Come non smetterò mai di ripetere, l’obesità è una patologia multifattoriale determinata da un’infinita serie di concause che si rafforzano a vicenda; giustificare l’eccesso di peso corporeo con la genetica o la famigliarità è come nascondersi dietro un filo d’erba: i casi in cui l’accumulo di grasso è determinato in modo esclusivo da disfunzioni genetiche sono veramente rari.
Con questo non voglio dire che per dimagrire basti la forza di volontà, assolutamente. Dietro a qualsiasi caso di obesità ci stanno anni di abitudini alimentari scorrette, sedentarietà e quasi sempre anche un bagaglio di emozioni represse: quest’ultima è sicuramente la matassa più difficile da sbrogliare, per la quale serve un supporto non solo dietistico ma anche psicologico.

Detto questo, in questo articolo voglio approfondire uno dei molti condizionamenti che prescindono dalla volontà e che impediscono (o quantomeno rallentano) il dimagrimento: la disbiosi intestinale.

Con il termine microbiota si intende un insieme di microorganismi simbiontici residenti in varie parti del corpo umano: non si trova solo a livello gastrointestinale, ma anche urinario, vaginale, respiratorio e dermico. Comunque, nel tratto gastrointestinale, e in particolar modo nel colon, si trova il maggior numero di microorganismi.
Il microbiota si definisce “simbiontico” in quanto esiste un mutuo vantaggio: l’uomo offre una sede in cui i microorganismi possono proliferare, e trae a sua volta un vantaggio da questo insediamento. Ad esempio la flora batterica del colon è in grado di sintetizzare alcune vitamine che noi assorbiamo e usiamo, come la K o alcune forme di vitamina B; rafforza il sistema immunitario; sintetizza alcuni acidi grassi che sono protettivi per la salute, ad esempio l’acido butirrico che inibisce la proliferazione di cellule tumorali nel colon.
Il microbiota intestinale produce anche gas, che in soggetti sensibili può causare fastidioso gonfiore e meteorismo: la produzione di questi gas è direttamente correlata alla qualità dell’alimentazione.
Nell’adulto il microbiota intestinale è caratterizzato da due phyla principali: Bacteroidetes e Firmicutes; a seconda della prevalenza dell’una o dell’altra famiglia ciascuno di noi ha un’efficienza metabolica differente. La composizione del microbiota dipende da molti fattori, tra cui i principali sono: tipo di dieta seguita, condizioni di salute, condizioni del sistema immunitario e della motilità intestinale.

Non molti anni fa, nel 2004, la comunità scientifica ha iniziato a interessarsi alle differenze esistenti tra la flora batterica dei soggetti normopeso e di quelli sovrappeso: da una prima analisi è risultato che i soggetti obesi hanno una prevalenza di Firmicutes. Ci si è quindi interrogati se questa diversità potesse o meno influire sullo stato di salute degli individui, e se potesse addirittura determinare un aumento del peso corporeo: in altre parole, la prevalenza di Firmicutes può essere un effetto del sovrappeso, o ne è causa?
Ricerche successive hanno evidenziato che la proliferazione del phylum Firmicutes a livello intestinale determina un aumento dei livelli di LPL circolanti. LPL è l’acronimo di lipoprotein-lipasi, un enzima che stimola un accumulo di trigliceridi nel tessuto adiposo. I Firmicutes inibiscono anche l’espressione di FIAF (fattore adiposo ad induzione veloce), che normalmente bloccano l’azione delle LPL.
Ecco dunque una prima dimostrazione: una disbiosi intestinale con prevalenza di Firmicutes determina un aumento di LPL e una diminuizione di FIAF, che si esplicano con un aumento del grasso corporeo.

Le ricerche sono poi proseguite, arrivando a dire che il microbiota di persone obese sia ricco di geni che codificano per enzimi la cui funzione è quella di scomporre i polisaccaridi della fibra, normalmente indigeribili.
Sappiamo che la fibra è una componente presente in prodotti vegetali che aiuta il transito intestinale: la fibra è costituita da carboidrati che il nostro organismo non è in grado di usare come energia, e che dunque vengono eliminati nelle feci senza essere digeriti. Studi scientifici hanno però dimostrato che il microbiota di persone sovrappeso favorisce la proliferazione di famiglie batteriche in grado di trasformare la fibra in glucosio e di usarla a scopo energetico: a suo modo, questo potrebbe essere un fattore positivo se ci trovassimo in carestia, perché saremmo in grado di trarre sostentamento anche dalla lignina contenuta nella corteccia degli alberi o dalle fibre di lino delle nostre camicie. Fortunatamente non ci troviamo a patire la fame, dunque questi zuccheri in più derivati dalla fibra vengono portati ad aumentare le già cospicue riserve di grasso.

Dai risultati ottenuti sembrerebbe emergere che in soggetti obesi una dieta eccessivamente ricca di fibra alimentare potrebbe non avere l’efficacia sperata nella riduzione del peso corporeo: se il soggetto soffre di disbiosi è probabile che trasformi la fibra in zucchero e poi in grasso, dunque il dimagrimento non sarebbe veloce e consistente così come si potrebbe pensare. Prima di intervenire con una dieta alta in fibra sarebbe opportuno agire promuovendo una modificazione della flora batterica intestinale, un risultato ottenibile attraverso il cambiamento delle abitudini alimentari magari in associazione ad un’integrazione di prebiotici e/o probiotici, da concordare con il medico o il dietista di riferimento.

Le domande che possono sorgere alla luce di questi risultati sono molte, e a gran parte di esse non si è ancora in grado di fornire una risposta: ad esempio sarebbe interessante indagare in che misura il microbiota intestinale può contribuire all’aumento percentuale di grasso (si tratta di grammi, etti o chili?).
Quello che è stato evidenziato è che il dimagrimento porta a un miglioramento della disbiosi intestinale, instaurando un processo positivo: una progressiva riduzione del phylum Firmicutes con aumento di Bacteroidetes, una minor utilizzazione della fibra a scopo energetico, una minor attivazione di enzimi LPL e una maggior attivazione dei FIAF. In parole semplici: una minor capacità di accumulare grasso.

Bibliografia
K.Harris, A.Kassis, G.Major, C.J.Chou – Is the Gut Microbiota a new factor contribuiting to obesity and its metabolic disorders?Journal of Obesity, 2012