Li chiamano “terrible two”: allo scoccar dei 24 mesi di vita (mese più, mese meno), bambini che fino a quel momento erano stati dolcissimi e docilissimi iniziano a mostrare quel che si suol chiamare “un bel caratterino”. Come in altri aspetti della loro vita, anche in campo alimentare i bimbi di due anni iniziano a manifestare testardaggine ai limiti dell’ostruzionismo: genitori, state attraversando la fase della selettività alimentare.
A onor del vero, i “terribili due” possono non essere così terribili, possono non dare alcun problema, o possono essere posticipati verso i 3 anni. Ogni bambino è a sé: quello che è importante conoscere è semplicemente il fatto che, verso i due anni, i bambini iniziano a capire di essere degli individui con una volontà, e tentano in ogni modo di testare fino a dove questa volontà può essere espressa e assecondata.
In relazione all’alimentazione, la fase di selettività può essere particolarmente provante per una famiglia, perché i giochi di forza si ripetono tutte le volte che ci si siede a tavola, quindi almeno tre volte al giorno. Con questo articolo (e con il successivo) mi riprometto di dare qualche spunto di riflessione e qualche consiglio pratico da mettere in pratica con il proprio bimbo.
Selettività alimentare o bambino selettivo?
Per prima cosa, a mio parere è molto importante dare un nome corretto a quello che il bambino sta attraversando: si tratta di una fase di selettività. Che è diverso dal dire “bambino selettivo”.
Nel primo caso, ci riferiamo a una parentesi temporale fisiologica nella crescita di un bambino; nel secondo caso, stiamo etichettando il bambino stesso, confondendo una caratteristica transitoria intrinseca alla prima infanzia con l’intera personcina che abbiamo di fronte.
Può sembrare una distinzione del tutto accademica, ma non è così: il modo in cui nominiamo la realtà, forma la realtà stessa. Un bambino che continuamente si sente dire di essere selettivo (con tutte le sequele verbali che ne conseguono… “non gli do le verdure, tanto non le mangia”, “mangia solo pasta e formaggio”, “fosse per lui mangerebbe sempre dolci”…) sarà un bambino che inizierà a rassegnarsi all’etichetta che gli è stata imposta; non troverà grossi motivi o grossi input per discostarsi dalla descrizione che si fa di lui: è un bambino, la selettività gli è confortevole, e non coglie i connotati negativi della situazione.
Quando invece iniziamo ad interessarci alla fase di selettività, la situazione è diversa: siamo consapevoli che la durata temporale della fase dipende in larga misura dall’atteggiamento degli adulti (certamente dai genitori, ma non solo da loro); sappiamo che il bambino non vuole essere selettivo in modo consapevole e autodeterminato; siamo consci che non si tratta di un atto di sfida nei nostri confronti; sappiamo che la fase, se ben gestita, potrebbe non lasciare alcuna conseguenza negativa. Soprattutto, connotiamo la selettività come una delle (tante) sfide educative che ci troveremo ad affrontare con la crescita di nostro figlio: ci armiamo di pazienza, siamo pronti a dover fare i conti non solo con il problema pratico (= bambino che mangia poco) ma anche con quello che in noi il suo comportamento fa risuonare.
Cosa è la selettività alimentare
Durante il periodo di selettività alimentare il bambino comincia a cambiare il proprio comportamento alimentare, limitando fortemente la gamma di cibi che accetta di mangiare. Se fino a quel momento aveva mangiato tutto (o quasi) quello che gli veniva proposto, ora le cose cambiano: la pasta al sugo no perché “è sporca”, la verdura no perché “è molle”, la carne no perché “è dura”, i legumi no perché “che schifo”, e così via.
I genitori, soprattutto se si tratta del primo figlio, iniziano ad essere un po’ spiazzati: com’è possibile che il bambino svezzato a piselli e broccoli, che mangiava così di gusto, si sia trasformato tanto e tanto rapidamente?!
Ripetiamo alcuni punti importanti:
– La fase di selettività è fisiologica
– La fase di selettività non è causata da un errato comportamento genitoriale (ma può essere perpetuata da un messaggio conflittuale veicolato dall’adulto)
– La fase di selettività non è una sfida che il bambino lancia all’autorità parentale
Continuare a ripetersi come un mantra questi tre punti aiuta a mantenere i nervi saldi.
Le cause delle selettività alimentare sono diverse: un grosso ruolo è giocato dalla neofobia (paura di assaggiare alimenti nuovi e sconosciuti; si tratta di un retaggio evoluzionistico duro a morire); un altra fetta è rappresentata da disgusti dettati da consistenze poco apprezzabili del cibo (ad esempio, la verdura molliccia) o da esperienze negative vissute con esso (proposta di minestrone dopo una giornata in cui il bambino ha fatto esperienza di forti stimoli di ansia o di rabbia, oppure conati di vomito a seguito di un determinato pasto); da ultimo, bisogna mettere in conto che verso i 2 anni i bambini ricercano quello che è perfettamente prevedibile, anche come gusto: il formaggio ha sempre lo stesso sapore, così come i biscotti o la pasta – la frutta no, la verdura no: agli occhi di un adulto è poca cosa, ma per un bambino è spiazzante non avere sicurezza che *quel* cibo sia uguale alla volta precedente che l’ha assaggiato (d’altronde, pensateci: quante altre volte i vostri bimbi scoppiano a piangere di fronte a una leggerissima non conformità di un oggetto o un evento?).
Se invece parliamo delle conseguenze della selettività alimentare, i genitori possono serenamente mettere il cuore in pace: di fatto non ne esistono, se non… la selettività stessa!
Mi spiego meglio: molti genitori temono che la selettività possa comportare un rallentamento delle crescita o carenze alimentari. Non è affatto così: la crescita del bambino continua nonostante mangi pochissimi alimenti, e nessuno studio ha dimostrato che la selettività alimentare comporti carenze di vitamine o nutrienti (diverso è invece il disturbo ARFID, ma ne parlerò in un altro articolo). L’unico problema della selettività è che potrebbe mantenersi a lungo nel tempo, prolungandosi fino all’età adulta: non ci sarebbero conseguenze negative, ma non ci sarebbero nemmeno tutta una serie di vantaggi che un’alimentazione ampia e ricca di alimenti vegetali può dare. Un adulto che non mangia legumi, cereali integrali e che ha una scelta molto ristretta di ortaggi non è un adulto “più malato” di un altro, ma è “a maggior rischio” di contrarre disagi fisici e patologie (di nuovo, sembra una sottigliezza lessicale, ma non è così).
Le criticità della selettività alimentare
Cavalcare le onde della selettività alimentare è arduo. Vi riconoscete in queste frasi?
“Ma come non vuoi mangiare? Mamma ci ha messo tanto amore a prepararti questo piatto speciale, non ne assaggi neanche un pochino?”
“Guarda che se non mangi mai verdure poi da grande avrai dei problemi!”
“Stavolta se non finisci il risotto, non puoi avere il dolce a fine pasto”
“Assaggiane solo un pochino, per favore, se non ti piace lo lasci lì!”
“Come puoi dire che non ti piace se nemmeno lo assaggi?”
“Beh, mangia quello che ti pare, io mi do per vinto!”
“Guarda papà che mangia il minestrone con i legumi, vuoi fare come me?”
“È lo stesso ragù di lenticchie della tua amichetta, stessa ricetta: perché da lei non lo mangi e a casa no?”
Magari non tutte, ma scommetto che alcune di queste frasi sono state pronunciate più di una volta…
Ve lo dico con il cuore in mano: focalizzandovi su quello che *per voi* è il problema, non andrete da nessuna parte – parola di mamma dietista con figlio primogenito dal molto ‘particolare’ con il cibo (non è stato un bambino selettivo, non nel modo propriamente detto: semplicemente, è del tutto indifferente al cibo).
Provate a mettervi dalla prospettiva del bambino: il problema non è il cibo. È tutto quello che anticipa, posticipa ed è rappresentato dal cibo!
Cosa intendo dire?
– Caratteristiche intrinseche al cibo: forma, consistenza, colore, abbinamento, temperatura, deglutizione, digeribilità.
– Ore precedenti al consumo del cibo: stanchezza, rabbia, tristezza, conflittualità, tensione, ipereccitazione, iperstimolo, aspettativa, frenesia.
– Sensazioni al momento del consumo del pasto: percezione delle emozioni negative dei genitori (giornata stressante sul lavoro, stanchezza, dissidi con il partner…), iperstimolo/distrazione da tv accesa, pressione a mangiare esercitata in modo implicito o esplicito dai genitori.
– Cibo come “capriccio”: richiesta di attenzioni, formazione della personalità, testare i limiti, cercare contenimento.
Questo è solo un elenco non esaustivo: capite quanto c’è dietro al cibo, per un bambino?
È per questo motivo che la selettività alimentare si supera *solo in minima parte* con il cibo in sé: è il modo che conta.
Ne parliamo nel prossimo articolo!