Indice glicemico, si diceva.
Settimana scorsa ho fatto un breve elenco di alimenti a basso, medio ed alto indice. Non si deve però pensare che ciascun alimento sia contraddistinto da un valore assoluto, o meglio: la glicemia dopo un pasto viene influenzata da molti fattori, e non esclusivamente dall’IG di ciò che si è mangiato.
Ad esempio, una delle variabili più significative è la temperatura, e con essa il tempo di cottura: la pasta cotta al dente ha un indice inferiore rispetto alla pasta ben cotta. Questo accade perché i carboidrati contenuti nella pasta al dente sono solo parzialmente attaccabili dagli enzimi digestivi: ciò che non viene digerito non si trasforma in zucchero semplice, non passa nel sangue e non viene usato a scopo energetico.

Più cuociamo un alimento, e maggiore è la temperatura di cottura, più si innalza il suo IG.

Prendiamo ora le patate, alimento ad alto indice. Le lessiamo, le lasciamo raffreddare e le osserviamo: vedete quei minuscoli granellini bianchi che si sono formati? Si tratta di amido retrogradato, non digeribile dal nostro organismo: è come se una parte dei carboidrati della patata venisse eliminata, di conseguenza l’indice glicemico della patata cotta e raffreddata è inferiore rispetto a quello delle patate al forno o dei purè. Qualcosa di simile accade per al pane raffermo che cambia consistenza da un giorno all’altro: è come se i suoi carboidrati cristallizzassero, e in quella forma i nostri villi intestinali non sono in grado di scinderli e di utilizzarli.

Significa che per preservare la glicemia sarebbe buona norma mangiare la pasta semicruda, il pane raffermo, e le patate fredde? Assolutamente no: quando i carboidrati indigesti sono eccessivi il nostro corpo si ribella, dandoci fastidi intestinali e malessere fisico. E’ bene trovare una giusta misura, ad esempio scolando la pasta al dente, o non disprezzando le insalate di pasta fredda, o consumando a colazione il pane avanzato del giorno precedente e non ancora completamente duro.
Quando invece si riscaldano in padella o al microonde alimenti già precedentementi cotti, l’indice glicemico si alza ancor più che in origine: la pasta riscaldata ha un IG superiore rispetto alla stessa pasta consumata ben calda e subito. Sempre più persone, per mancanza di tempo durante la pausa pranzo, portano sul lavoro gli avanzi del giorno precedente e li scaldano nel microonde: è sicuramente una pratica salutare, in genere i piatti cucinati a casa sono più equilibrati rispetto al panino di fretta o al salto completo del pranzo; ma appunto esiste questa modifica dell’indice glicemico. Quello che consiglio io è di cucinare in ogni caso una porzione di pasta o riso in più, ma di condirla in modo da farne un piatto da consumare anche freddo: ad esempio con verdure e gamberetti, o con un pesto (non solo quello genovese con pinoli, ma anche con semi di girasole o zucca, o mandorle, o noci…), oppure ancora con bocconcini di pollo saltati in padella. Le alternative rapide e gustose sono molte, basta scostarsi di poco dalla propria routine alimentare, e naturalmente essere disposti a rinunciare al piatto di pasta fumante anche a dicembre: personalmente trovo più invitante un’insalata fredda di orzo e piselli con scaglie di parmigiano, che non una pasta al ragù collosa e gommosa riscaldata al microonde, voi no?

Ultima nota riguardo la correlazione tra temperatura ed indice glicemico.
Da qualche anno a questa parte la pubblicità ha fatto entrare nelle famiglie italiane la convinzione che una colazione a base di latte e cereali sia sana ed equilibrata: è un proliferare di muesli, riso soffiato, cornflakes arricchiti di frutta essiccata, cereali al cioccolato per i bambini. Eviterò di prendere in considerazione i cereali arricchiti di zuccheri e cioccolato per renderli più appetibili: riguardo a questi il giudizio è immediato, e assolutamente negativo. Prendiamo invece come esempio il riso soffiato, o i cornflakes semplici, magari anche integrali: se si guarda semplicemente il lato calorico e la distribuzione dei nutrienti, non trovo nulla da eccepire (…o quasi). Ma com’è l’IG di questi fiocchi di cereali? Alto, altissimo: circa 90 su una scala da 0 a 100. E, ripeto, sto parlando di cornflakes semplici. Un valore così alto è dovuto alla tecnologia di produzione: la fase di estrusione e di tostatura avviene ad altissime temperature, che non solo innalzano l’IG, ma impoveriscono anche il cereale di proteine, vitamine e minerali. Se sulla confezione vengono pubblicizzati come “ricchi di minerali per lo sprint mattutino” è solo grazie ad un successivo processo di fortificazione, vale a dire aggiunta dei nutrienti che si sono persi attraverso composti prodotti in laboratorio, non naturali.
Mangiare cornflakes a colazione non vuol dire fare una buona colazione: non solo avrete fame dopo nemmeno un paio d’ore, ma soprattutto la vostra glicemia subirà un picco e un successivo tracollo subito di prima mattina. Meglio rifarsi alla tradizione italiana per cominciare bene la giornata: frutta fresca, yogurt intero bianco o latte, una fetta di pane integrale o di segale o ai cereali con un velo di marmellata. Per chi ha necessità energetiche superiori, come ad esempio gli sportivi, o per lavori che richiedono grande impegno fisico (ad esempio i muratori) si può aggiungere anche una manciata di frutta secca o spalmare del burro o della ricotta sul pane.