Nel precedente articolo ho iniziato a parlarvi di selettività alimentare durante l’infanzia.
Vi avevo spiegato che per superare questo delicato periodo bisogna focalizzarsi sul *modo* più che sul *contenuto*; vale a dire: fa la differenza la strategia di fondo usata dai genitori, non la proposta alimentare in sé e per sé. Non è cucinando i pomodori in dieci modi diversi che il bambino inizierà ad apprezzarli: piuttosto, è incuriosendolo e mettendosi in comunicazione con lui.
Ecco quindi i miei 10 consigli pratici!
Primo passo: evitare l’allontanamento fisico
La mossa tipica del bambino con selettività alimentare è quella di storcere il naso, tapparsi la bocca e allontanare il piatto che non vuole assaggiare. Il primo passo che ci fa capire di essere sulla strada giusta *non* è rappresentato dall’assaggio vero e proprio, quanto piuttosto dal momento in cui il bambino, pur non portandoselo alla bocca, non allontana da sé il cibo.
Se metterete in pratica alcuni dei consigli dei punti successivi, ricordate bene che il vostro obiettivo principale è proprio questo: il non-allontanamento. Molto probabilmente, sarà solo successivamente che avverrà l’assaggio.
Invitare all’assaggio con curiosità
Cosa dite per invitare il bimbo a compiere un assaggio? Provo a indovinare:
“Ti va di assaggiare?”
“Mangia che è buono!”
“Se non ti piace poi lo avanzi”
“Lo assaggi per piacere?”
Riformuliamo la proposta, tenendo conto di due direttive.
1. Suscitare la sua curiosità
2. Non concentrare la sua attenzione su fatto di “poter/dover” mangiare
Per i bambini la frase “Assaggia, ti può piacere” (così come “Se ti piace lo mangi, altrimenti no”) è molto particolare: si sentono imbrigliati nel dover mangiare se piace. Evitatela (anche se capisco bene che non sia affatto semplice!).
Provate con queste frasi:
“Mi sembra di aver salato troppo, ti va di dirmi la tua opinione?”
“A me sembra proprio che questa vellutata di zucca abbia un sapore arancione! Secondo te è arancione o giallo?”
“Io lo metto qui, sei libero di provarlo, se vuoi”
Un’altra cosa utile potrebbe essere quella di commentare il piatto tra sé e sé, o con altri commensali, senza coinvolgere il bambino:
“Troppo poco sale, me lo devo ricordare!”
“Le zucchine più squisite che mi abbia mai venduto il fruttivendolo!”
“Non trovate che questo risotto sia un po’ troppo cremoso?”
Dare informazioni estemporanee sul cibo
Per i bambini il cibo è in primo luogo esperienza: verso i 2-3 anni iniziano ad avere piena coscienza di cosa voglia concretamente dire ‘mangiare’. Immedesimatevi in loro: voi assaggereste mai qualcosa di cui non sapete nulla e che magari ha anche un aspetto poco invitante? Pensiamo se vi proponessero… un pane fatto con farina di grilli! O un piatto esotico fatto con parti non meglio specificate di un pesce sconosciuto. Forse, se iniziate ad avere informazioni in merito, potreste arrivare maggiormente preparati al momento dell’assaggio, non trovate? Sapete, grossomodo, cosa vi aspetta.
Parlate a vostro figlio di cibo: non solo a tavola, ma anche in modo randomico: fategli notare i pomodori in un orto di passaggio, ditegli che i conigli mangiano le carote, descrivetegli il pizzicorio delle arance e la consistenza granulosa di un pesto. Parlate di gusto, profumo, coltivazione, preparazione del cibo: e mi raccomando, cercate di minimizzare i commenti sul genere “La prossima volta che lo preparo potresti assaggiarlo, che ne dici?”. Non ricordategli continuamente che vi aspettate che lui mangi, assaggi.
Potrebbe essere una buona idea anche acquistare libri e albi illustrati con protagonista il cibo.
Coinvolgere il bambino in cucina
Come dicevamo, il cibo è esperienza: e quale migliore esperienza di mettere le mani in pasta?
Lo so lo so: avete poco tempo, non volete il disastro in cucina e tendete ad essere sbrigativi nelle preparazioni. Vero? Però provate a pensare che i bambini tutto è esperienza: non devono per forza realizzare una ricetta! Potete fargli sbucciare una carota (esistono pelacarote e pelapatate per bimbi molto piccoli), fargli usare un coltello con impugnatura verticale, fargli mescolare i pomodorini conditi, mettere nel frullatore i pezzi di frutta.
Pian piano, e sicuramente in base a quella che è la sua attitudine e la vostra predisposizione, potete far sì che il coinvolgimento e la responsabilità siano sempre maggiori.
Non raccontare bugie sul cibo
Importante! Molti genitori ‘nascondono’ le verdure in minestroni o polpette perché così il bambino le mangia, oppure mentono sugli ingredienti di un piatto per paura che lo rifiuti.
È davvero, davvero, davvero importante che il bambino si fidi di voi: cosa succederebbe se scoprisse che gli state mentendo? Si sentirebbe raggirato, si fiderebbe di meno di voi e aumenterebbe la sua selettività.
Se il bambino mangia le verdure in forma di polpette, continuate a farle! Ma avvisatelo che contengono zucchine e cavolfiori, senza che suoni come un’ammonizione o una minaccia ovviamente. Voi vorreste sapere se il delizioso pane che avete appena assaggiato contiene farina di grilli, vero?
Scomporre il piatto
La fase di selettività è spesso (non sempre) caratterizzata dal rifiuto di due categorie di alimenti:
– Quelli che possono cambiare sapore o consistenza ogni volta che vengono mangiati
– Quelli che prevedono più ingredienti
La motivazione del primo punto è presto detta: i bambini amano la prevedibilità. Un biscotto è sempre lo stesso biscotto in qualsiasi momento venga mangiato (a meno che non diventi molliccio perché esposto all’aria: e infatti, non lo mangiano). Una zucchina non è sempre la stessa zucchina. Abituare un bambino all’idea che il concetto di pietanza è sempre quello, ma che ci possono essere delle variazioni sul tema, è un processo molto delicato, spesso si tratta comunque solo di dargli tempo e reiterare la proposta.
Invece, per quanto riguarda gli ingredienti di un piatto: un bambino preferisce averli chiari tutti davanti a sé. Provate ad assecondare questa sua preferenza in due modi distinti:
1) Fategli vedere come realizzate le ricette del cibo che non incontra il suo gusto; *vedere* come fate può aiutare a rassicurarlo.
2) Scomponete il piatto in tavola e invitatelo a prepararselo da solo. Ad esempio, mettete in una ciotolina il ragù o la passata di pomodoro, in un’altra la pasta bollita e in un’altra ancora il parmigiano. Non tutte le preparazioni, ovviamente, si prestano alla destrutturazione: giocate in generale sull’assemblaggio dei piatti. Una ciotola di riso bollito, una di pomodorini, una di olive, una di piselli. Una ciotola di semini oleosi, una di zucchine lesse, una di olio extravergine. Una ciotola di fragole, una di ciliegie, una di mirtilli.
Proporre la modalità pic-nic
Oltre a destrutturare il pasto come appena indicato, potete aiutare vostro figlio anche con l’uso di ciotoline e contenitori di diverse forme e dimensioni: mettete un po’ di verdura in uno stampino da mini-plumcake, un po’ di formaggio in una tazzina da caffè, i piselli in un vecchio contenitore in vetro dello yogurt. Se notate che questa modalità piace e induce all’assaggio, attrezzatevi con piatti e contenitori molto stilosi da finger-food, o lunch-box a scomparti.
Un’idea in più: per la merenda provate a proporre diversi snack dentro una pirofila da muffin; in genere ci sono 6-8 scompartimenti. Riempitene alcuni con il cibo preferito (biscottini, pezzetto di merendina, mini-gelato), e altri con cibo che voi vorreste mangiasse: fettine di pesca, acini di uva, mandorle, tarallini, olive.
Non giudicare il comportamento del bambino
È importante che il bambino non si senta giudicato nemmeno in forma indiretta.
Credetemi, so quanto possa essere difficile avere a che fare con la selettività del proprio figlio, soprattutto quando si spende molto tempo in cucina a cercare di fare manicaretti adatti a lui, ma evitate tutte le frasi simili alle seguenti:
“Fai quello che vuoi”
“Non cambierai mai”
“Ti fai del male”
“Io ti ho avvertito, questo ti farà male”
“I bravi bambini mangiano sempre quello che c’è nel piatto”
“Se mi vuoi bene assaggiane almeno un pochino”
Non confondete i diversi piani della stessa realtà: lui/lei sta attraversando un momento di confusione riguardante i suoi gusti e le sensazioni che il suo corpo gli rimanda. Voi avete delle aspettative sul suo comportamento.
Voi sapete che se mangiasse sempre come vuole, si farebbe solo del male (lui/lei no, non lo sa: non ha le capacità cognitive per comprenderlo). Lui si sente addosso un carico di responsabilità non indifferente.
State viaggiando insieme: i bambini superano quelli che credono essere limiti; ma anche voi state modulando le vostre reazioni, le vostre parole, i vostri istinti.
Non categorizzare il cibo
Altro punto estremamente arduo: per imprinting sociale, siamo abituati a riferirci al cibo “buono” e al cibo “cattivo”.
Quello buono è quello che fa bene. Quello cattivo è quello che fa male.
Ovviamente, siamo adulti, e siamo consapevoli che si tratta di un’assolutizzazione: nulla fa male, nulla fa bene; quello che conta è lo stile alimentare nel suo complesso.
Un bambino, invece, non ha le competenze cognitive necessarie a capire questa distinzione, e in realtà fa fatica a credere anche solo al fatto che un cibo molto buono (ad esempio i dolci) possa fargli male: figuriamoci, in un contesto di selettività, se riesce a comprendere perché mangiare *solo* pasta e formaggi (o altro cibo preferito) faccia ‘male’, ma mangiarli in rotazione ad altro invece no!
Dobbiamo parlare secondo le sue categorie di competenza: non è semplice far capire ad un bimbo perché non va bene che mangi solo 5 cose in croce, perdipiù se lo gratificano molto, ma non è impossibile. Finché è piccolo focalizziamoci sul potenziale positivo del cibo: possiamo spiegargli perché ci sono cose che lo rendono più forte e potente, che lo aiutano ad avere energie per giocare, che aiutano il suo corpo a combattere “i cattivi” (in riferimento, in questo caso, a virus e batteri; associare il buon cibo ad una maggiore protezione da eventi che lo fanno stare poco bene può essere una buona strategia).
Solo quando sarà un pochino più grande (età delle elementari), e competente cognitivamente, potremo provare a spiegare perché il cibo può anche avere un potenziale dannoso: prima è precoce.
In ogni caso, è importante che non associamo il cibo a vergogna, intimidazione, giudizio morale: il bambino non deve sentirsi “cattivo” o inadeguato, pigro o indolente, perché non mangia alcuni alimenti.
Ma soprattutto: avere un atteggiamento neutro
È innegabile: il nostro atteggiamento come genitori fa la vera e propria differenza verso la selettività alimentare infantile. Un atteggiamento negativo, rancoroso, negligente o accusatorio rischia di amplificare l’intensità e la selettività alimentare: come possiamo pretendere che nostro figlio non impari a usare il cibo come merce di scambio emotivo, se noi stessi lo facciamo nei suoi confronti?
Dobbiamo cercare di essere positivi e rilassati: non facciamogli percepire la nostra ansietà, non fissiamo ogni boccone che mangia, non carichiamolo di aspettative.
Cerchiamo di non metterlo in difficoltà: è inutile proporgli modalità o qualità di cibo diverse dalle sue abitudini quando è molto stanco, quando ha appena terminato una crisi di pianto o di rabbia, o quando si trova in un contesto nel quale si sente a disagio (al ristorante, con parenti o amici, con persone sconosciute).
Nello stesso modo in cui cerchiamo di non fargli percepire la nostra negatività, evitiamo di esaltare eccessivamente i passi in avanti compiuti: accogliamo con un sorriso e un commento positivo ogni suo assaggio, ma senza esaltare eccessivamente l’evento – altrimenti il messaggio che ne deriva è controproducente (da una parte, il bambino capisce quanto potere può avere su di voi il suo comportamento alimentare; dall’altro, di contro, può iniziare a sentirsi molto sbagliato quando non soddisfa le vostre aspettative: di nuovo, si confonde la selettività con un giudizio morale/comportamentale).
Spero di avervi dato degli spunti interessanti! Se volete approfondire la tematica riguardante l’alimentazione infantile, potete acquistare il mio libro dedicato al tema: “Bimbi a tavola” – Ed. Lattedinanna