Settimana scorsa ho fatto qualche ragionamento riguardo la dieta di dimagrimento in relazione ai bambini: lo trovate qui.
Come immaginavo, alcune persone mi hanno scritto che, pur non essendo bambini da un bel pezzo, si sono riconosciuti nella descrizione del mio articolo, in particolare riguardo gli effetti collaterali delle diete dimagranti. Infatti avevo anticipato che avrei parlato anche degli adulti, e così: eccomi qui!
Piccola premessa
Le modalità di svolgere la mia professione da dietista sono molto cambiate negli anni: in parte, a seguito di cambiamenti personali che hanno influenzato il mio lavoro. In parte, in conseguenza (“grazie a”!) quello che ho avuto modo di osservare nei pazienti.
In estremissima sintesi. Ho sempre cercato di assecondare le esigenze del paziente con spunti pratici: ho cercato di dare alternative per pasti rapidi o pasti fuori casa a chi mangia in ufficio o usufruisce di buoni pasto; ho dato idee per creare ricette gustose pur se “da dieta”; ho cercato di non demonizzare cibi molto calorici -percepiti come incompatibili con il dimagrimento- facendo in modo che potessero essere presenti in piccole quantità al momento del bisogno (una giornata stressante, voglia di dolci pre-ciclo, desiderio di una coccola serale…).
Nonostante tutto ciò, le difficoltà che mi venivano riportate non diminuivano, anzi, sembravano quasi aumentare. Come se fosse più semplice seguire una dieta rigida e monotona, senza concessioni, che non avere un’alimentazione parimenti efficace sul dimagrimento, eppure più varia, non costrittiva, e senza alimenti tabù.
Ecco.
Inizialmente -e assai poco empaticamente- mi sono chiesta come fosse possibile, quali altre alternative potessi dare per poter avere una maggior adesione alla dieta, per poter garantire al paziente maggiori risultati.
Poi.
Poi, per una convergenza di fattori, inizio a capire concretamente quelle che sono le difficoltà di molte persone nel rapportarsi “alla dieta”: semplicemente, molto spesso la dieta e il modo in cui si mangia non sono la priorità. Si torna tardi la sera e, per quanto semplice sia, non si ha voglia di mettere sul fuoco il minestrone di verdure surgelate. Ci sono gli avanzi dei bambini da finire. C’è l’amica che non vedi da tempo che ti offre un aperitivo. Devi prepararti il pranzo in ufficio ma non hai voglia di fare nulla: sarebbe un ulteriore dovere in mezzo a una giornata di doveri, c’è il bar lì di fronte e un panino va benissimo.
Rendermi pian piano conto che fino ad allora avevo enormemente sottostimato e distorto le difficoltà di tante persone mi ha fatta sentire molto piccola, molto ingenua, assai stupida anzi, e quel filino arrogante; quante volte ho proposto alternative che *per me* erano semplici ed efficaci, ma non lo erano nel contesto della paziente che avevo di fronte?
Di pari passo a questa -chiamiamola illuminazione- ho iniziato anche a prendere la consapevolezza di altri due cose:
– Il semplice fatto di “avere uno schema” da seguire, nella maggior parte dei casi, crea una condizione di restrizione che porta a ’sentirsi stretti’ in quella dimensione, creando diverse conseguenze nefaste (tra breve le elenco).
– Nella maggior parte dei casi, i percorsi focalizzati sul peso corporeo (o comunque nei quali la perdita di peso è tra gli obiettivi principali) sono destinati a fallire; non che non siano efficaci nel momento in cui vengono intrapresi: semplicemente, nel tempo (possono essere due mesi o cinque anni), il peso tornerà pian piano a risalire. Anche in questo caso, i motivi sono molti, e a breve li analizzeremo.
Mettendo insieme il tutto, ho iniziato a dubitare della mia professione.
E ho iniziato a cercare di capire come poter essere una dietista diversa.
In questo articolo mi focalizzerò a spiegare perché le diete prescrittive sono controproducenti: pian piano, nei prossimi mesi, proverò anche a spiegare quale possa essere un approccio diverso, più “gentile” (e realista).
Il peso corporeo
Partiamo spendendo due parole relativamente al peso corporeo.
La maggior parte degli italiani dichiara di non sentirsi a proprio agio nel proprio corpo: in tale disagio quasi sempre a farla da padrona è il peso corporeo. Vorrebbero cambiare il proprio peso persone di ogni dimensione e taglia: c’è chi dichiara che vorrebbe perdere “giusto 2-3 kg” e chi invece “almeno una decina”. A prescindere dal peso di partenza, sembra che chiunque vorrebbe essere un po’ più magro di quello che è. Alcune persone di fatto intraprendono percorsi finalizzati al dimagrimento: altre no. Chi non lo fa potrebbe comunque desiderare il dimagrimento, ma non ritenere che sia una priorità nella propria vita, oppure può comunque vivere in uno stato di cosiddetta restrizione cognitiva (ossia, una condizione in cui il peso corporeo non cambia, ma le scelte alimentari sono fatte da una prospettiva nella quale è molto forte la valenza del “questo non lo mangio perché ingrassa, questo posso mangiarlo perché non ingrassa”).
Molte persone intraprendono il dimagrimento non tanto per desiderio di sentirsi meglio nel proprio corpo, ma a seguito di obiettivi di salute: dimagrendo, potrebbero sentire meno peso sulle articolazioni, migliorare la glicemia/il colesterolo/la pressione, aumentare i tassi di fertilità, diminuire le apnee notturne (etc).
Il peso corporeo condiziona enormemente le scelte alimentari di tutta la nazione (e non solo dell’Italia).
Il problema dove sta?
In due fatti:
– Da che cosa è generato il senso di disagio verso il proprio corpo? Dalla società: da un lato, dal confronto con il modello estetico dominante; dall’altro, (scusate il gioco di parole) dal peso che la società attribuisce al peso. Se sei magro/se dimagrisci, sei forte, hai forza di volontà, hai cura della tua salute, sei equilibrato, sei di valore, hai diverse porte spalancate perché le persone ti percepiscono come “migliore”. Se sei grasso/ingrassi, non hai forza di volontà, sei ingordo, ti “cerchi” i problemi di salute dei quali ti lamenti, non hai forza di volontà, sei meno credibile.
(sono parole dure, lo so, ma è innegabile che la società ci porti a questo: per fortuna non è un dictat a cui sottostare e moltissime persone se ne fregano del peso e dell’estetica per dare il giusto valore all’altro, basandosi su parametri diversi; ma “la società” è diversa).
– La diet culture ha progressivamente assolutizzato due fattori ambientali come cause prevalenti della salute di una persona: il peso, e l’attività fisica. Se “perdi peso” (o “rimani nel giusto range di peso” o “mangi bene”) e “svolgi regolare attività sportiva” puoi: ridurre il rischio cardiovascolare, ridurre il rischio metabolico, diminuire i livelli di glicemia, aumentare le possibilità di rimanere incinta, diminuire il dolore articolare, ridurre i mal di testa, migliorare la salute del tuo intestino, etc etc etc.
Permettetemi due spunti di riflessione (sono solo spunti, se dovessi soffermarmi su ciascuno di essi scriverei un trattato ben più lungo di questo già ingente articolo).
Società e peso. Rendersi conto che il proprio disagio con le dimensioni corporee è condizionato dalla società nella quale viviamo è contemporaneamente un vantaggio e uno svantaggio: da una parte, permette di focalizzarsi tutti quegli aspetti di sé che non hanno a che vedere il peso, che in un certo senso “perde il suo potere”. Ci si sente più liberi di diminuire le energie dedicate al dimagrimento per coltivare altri interessi, passioni o priorità: chi la famiglia, chi i viaggi, chi la lettura, chi il giardinaggio.
Tuttavia, sull’altro versante è pur sempre vero che non ci si può esimere dall’avere a che fare con la società… Per quanto si lavori su di sé e sul proprio valore, poi basta poco per sentirsi vacillare: e anzi, questa dicotomia può aumentare il senso di incertezza e di frustrazione. Per sintetizzare il pensiero di molti: “So benissimo di valore come persona a prescindere dal mio peso corporeo; ma allora perché mi sento così a disagio quando (compro un paio di pantaloni e le commesse mi dicono che c’è bisogno di una taglia in più / mi trovo a chiacchierare con le altre mamme fuori da scuola e sembrano tutte più magre di me / il mio collega perde 5 kg e tutti gli fanno i complimenti / apro una rivista e ci sono solo modelle giovani e magre in copertina / a fare da testimonial per una nota marca di intimo ci sono modelle ‘oversize’ ma che sono palesemente proporzionate e belle…)? Sono proprio stupid*, continuo ad essere condizionat* dal peso!”.
Non è semplice. Anzi. È proprio perché viviamo in una società immersa nella diet culture che i professionisti della nutrizione dovrebbero prendersi cura del peso delle persone, comprendendo il disagio del paziente e le sue richieste di dimagrimento. Solo, il metodo della dieta prescrittiva non è quello vincente.
Salute e peso. Dico una cosa forte:
Porre il dimagrimento come obiettivo di salute, ha poche possibilità di migliorarla (sul lungo termine) e molte possibilità di peggiorarla.
Vi spiego meglio.
Ci sono fior fiore di studi che testimoniano come soggetti sovrappeso o obesi che dimagriscono ottengono un miglioramento di diversi parametri legati alla salute, con una diminuzione del rischio di contrarre diversi tipi di patologie (diabete II, steatosi epatica, infarto, ictus…). Questi dati sono effettivamente incontestabili, e infatti io non ho la minima intenzione di contestarli. Il problema di questi studi è su due livelli diversi:
1) Gli stessi vantaggi possono essere perseguiti in altro modo, oltre che con il dimagrimento? Spesso e volentieri sì: con altre modifiche nello stile di vita, ad esempio, o con terapia farmacologica. Ci sono, purtroppo, moltissimi casi di malasanità che interessano la stigmatizzazione del peso: persone obese a cui non sono stati diagnosticati tumori (o altre patologie) perché i disturbi lamentati non venivano approfonditi, dicendo “perdi peso, vedrai che risolvi/poi ne riparliamo”. Nel mio piccolo, occupandomi molto di percorsi di fertilità, so molto bene quanto spesso si riconduca al sovrappeso le scarse capacità di concepire, e come alcuni percorsi di PMA siano preclusi a donne in condizione di obesità: eppure non ci sono le stesse pressioni per donne che fumano, ad esempio. È atroce a pensarci: si valuta (e si condanna) in base ad un singolo parametro di salute, rendendolo di per sé limitante, senza inserirlo in un contesto di valutazione più ampio. Ché poi, se, al pari di cambiare colore di capelli, fosse semplice ed esente da rischi perdere peso, potrei anche avere una visione diversa della ‘prescrizione al dimagrimento’: il problema è non è affatto così. Non si può dire “dimagrisci e ne riparliamo”, senza orientare in alcun modo il paziente, senza informarlo di alcunché riguardo il dimagrimento e le modalità rispettose (e autodeterminate) di intraprenderlo.
[Tra parentesi, ecco dove ci sarebbe la possibilità di inserirsi in modo efficace come professionisti della nutrizione, agendo in modo non prescrittivo]
2) I vantaggi sulla salute dettati dal dimagrimento, sono tali *per sempre* o sono valutati solo al termine di un percorso di dimagrimento? Perché un conto è valutare il cambiamento positivo di una persona che ha perso 5-10-20-30 kg nel momento in cui raggiunge tale decremento ponderale, un altro è rivalutare la persona a distanza di 1-2-5-10 anni: cosa è successo in relazione al suo peso corporeo? E qui mi aggancio al prossimo paragrafo.
Conseguenze del “mettersi a dieta”
Empiricamente, se ne è accorto qualsiasi dietista/nutrizionista: 9 volte su 10, gli effetti positivi del dimagrimento vengono vanificati dopo poco tempo, perché la persona rimette il peso perso (spesso rimette *più* del peso perso). Non solo gli effetti positivi vengono vanificati: ma bisogna considerare che ad ogni step del famoso effetto yo-yo del peso le condizioni di salute del paziente rischiano di essere peggiori di quelle iniziali. Se peso 80 kg, ne perdo 10 e poi li rimetto, i miei 80 kg iniziali saranno “più sani” degli 80 kg finali: ogni volta che rimetto il peso perso ho una composizione corporea diversa, più svantaggiosa, perché è maggiore la massa grassa, che – come *effettivamente* gli studi ci dicono – si accompagna a uno stato di infiammazione maggiore. Ché poi: tutte le persone grasse hanno un eccesso di tessuto adiposo infiammato e infiammatorio? No. Dipende, guarda caso, da come il peso è stato messo nel mezzo, come la persona complessivamente mangia, e se ha intrapreso nella sua vita percorsi di dimagrimento.
Ribadisco: empiricamente, lo sa qualsiasi professionista della nutrizione. Così come sappiamo che 9 volte su 10 la persona che viene da noi a dimagrire è già stata precedentemente da altri colleghi, e probabilmente andrà da altri in futuro.
Il dimagrimento, di fatto, porta come conseguenza ad un aumento del peso corporeo rispetto a quanto si è perso durante il percorso.
Ci sono studi che indagano questo fatto: ve ne metto uno in bibliografia, molto interessante. Ci dice che solo il 20% delle persone a dieta riesce a mantenere il calo ponderale come minimo ad un anno di distanza dal percorso di dieta: solo 1 persona su 5 non rimette il peso perso. Se ampliamo la finestra temporale a 5 anni di distanza, la percentuale di persone che non riacquista il peso perso è solo del 2-5%. Questo risultato -ossia il mantenimento del calo ponderale- è permesso solo mantenendo sul lungo termine alcune rigorose abitudini, che lo studio cita: dieta bassa di calorie e grassi, almeno un’ora di attività fisica al giorno, monitoraggio attento del proprio peso, mantenimento di scrupolose attenzioni dietetiche anche nel weekend e nel tempo libero. Si tratta di abitudini “sane” o ossessive e ipercontrollanti, che condizionano in diversi modi la propria vita (intrapersonale, sociale, affettiva, lavorativa)? Lascio a voi l’interrogativo.
Abbiamo quindi un primo grande, enorme, gigantesco dato: le diete dimagranti non funzionano.
E se non funzionano non è perché la persona non ha forza di volontà, non rimane focalizzata sul percorso, ritorna a cattive abitudini. Non è perché il corpo abbia una cosiddetta “memoria del grasso”. È semplicemente perché la restrizione calorica porta a delle conseguenze fisiche e mentali che, oltre a far star male la persona, hanno come effetto sul lungo termine cambiamenti comportamentali e cognitivi che portano al ri-aumento del peso.
Di quali effetti sul lungo termine sto parlando?
– Dispercezione di fame e sazietà
Seguendo una dieta si inizia progressivamente ad inibire/non ascoltare il senso di fame, perché non conforme alla dieta: “non posso avere *già* fame, è passata solo un’ora dal pranzo! Non posso non essere *ancora* sazio, ho mangiato tutto quello che c’era scritto per pranzo e pure una vagonata di verdura! Devo tenermi la fame, a pranzo mangio poco, perché poi stasera ho la pizza!”. Vi riconoscete in pensieri simili? Alla dispercezione segue successivamente la disregolazione: vale a dire che di fatto gli ormoni e i neurotrasmettitori che governano fame e sazietà iniziano ad essere prodotti e recepiti in modo diverso.
– Assolutizzazione del valore di cibi “sani, dietetici, ipocalorici”
Tutto quello che è scritto in dieta, è “concesso” nella misura in cui si rispettino le porzioni e le frequenze. Tutto quello che non è in dieta, diventa un “extra, sgarro, eccesso”. Si inizia a connotare il cibo in “buono” o “cattivo” in virtù di viene visto dalla dieta: cioccolato? Sì ma solo 5 grammi al giorno. Fonti proteiche? Benissimo, in misura libera, sono dimagranti! Verdura? A carrellate: sazia ma non ingrassa, però attenzione alla zucca e occhio alle patate che sono carboidrati. Pizza? Sì, una volta a settimana, margherita. E le lasagne? I gnocchi? I ravioli ripieni? Il ghiacciolo? La coscia di pollo anziché il petto? Il merluzzo panato in farina di mais? Per mangiarlo devo togliere 10 grammi alla porzione di pane, visto che sia farina che pane sono carboidrati?
Un iper-lavoro mentale. Un immaginario foglio di Excel sempre aperto nella nostra testa, ai cui calcoli sottostare. Se non si seguono le regole, si ingrassa (e si è sporchi, cattivi, non diligenti, senza volontà, ingordi).
– Isolamento sociale
Per seguire la dieta bene, è concesso solo un extra a settimana: pizza al sabato sera? Benissimo! Ma niente aperitivo, e niente dessert finale. E se la domenica si è invitati dalla suocera? Se la collega propone un pranzo insieme il mercoledì sera? Se l’amico invita al pub dopo calcetto? Se i bambini si ritrovano per una merenda al parco? Semplice: non ci si va. O si va, ma si rispetta la dieta (sentendosi gli occhi degli altri e il loro giudizio addosso e, di settimana in settimana, bramando sempre di più quello che gli altri stanno mangiando).
– Alterazione degli equilibri relazionali
Più la dieta va avanti, più c’è rischio che le persone con le quali conviviamo (o quelle con cui abbiamo a che fare più spesso) inizino ad irritarci: ma perché dopo tre mesi ancora il capo non capisce che non posso mangiare la brioche che mi offre tutti i venerdì mattina? Perché mio marito si lamenta che io sono nervosa perché devo cucinare ogni sera due cene diverse, visto che quello che loro mangiano io non posso mangiarlo? Perché mio figlio adolescente ha saccheggiato la mia dispensa di snack proteici e adesso non so con cosa fare merenda? Perché la mia migliore amica non capisce che non posso uscire alle 21 a mangiare con lei, io che ho già una voragine nello stomaco alle 19?
Anche qui: vi riconoscete in qualcosa di simile? “Gli altri” iniziano a diventare in modo più o meno palese “sabotatori” della nostra dieta.
– Continui check fisici
Che sia la bilancia, lo specchio o un paio di pantaloni che a inizio dieta ci vanno stretti, continuiamo tutti i giorni, più volte al giorno, a trovare conferme del nostro comportamento alimentare nelle nostre unità di misura. A seconda del numero sulla bilancia o di quanto l’elastico dei pantaloni stringe in vita, il nostro umore è migliore o peggiore. Anche il nostro comportamento alimentare subisce variazioni in relazione a questi check: se ci sentiamo magri, saremo più motivati a seguire la dieta. Se ci sentiamo grassi, è più probabile che inizieremo a piluccare (o, al contrario, che restringeremo ulteriormente le porzioni).
– Senso di colpa, vergogna
Inizia a svilupparsi un enorme senso di colpa e di vergogna dettato dal nostro comportamento alimentare: 5 grammi in più di pasta ci mettono ansia. I pantaloni che fino al mese scorso ci andavano benissimo, dopo le ultime abbuffate del weekend stringono, e ci sentiamo a disagio ad indossarli. Ci sentiamo colpevoli, ci sentiamo peccatori ogni volta che dovremmo seguire la dieta, e non lo facciamo
– Scarso senso di autoefficacia, scarsa autostima
Progressivamente, la nostra autostima viene pesantemente condizionata dalla dieta: il nostro valore come persone inizia ad essere largamente dipendente dal modo in cui mangiamo e da quanto dimagriamo. Non solo: iniziamo anche a valutare gli altri sempre di più in relazione alla loro forma fisica, e al modo in cui mangiano, a prescindere da che studi abbiano fatto, che lavoro svolgano, che interessi abbiano, a che partito politico appartengano, quanto siano altruisti, quanto siano bravi genitori, quanto empatici siano come amici.
Il nostro valore e quello degli altri è in funzione della taglia, del peso, di come si mangia.
– Nella donna, alterazioni del ciclo mestruale (e in entrambi i sessi inibizione sessuale)
L’alterazione del ciclo è una conseguenza fisica delle diete, di cui tante donne sono a conoscenza: il rischio di avere alterazioni mestruali a seguito di restrizioni alimentari è molto alto, fino ad arrivare alla vera e propria amenorrea.
Sia nell’uomo che nella donna, il comportamento alimentare ha un’influenza anche nella sfera sessuale: quando non si sta seguendo la dieta e si sta ingrassando, non si riesce ad essere disinibiti con il partner, e anzi si fa fatica a sentirsi le sue mani addosso.
– Predisposizione a DCA e ad abbuffate
Ovviamente, uno dei rischi più significativi delle diete di dimagrimento è la predisposizione a disturbi del comportamento alimentare, abbuffate compulsive alternati a periodi di restrizione/compensazione, e in generale comportamento alimentare disfunzionale.
– Abuso di alimenti percepiti come positivi per il dimagrimento, e abuso di sostanze eccitanti
Chi è a dieta fuma di più, beve più caffè, consuma più chewing-gum; chi è a dieta mangia quantità di fibra da verdura significativamente superiori al resto della popolazione (con conseguente rischio di iperfermentazione intestinale e disbiosi, gonfiore e meteorismo); chi è a dieta può rischiare di erodere lo smalto dentale per il succo di limone preso tutte le mattine (è detox!); chi è a dieta assume più alla leggera integratori “dimagranti/booster del metabolismo/detossinanti/snellenti/rassodanti” (senza troppo interrogarsi sulle possibili conseguenze negative).
Chi più chi meno, chiunque si sia mai messo a dieta si può riconoscere in almeno una di queste conseguenze.
Conseguenze che rimangono anche quando la dieta è finita.
Se la dieta fosse un farmaco, bisognerebbe attentamente valutare le controindicazioni e gli effetti collaterali.
Di fatto, la dieta *è* un farmaco (tutti i professionisti dell’alimentazione sanno che la dieta è *prescritta* dai medici), però sembra essere solo che salvifica, che tutti possano farla senza problemi.
(Così come sembra che chiunque possa essere autorizzato a fare commenti sul corpo altrui)
Le diete prescrittive
Quando si consiglia a qualcuno di dimagrire, o quando si stila una dieta, non ci si può deontologicamente sottrarre dalla conoscenza di questi fatti.
La persona che seguirà la nostra dieta ha un’alta probabilità di incontrare tutta una serie di effetti negativi della dieta, che può alterare la sua vita privata, le sue relazioni e la sua percezione di sé. E, inoltre, ha un’elevatissima probabilità di intraprendere un percorso che non porterà ad altro che ad un aumento del peso corporeo.
Le diete prescrittive sono diete “schematiche” in cui è il dietista/nutrizionista che dice cosa, come, quanto e ogni quanto mangiare: sono formule matematiche che, se ben seguite, portano al dimagrimento. Se il dimagrimento non viene ottenuto? Beh, non hai seguito bene la dieta: è colpa tua. E se il dimagrimento non viene seguito perché la dieta porta ad effetti collaterali tali per cui la dieta stessa non può funzionare? Ma no: è impossibile!
Le possibili alternative
Ho scritto tantissimo, senza nemmeno andare troppo nel dettaglio in realtà, ma spero di aver iniziato a instillare il dubbio che si debba cambiare paradigma, che l’evoluzione naturale della professione di dietisti e nutrizionisti sia quella di accompagnare il paziente verso una visione diversa dell’alimentazione.
E invece non sarà così: l’evoluzione sarà quella di avere il 70% del nostro lavoro sostituito da macchinari sempre più complessi che misurano massa magra e grassa, massa metabolicamente attiva, calorie da consumare ogni giorno per avere un trend di dimagrimento stabile; sarà quella di avere software sempre più precisi nel stilare diete, al punto che noi inseriremo solo età, sesso, peso e altezza del paziente, e sue patologie, e… ecco che avremo la dieta pronta da somministrare! Apriremo sempre di più collaborazioni con centri di medicina e chirurgia estetica, con medici che si occupano di malattie metaboliche, magari anche con negozi di moda, chissà. Faremo educazione alimentare nelle scuole e spiegheremo che i carboidrati non fanno male, ma che bisogna mangiarne ‘la giusta misura’ (ci chiederemo mai quante famiglie basano la dieta sui carboidrati perché sono i prodotti da discount meno costosi per arrivare a fine mese?). Parleremo ai genitori di malattie infantili legate all’obesità, però non chiederemo loro se ritengono di avere il giusto sostegno nella crescita dei figli: è affar nostro se le merendine date per esasperazione sono causate da ritmi lavorativi disumani e da un welfare insostenibile? No, e d’altronde noi non abbiamo colpa nemmeno se l’adolescente obeso mangia male per bullismo. Però: però possiamo dirgli come dimagrire, così come possiamo dire ai genitori quali sono le merendine più ’sane’.
Sto esagerando, sto divagando, sto ironizzano – e per altro io stessa tante, troppe volte mi trovo invischiata in meccanismi complicati, in cui è difficile individuare cosa è giusto e cosa no, cosa fa parte della mia professione e in cosa invece non dovrei immischiarmi.
*Però*
Però so che ci sono diversi altri modi per poter aiutare le persone in relazione al loro modo di mangiare.
Ve ne parlerò ampiamente nei prossimi mesi (anzi, credo anni): si tratta di aiutare il paziente (la persona) a trovare la autodeterminazione nel proprio modo di mangiare. Si tratta di offrire spunti e idee, e valutare se funzionino oppure no – e se no, *perché* non funzionino. Si tratta di dare informazioni riguardo al cibo (abbiamo studiato per anni chimica e biochimica, e fisiologia, e psicologia, mica a caso), per poi lasciare libertà nelle scelte. Si tratta di rieducare all’ascolto di fame e sazietà, di comprendere le diverse tipologie di fame e sazietà.
Si tratta anche di collaborare strettamente con i professionisti che si occupino della sfera psicologica delle persone, per poter guidare verso una buona percezione del proprio corpo, per (ri)educare alla clemenza verso sé stessi, e per allontanare dall’uso emotivamente disfunzionale del cibo.
È un lavoro enorme. È molto più semplice dare la dieta (sapendo che quasi sicuramente non funzionerà sul lungo termine e che espone la persona a dei rischi).
Iniziare anche solo ad interessarsi agli approcci non prescrittivi è un primo passo affinché un nuovo modo di svolgere la professione abbia la possibilità di germogliare.
[Con il progetto EquilibrioDonna sono in dirittura di arrivo per attivare un corso ECM proprio dedicato a questo tema, se capitate qui per caso e siete interessati vi consiglio di seguire i nostri profili social per avere aggiornamenti; il corso inizia a maggio 2023 e avrà validità 12 mesi]
…e il peso?
In tutto questo, il peso che ruolo svolge? Non è vero che il grasso fa male, e che dimagrire aiuta? E se una persona, pur guidata a scelte autodeterminate a ‘resettare’ gli effetti collaterali di anni di dieting, continua a stare male nel proprio corpo e a voler dimagrire, non è possibile aiutarla perché non servirebbe a nulla? Con gli approcci non prescrittivi si dimagrisce?
Avremo modo di sviscerare anche questi argomenti. Quel che è certo è che gli approcci prescrittivi non sono incentrati sul peso corporeo, che non sono ideati per dimagrire: se si inizia con l’idea di dimagrire, si parte proprio con il piede sbagliato (ergo, diffidate da chi vende corsi di mindful eating o intuitive eating associandoci promesse di dimagrimento, di tornare in forma senza dieta, o similari).
Ho già scritto un trattato con questo articolo: prometto di tornare più e più volte sull’argomento. Per ora vi chiedo solo, più che domandarvi se con un approccio non prescrittivo perderete peso/riuscirete a far dimagrire i vostri pazienti… Chiedetevi magari se abbia senso, dopo quasi cent’anni di diet culture e invenzioni dimagranti di ogni tipo, se il problema non stia proprio alla base, ossia nel ritenere che il peso corporeo sia un parametro fisico che sia possibile modificare con la sola forza di volontà e dedizione, e se tutta la pletora di studi che testimoniano gli effetti nefasti dell’obesità abbiano avuto l’effetto positivo di ridurre il peso medio della popolazione globale – o se, al contrario, abbiano avuto un ruolo nell’alimentare la macchina stessa della diet culture.
Bibliografia
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L C Hayashi, G Benasi, MP St-Onge, B Aggarwal – Intuitive and mindful eating to improve physiological health parameters: a short narrative review of intervention studies – J Complement Integr Med 2021 Dec 16
RR Wing, S Phelan – Long-term weight loss maintenance – Am J Clin Nutr 2005
3 Comments
Articolo eccezionale: da condividere a tutti i professionisti della nutrizione. Ps: tra i comportamenti disfunzionali di chi é sempre a dieta c’è anche l’abuso di dolcificanti soprattutto di ciclammato liquido che pare sia stato imputato di favorire il cancro vescicale (in America è di fatto vietato). Complimenti ancora
Articolo meraviglioso, messaggio molto profondo che dovrebbe arrivare all’attenzione di tutti.
Super arianna
Grazie mille Claudia!