrino, i legumi devono essere pochi. La frutta secca ingrassa anche un vegetariano se presa in dosi di 100 GR al giorno? Spero almeno che a qualcuna d queste domande possa rispondere pur capendo che online è limitante. Grazie.
Mi spiace veramente, ma non mi è possibile dare alcun consiglio attraverso un commento, anzi… Lo trovo quasi mancanza di rispetto verso la mia professionalità, onestamente.
E al di là di questo, come è possibile dare indicazioni strettamente pratiche per un problema che parte della mente? Se anche tentassi di rispondere, a questo punto sarebbe totale mancanza di rispetto verso di te e il tuo problema.
Se alla ricerca di aiuto di aggrava il senso di colpa il paziente muore proprio.non si puo parlare di mancanza di rispetto quando una persona disperata cerca aiuto. La professionalità deve essere al servizio della salute e della persona, non il contrario.
Parlo non solo da medico, ma da padre. Se è cosciente dello smarrimento e dello stato confusionale psicologico che si ha in quest casi, fare ricami sulla professonalita non serve. Non e un privilegio poter aiutare chi e in dfficolta. Mente e corpo sono una cosa sola, aiutando organicamente si mette in equilibro anche la mente. Se uno mi implora di togliergli una spina perche lui non ci arriva, non gi dico mi offendi perche io ci arrivo e tu no.la dicotomia o astruse teorie psicologiche psicoterapeutiche non servono se la persona organicamente non ha le molecole giuste dentro di se. A volte basta il buon senso per intuire cosa potrebbe aiutare una persona in via d emergenza. Questo è il mio parere. La mente non impazzisce. È fatta di sangue e di molecole.
Sono una 40enne che trascorso gli ultimi 5anni della sua vita alla continua ricerca della perfezione fisica. Arrivata al peso non mi bastava, ho tolto i carboidrati per aumentare la massa magra. Capelli dovevano essere perfetti, manicure e più ne ha…Improvvisamente muore mia madre. Perdo altri chili il primo periodo. Ora ho completamente perso me stessa. Riesco a mangiare delle cose indicibili, passare dal dolce al salato, per rimpinzarmi di nuovo di dolci. E non me ne frega niente! Ma come è possibile!? Il senso di colpa nasce perché mi sento scoppiare, non perché l’ho fatto. È se non dovessi più dimostrare niente a nessuno. Ho un marito che è ancora, nonostante tutto, attento ad una vita sana e continuo a farla seguire anche ai miei figli. Riguardo me… voglio solo mangiare! Durante la mia vita di “perfezione” mi è capita di sgarrare assaggiando di tutto ma a partire dal giorno successivo si rientrava in carreggiata, un giorno non sono più riuscita!