Nel precedente articolo ho cominciato a parlare dei motivi per i quali accade con una certa frequenza che i disturbi dell’alimentazione, anche quando risolti, possono lasciare conseguenze sul corpo: disbiosi intestinale, problematiche gastriche, carenze vitaminiche e minerali. 
Oggi vorrei soffermarmi su alcune conseguenze specifiche a livello di scheletro, ciclo e tono dell’umore.
Si tratta di tre problematiche di maggior rilievo che permangono anche a distanza di anni dalla risoluzione psicologica del DCA, e che quindi ritengo essere di interesse anche per chi abbia ampiamente superato un rapporto con il cibo burrascoso. Ci sarebbe da parlare più approfonditamente anche della disbiosi intestinale e delle sue conseguenze sui vari distretti corporei, ma lo riserbo per un articolo a parte, più avanti.

Osteopenia in età giovanile

Quasi tutte le donne che hanno sofferto di anoressia sono esposte al rischio di osteopenia, ossia riduzione della massa ossea dovuta ad inadeguata sintesi di matrice in conseguenza a privazioni dietetiche. Alcune di loro svilupperanno vera e propria osteoporosi prima dei 30 anni, vale a dire una patologia derivante dall’impoverimento osseo che determina un aumentato rischo di fratture, dolore cronico e perdita di autonomia funzionale. 
Le due condizioni sono dovute alla carenza alimentare protratta nel tempo di calcio, potassio, magnesio e, soprattutto, vitamina D.
Il rischio per la salute delle ossa è significativamente preoccupante quando le restrizioni alimentari sono iniziate in età precoce: a fare una netta differenza nella degenerazione verso l’osteopenia è il picco di mineralizzazione ossea, vale a dire il momento nel quale lo scheletro arriva ad essere massimamente mineralizzato, tra i 20 e i 25 anni d’età.
Il nostro scheletro è caratterizzato dalla successione di tre fasi ben distinte: crescita, stabilizzazione, impoverimento.
Il periodo di crescita non deve essere confuso con il raggiungimento della statura massima della persona: il nostro scheletro non cresce solo in altezza, ma anche in massa minerale. Un adolescente raggiunge la sua massima altezza verso i 18 anni: il suo scheletro, invece, continuerà a crescere ancora fino ai 25, arricchendosi di minerali che vengono depositati tra le trabecole ossee.
Tra i 25 e i 50 anni circa lo scheletro attraversa la fase di stabilizzazione: viene continuamente rimaneggiato, ma la sua massa minerale rimane costante (a meno che si attraversi un periodo di forte e prolungata privazione di cibo, o si assumano farmaci che abbiano tra gli effetti collaterali l’impoverimento osseo).
Successivamente abbiamo il periodo di impoverimento, dove lo scheletro comincia a perdere minerali in misura progressiva: circa lo 0,5% all’anno. Nella donna si assiste ad un impoverimento ancora più significativo (fino all’8% annuo) in concomitanza della menopausa, poiché viene improvvisamente a mancare la protezione offerta dagli estrogeni.

Il picco di mineralizzazione ossea è un parametro predittivo fondamentale per l’osteoporosi: dovete paragonare il picco di mineralizzazione ad un conto in banca che potete aumentare fino ai 25 anni e che rimarrà poi stabile fino ai 50, per poi decrescere. Se il picco è elevato a 25 anni, significa che dopo i 50 anni potrete stare tranquilli che, nonostante la diminuzione, non ci sia compromissione scheletrica patologica; se invece il picco è esiguo le insidie dell’osteoporosi sono dietro l’angolo.
E’ per questo motivo che le diete fai-da-te condotte in età giovanile possono essere più deleterie di quanto si potrebbe immaginare: la restrizione dei grassi è un considerevole fattore di rischio nell’abbassamento dei livelli di vitamina D, e questo determina un abbassamento del picco di mineralizzazione ossea, anche qualora ci si assicurasse un apporto di calcio adeguato.
Ad essere a rischio non sono solo le persone che abbiano sofferto di anoressia prima dei 20-25 anni, ma anche tutti coloro affetti da dieting, ossia lo stare continuamente a dieta.

Purtroppo, dopo i 25 anni di età si può fare poco per il picco di mineralizzazione: una volta raggiunto non è possibile aumentarlo (in altre parole, gli sportelli della vostra banca sono e rimaranno chiusi). Quello che è possibile è la prevenzione dell’osteopenia, vale a dire la riduzione delle perdite minerali sia tra i 25 e i 50 anni sia, e anzi soprattutto, dopo la quinta decade d’età.
Prima di tutto è necessario assicurarsi un corretto apporto di calcio, magnesio e vitamina D. 
Il calcio si trova non solo in latte e derivati, ma anche in crostacei (come gamberi o mazzancolle), broccoli, cavolfiore, fichi, mandorle, semi di lino, semi di sesamo e la semplice acqua. 
Il magnesio è un minerale ubiquitario che ritroviamo in tutta la verdura, la frutta (fresca e secca), i semini, i legumi e i cereali integrali. 
La vitamina D è una vitamina liposolubile che ritroviamo in pesce di mare e d’oceano (in particolare merluzzo, sgombro e alici), burro di centrifuga o ghee, latte e formaggi provenienti da mucche allevate al pascolo (è importante sottolineare che i latticini da allevamenti intensivi, dove gli animali sono alimentati a insilati e non con erba fresca, sono privi di vitamina D a meno che non sia addizionata industrialmente).
Non va tuttavia dimenticato che a fare la differenza sulla salute dello scheletro sono anche la corretta esposizione solare, l’attività fisica con sovraccarichi e, nella donna, la protezione offerta dagli estrogeni. Con questo mi collego al prossimo paragrafo, poiché l’amenorrea, altra problematica correlata a DCA, determina l’abbattimento della produzione estrogenica, aggravando il quadro della salute ossea.

Carenze alimentari e ciclo mestruale

Nel sito ho più volte parlato dell’amenorrea legata a restrizioni alimentari: capita spesso che una donna che si mette a dieta, anche quando seguita da professionisti dell’alimentazione, possa avere qualche temporaneo problema sul ciclo mestruale. Questo accade perché gli ormoni sessuali risentono anche di piccole oscillazioni della percentuale di massa magra. 
Quando la restrizione calorica è massiccia e si associa a stress psicofisico l’amenorrea è una conseguenza pressoché scontata: il corpo di una donna privato del giusto nutrimento si autolimita, impedendo che avvenga l’ovulazione, che potrebbe potenzialmente portare ad una gravidanza, condizione non sostenibile in presenza di iponutrizione.

Sarebbe logico pensare che la stabilizzazione del peso corporeo possa garantire il ritorno del ciclo, eppure non sempre questo accade. Alcuni ricercatori e medici sostengono che una carenza vitaminico-minerale mai compensata possa essere uno dei motivi più rilevanti alla base di un ciclo irregolare o addirittura assente nelle donne, anche qualora abbiano raggiunto un peso opportuno. Questo, in parte, spiega perché il ciclo mestruale scompare anche in ragazze che abbiano perso qualche chilo, senza tuttavia mai arrivare al sottopeso: pare che l’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi sia più suscettibile di fattori stressogeni e carenza di micronutrienti piuttosto che di un vero e proprio deficit calorico. In particolare una carenza di zinco, vitamina B12, vitamina D e ferro può determinare amenorrea (scomparsa completa del ciclo per almeno 6 mesi) o problemi ovulatori, con cicli che possono superare i 40-50 giorni.

La vitamina B12 

Della vitamina D avevamo parlato qui, qui e qui. 
Spendo invece due parole in più sulla vitamina B12: questa vitamina è contenuta in tutti i prodotti di origine animale, ma è assente in quelli di origine vegetale; per essere più precisi, esistono alcune alghe, come ad esempio la spirulina, che contengono fonti inattive di vitamina B12: non è possibile contare su di esse come fonti alimentari utili.
La vitamina B12 è prodotta anche dalla nostra flora batterica intestinale, ma tale produzione è pressoché inutile ai fini metabolici.
Nella donna la carenza di B12 si traduce frequentemente con problemi ovulatori.

I motivi per cui la B12 può essere carente sono diversi:
Scarso apporto alimentare, causato da restrizioni perpetrate a lungo.
Uso di antibiotici e di pillola anticoncezionale (se assumete la pillola da più di 3-4 anni in modo continuativo vi conviene fare un controllo).
– Presenza di problematiche gastriche: il fattore intrinseco, prodotto dallo stomaco, è fondamentale per l’assorbimento della B12. La sua secrezione viene inibita da reflusso gastrico ed ernia iatale. Inoltre, anche anni di bulimia con vomito autoindotto possono compromettere la capacità della parete gastrica di produrre il fattore intrinseco, pertanto in questo caso può essere rilevata carenza di B12 anche qualora l’introito alimentare fosse adeguato.

Per accertare la carenza è sufficiente un semplice esame del sangue: sarebbe opportuno che i valori ematici di B12 fossero superiori a 300-350 ng/L, e mai (mai!) inferiori a 150 ng/L. 
Senza esami del sangue la carenza di B12 è difficile da individuare perché i sintomi sono aspecifici: debolezza muscolare e mentale, nausea, reflusso gastrico, anemia, battito cardiaco accelerato, diarrea e -appunto- problemi mestruali. Solo quando ormai la condizione è davvero preoccupante (valori inferiori a 80-100 ng/L) si manifestano i sintomi più gravi, riscontrabili a livello neurologico (debilitanti fino alla vera e propria demenza).

Nella donna che soffre di DCA abbiamo la copresenza di diversi fattori di rischio per la carenza di B12:
– La forte limitazione di prodotti di origine animale (spesso visti come “impuri”);
- L’uso di medicinali lassativi;
– La pratica del vomito autoindotto (come detto poco fa, il fattore intrinseco prodotto dallo stomaco è indispensabile all’assorbimento della B12: la lesione delle pareti gastriche a causa del vomito compromette la produzione di fattore intrinseco);
– L’abnorme consumo di verdura, alimenti integrali e legumi (la fibra vegetale “riempie” lo stomaco ed attenua la sensazione di fame data da diete restrittive; purtroppo, l’abuso di fibra e di cellulosa determina la chelazione di minerali e vitamine, che vengono resi indisponibili all’assorbimento proprio perché “imprigionati” dalla fibra: la vitamina B12 è tra le maggiormente chelate).

Se sapete di esservi esposte a questi rischi e se attualmente riscontrate problematiche del ciclo, parlate con il vostro medico di base o ginecologo e richiedete di fare esami del sangue approfonditi per accertare la presenza di eventuali carenze: controllate in primis vitamina D, B12, ferro e ferritina.

Molti integratori a base di inositolo, una sostanza naturale prescritta dai ginecologi in caso di PCOS ed altri problemi mestruali, contengono anche acido folico e vitamina B12, ma purtroppo quest’ultima è presente in forma di cianocobalamina. La cianocobalamina è la vitamina B12 in forma inattiva: è inutile da integrare se il corpo non è in grado di attivarla o se la carenza fosse significativa. E’ meglio orientarsi verso integratori di metilcobalamina, ossia la B12 in forma attiva: parlatene con il vostro terapeuta per individuare l’integratore migliore come tipologia, dosaggio e durata di somministrazione.

Come accennato in precedenza, l’amenorrea conseguente ad un DCA può essere determinata non solo da restrizioni alimentari, ma anche da fattori stressogeni che vanno a perturbare il lavoro dell’ipotalamo e dell’ipofisi, importanti centri endocrini cerebrali. Se si compensano eventuali carenze dietetiche ma non si lavora sul “de-stressarsi” rimane assai difficile lo sblocco del mestruo: quante volte, pur con un aumento calorico, permane l’ossessione del controllo del cibo, la paura di alcuni alimenti, la fissazione a “dover” mangiare solo entro certi criteri? In questi casi non si può dire che il DCA sia stato completamente risolto, nonostante il raggiungimento di un peso adeguato.

La centralità dello zinco per ormoni e umore
Lo zinco è un minerale che rientra in alcune reazioni metaboliche importantissime per l’organismo: produzione di insulina, secrezione di ormoni sessuali, crescita fisica, meccanismi relativi alla memoria e all’umore. La carenza di zinco determina un rallentamento di queste funzioni; nello specifico si può avere blocco della crescita (nei bambini), problemi nello sviluppo puberale (negli adolescenti), ipoproduzione spermatica nell’uomo, cicli anovulatori nella donna, insulino-resistenza in entrambi i sessi. 
La carenza di zinco connessa a restrizioni alimentari si può manifestare in modo anche più subdolo: perdita di capelli e unghie fragili, eruzioni cutanee acneiche, diarrea, debolezza fisica e immunitaria (lo zinco è fondamentale per il corretto funzionamento del sistema immunitario: la sua carenza espone ad un significativo rischio aumentato verso agenti infettivi). 
Come per altri micronutrienti, la restrizione dietetica rappresenta un significativo rischio di carenza di zinco, soprattutto quando tale restrizione si accompagna alla scelta di escludere sia carne che pesce che uova dalla propria alimentazione.
Quello che è interessante, parlando di DCA, è rilevare che la carenza di zinco potrebbe rappresentare uno dei tanti inneschi all’instaurarsi del circolo vizioso di cui il DCA stesso si nutre a livello di sistema nervoso centrale.

Mi spiego meglio: sappiamo che un disturbo dell’alimentazione non ha mai una singola causa. Esistono i cosiddetti fattori di rischio, i fattori precipitanti e i fattori di mantenimento.
– I fattori di rischio sono quelli che aumentano la vulnerabilità a sviluppare un DCA, che possono essere sia caratteriali-psicologici (perfezionismo, bassa autostima, desiderio di magrezza) che organici (sembrano essere coinvolti alcuni pattern che coinvolgono dopamina e serotonina a livello cerebrale, ma anche alcune sequenze genetiche e disbiosi intestinale).
– I fattori precipitanti, come dice il nome stesso, sono quelli che danno avvio al disturbo. Di per sé i fattori di rischio non rappresentano una condanna: a parità di fattori di rischio c’è chi andrà a sviluppare il DCA e chi no; dipende dai fattori precipitanti cui si è esposti durante la vita, in particolare tra infanzia ed età puberale. Ad esempio, aver subito abusi sessuali o bullismo a scuola, oppure essere stati esposti ad eventi traumatici (divorzio dei genitori, lutto, malattia).
– I fattori di mantenimento sono quegli innumervoli ‘inneschi’ che mantengono attivo il circolo vizioso di un DCA. Ad esempio: le diete restrittive espongono al rischio di abbuffate, cui si risponde con una dieta ancora più restrittiva; i commenti negativi (più o meno delicati) che si ricevono riguardo il proprio corpo (“sei paffuta, vedo che hai appetito, mangi troppo…”) causano una maggior convinzione a voler dimagrire, ma anche quelli positivi rafforzano la propria autostima e la determinazione a continuare la dieta (“con questi chili in meno stai proprio bene, beata te che ti sazi subito, sei proprio brava a resistere al gelato…”).
Tra i fattori di mantenimento si devono per forza contemplare anche quelle carenze alimentari cui ci si espone con la dieta e con il vomito, che determinano modifiche organiche “di mantenimento” al DCA. Ad esempio la carenza di carboidrati causa nervosismo e irritabilità che possono sfociare in un’abbuffata; l’eccesso di zuccheri, tipico del binge, attiva pattern cerebrali di dipendenza (inconsciamente si comincia a ricercare il falso benessere di un’abbuffata); la carenza di vitamina D concorre a un basso tono dell’umore e a stanchezza cronica, e a rafforzare uno stato di apatia e di ossessione verso pensieri disturbanti.

In tutto questo, lo zinco cosa c’entra? Diversi studi hanno dimostrato che la carenza di zinco è uno dei fattori coinvolti in sindrome depressiva, disturbi ossessivo-compulsivi, irritabilità, insonnia. E’ per questo motivo che la carenza di zinco, determinata dalla restrizione alimentare, si è rivelata essere uno dei fattori di mantenimento della restrizione stessa.
Chiaramente, integrare lo zinco non è in alcun modo sufficiente a permettere la guarigione del DCA, che si combatte su più fronti: l’approccio psicoterapeutico integrato e l’educazione alimentare vengono assai prima di qualsiasi tipo di integrazione. Tuttavia, a distanza di diversi anni dal DCA (quindi una volta che sia stato superato, con la riconquista di un rapporto equilibrato con il cibo e di un atteggiamento positivo verso il proprio corpo) si può talvolta riscontrare la permanenza di strascichi emotivi e psicologici del disturbo, come l’insonnia o il sonno disturbato, il tono dell’umore ingiustificatamente basso, la forte irritabilità, anch’essa ingiustificata. Sottolineo il fatto che tali inclinazioni dell’umore devono risultare non strettamente dipendenti da altri fattori: se la sindrome depressiva è giustificata da problematiche interpersonali o conflittualità oggettiva, o se l’irritabilità è dovuta a uno stress psicofisico costante, non ha senso chiamare in causa ipotetiche carenze alimentari. 
Se invece non esistono né motivi palesi né rilevati da uno psicologico, e se contemporaneamente risultasse che l’alimentazione ha continuato ad essere limitata verso fonti di zinco sarebbe bene provare ad ipotizzare un’integrazione ad hoc del minerale. Tale approccio è ancor più giustificato se ci fossero anche altri segni della carenza di zinco: unghie e capelli fragili, facilità ad infezioni batteriche, virali e fungine, problematiche ormonali della fertilità e della libido.

Prima di tentare la strada dell’integrazione può essere opportuno assicurarsi un’assunzione quotidiana da fonti alimentari. Lo zinco si trova in moltissimi alimenti sia animali che vegetali: pesce e carne rossa, vongole e cozze, semi di zucca, cacao, ostriche, funghi, tuorlo delle uova. Va ricordato che la presenza di ossalati e fitati inibisce l’assorbimento dello zinco: per questo motivo le fonti vegetali (come i semi e il cacao) risultano nettamente svantaggiose in confronto a tuorli delle uova, molluschi e carne rossa (purché proveniente da allevamenti consapevoli!). Un motivo in più per consumare le uova con il tuorlo (come non smetterò mai di consigliare) e per farsi offrire una cenetta a base di cozze e vongole in qualche ottimo ristorante di mare!

Conclusioni

Naturalmente non dovete far l’errore di ritenere che l’amenorrea, la carenza minerale ossea, l’insonnia o il basso tono dell’umore siano dovuti esclusivamente a carenze alimentari conseguenti a dieting o DCA: i fattori in gioco sono molti, tanto che sarebbe completamente inutile pensare che la semplice integrazione possa essere risolutiva verso problemi così complessi e sfaccettati. E’ la sinergia tra diversi input, nutrizionali e psicologici, che permette la riconquista completa dell’equilibrio interiore. 
 Tuttavia, a parità di altre terapie complementari (cognitivo-comportamentale, psicoterapia, fitoterapia, stimolazione ormonale…) a volte il tassello mancante è proprio quello relativo all’aspetto vitaminico o minerale: da solo è un inutile pezzo di puzzle, ma in sinergia con il resto può completare il quadro. Affidatevi sempre a un buon terapeuta prima di decidere l’assunzione di integratori che, se non ben calibrati alla vostra situazione, potrebbero essere inutili o addirittura controproducenti.

Bibliografia
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