In passato vi avevo già parlato del caffè, cercando di sensibilizzare al fatto che si tratta di una bevanda di cui non abusare per almeno due validi motivi: l’effetto farmacologico della caffeina e la qualità caffè.
La caffeina, sostanza attiva del caffè, è classificata come molecola nootropa, ossia stimolante a livello cerebrale; esistono innumerevoli studi che dimostrano le proprietà positive della caffeina: tra i tanti potrei dirvi che migliora la resistenza degli sportivi d’endurance, aumenta la concentrazione e l’attenzione nel breve termine, diminuisce la sensazione di fatica, aumenta il tasso metabolico. Tuttavia, come tutte le sostanze con valenza farmacologica, non va trascurato che un consumo eccessivo presenta effetti negativi: tra gli altri, eccessiva vigilanza e senso di allerta, aumento della secrezione di cortisolo, diminuzione della sensibilità insulinica. La maggior parte degli italiani consuma *troppo* caffè ogni giorno, e per giunta di pessima qualità: i semi sono di bassa qualità all’origine, qualità che viene ulteriormente peggiorata da una tostatura inadeguata e troppo spinta. Quanti di voi non riescono a bere caffè senza che sia zuccherato o macchiato? Quanti di voi rabbrividiscono all’idea di bere una tazzina di caffè freddo, riuscendo ad ingurgitarlo solo da caldo (il calore è un potente anestetizzante)? Quanti di voi sentono bruciore gastrico o addirittura bruciore vescicale dopo aver bevuto caffè? Tutti questi sono segnali della bassa qualità della materia prima, alla quale non solo siamo assuefatti, ma della quale abbiamo anche informazioni fuorvianti all’origine: i grandi produttori di caffè ci propinano prodotti mediocri facendoci credere che siano eccellenti. È un po’ come se vi vendessi passata di pomodoro che, all’assaggio, pizzica il palato, e insistessi nel dirvi che proprio quella qualità la rende un prodotto di pregio: se non avete mai preparato una passata né coltivato pomodori, potreste essere indotti a credere che io abbia ragione.
Qualche giorno fa sono inciampata in un post, rilanciato da un mio contatto Facebook, in cui campeggiava quest’immagine:
Ho letto il testo che accompagnava l’immagine (lo potete trovare qui link), e sono rimasta colpita: dovevo contattare gli autori del post e chiedere loro di spiegarmi alcune cose da poter condividere con voi. Il miglior modo per capire concretamente la qualità di una materia prima è interrogare in modo diretto i coltivatori (cosa difficile per il caffè, vista la zona geografica in cui cresce), oppure trovare imprenditori che trattino la materia prima con competenza e trasparenza, guidati dalla passione (e, come spesso ribadisco, anche per il rispetto verso la materia prima stessa e l’intero suo processo lavorativo).
Detto fatto. Ho scritto alla mail trovata sulla pagina di Faro – Caffè Specialty (link qui), una caffetteria romana poco distante da Piazza Fiume nella quale non ordinerete un semplice caffè, ma potrete fare una vera e propria esperienza gustativa grazie alla loro carta di caffè specialty. Mi ha risposto Dario Fociani, il titolare, che si è detto disponibile a rispondere alle mie domande e curiosità, e che ringrazio di cuore per le informazioni e il tempo!
Avete voglia di scoprire con me qualcosa di più sul caffè di qualità?
Buongiorno Dario, parto con una domanda che entra a gamba tesa nel mondo del caffè: cos’è che ne determina la qualità?
La qualità dei chicchi di caffè è determinata dal loro contenuto molecolare di acidi, zuccheri semplici e complessi, proteine, oli. Se un caffè è di bassa qualità all’origine, non esiste alcun processo produttivo che lo possa migliorare: anzi, è assai facile che la qualità venga ulteriormente peggiorata durante la lavorazione, in particolare durante la tostatura. È assolutamente prioritario avere cura di un’attenta selezione all’origine; il caffè è una pianta, e, come in qualsiasi altro tipo di coltivazione, le variabili che possono portare alla realizzazione di un ‘gran’ caffè sono l’agricoltura che il contadino ha scelto di usare, il clima, il territorio, la zona geografica, l’altitudine, la varietà botanica usata.
Se mi chiedi un modo rapido e valido per valutare un caffè all’assaggio non posso che citarti il metodo che in inglese viene definito cupping: è l’assaggio alla brasiliana, nel quale si macina grossolanamente il caffè in una tazza da assaggio, ci si mette acqua a 94 gradi, e si assaggia. La valutazione non risente di filtri o rischi da parte dell’operatore: assaggi la materia prima nuda e cruda, niente di più.
Parliamo proprio di colture e piantagioni. Le più note marche di caffè spesso esaltano il ‘caffè monorigine’ come caffè di maggiore qualità. Immagino che la verità sia molto più complessa: cosa puoi dirci in merito?
Immagini molto bene: parlare di ‘monorigine’ è semplicistico e riduttivo, il mercato del caffè è estremamente più complesso. Prova a fare un paragone con il vino: se parlassimo di ‘vino monorigine’ ci riferiremmo in generale al vino italiano o al vino francese, mentre ben sappiamo che all’interno di una stessa origine esiste una varietà talmente vasta e complessa che sono stati scritti tomi di enologia in merito! Pensa se mettessimo allo stesso livello un barbera piemontese e un primitivo pugliese: quanti amanti del buon vino inorridirebbero? Per il caffè è lo stesso: il problema, in Italia e in Europa, è che si tratta di un’agricoltura geograficamente lontana; noi abbiamo esperienza del prodotto finale, non della piantagione: per questo ci risuona lontano e poco comprensibile tutto ciò che riguarda il campo. Il caffè viene da nazioni lontane, cresce da tropico a tropico e per questo (cambiamento climatico permettendo!) l’agricoltura è così lontana da non fare voce. Ma abbiamo tantissime zone diverse di produzione in ogni paese d’origine e migliaia di sapori lontani anni luce l’uno dall’altro. Parlare di ‘monorigine’ significa appiattire, semplificare, ridurre. Noi di Faro preferiamo parlare di “caffè Specialty di singola piantagione”.
Io sono un’amante e una degustatrice del cioccolato; all’interno del suo processo produttivo so quanto possa fare la differenza il momento della tostatura: immagino che per il caffè sia lo stesso.
Sì, esatto: la tostatura è un piccolo universo; è un momento magico nel quale è possibile esaltare il gusto caffè, sprigionando gli aromi secondari che caratterizzano le singole piantagioni. Parimenti, una tostatura errata annichilisce e peggiora i semi, rendendoli amari. Sarebbe troppo complesso riassumere in poche righe i potenziali della tostatura: dopo anni di esperienza e di studi ancora tutti abbiamo tantissimo da imparare. Semplificando al massimo, posso dirti che durante la tostatura ci deve essere un equilibrio fra i tre tipi di trasferimento di energia (conduzione, convezione e irraggiamento). Bisogna diffidare da tostature che scuriscono troppo i semi di caffè: il caffè non è ‘nero’; i chicchi troppo scuri nascondono i probabili difetti agricoli e danno problemi allo stomaco per via della cottura eccessiva.
Non posso dire che non esistano caffè di ottima qualità anche nella grande distribuzione, tuttavia si tratta dell’eccezione più che della regola, specialmente in Italia, nonostante abbiamo la fama di essere grandi degustatori di caffè: con il caffè Specialty non si sbaglia quasi mai.
Banalmente per il consumatore: ci sono dei dati visivi o aromatici per capire se un caffè, di casa o del bar, sia di qualità?
Dati visivi o aromatici non ne esistono, esistono i propri gusti personali. Posso dirti che per anni (forse centinaia) i grandi produttori di caffè hanno distorto l’idea del ‘caffè di qualità’, propinando chicchi affatto eccellenti, ma dipingendoli come il non plus ultra. Come conseguenza, la gran parte della popolazione ha amato e ama caffè difettati, acerbi, marci, tarlati.
C’è la famosa storia del “caffè monsonato”: nei tempi del colonialismo, quando il caffè partiva a bordo di grandi navi dall’India diretto per l’Europa, i metodi di conservazione della materia prima erano pressoché inesistenti. A causa dei parametri di umidità e temperature, i chicchi di caffè diventavano terreno fertile per le muffe, e assumevano un sapore (orribile e insalubre) a cui la gente si era abituata. Con il miglioramento del trasporto migliorò anche la conservazione del caffè, diminuì la crescita di muffe e migliorò la qualità: tuttavia la popolazione, abitata al sapore del caffè monsonato, rimase delusa!
Al giorno d’oggi possiamo dire che un caffè ‘molto buono’, senza difetti e tostato chiaro, è caratterizzato da un’analisi chimica che rileva un’alta concentrazione di acido citrico e malico, in grado di rendere il caffè molto profumato e fruttato, acidulo e piacevole. Io lo amo: tante altre persone, forse anche per abitudine ad altri tipi di caffè, non sopportano la componente acidula del caffè e lo richiedono più tostato e amaro. Tuttavia, l’amarezza non è una caratteristica positiva per la qualità del caffè: l’acidità, entro certi limiti, sì.
Al netto dei gusti personali, per avere un caffè di qualità bisogna fidarsi del proprio barista o del proprio torrefattore, chiedendo altresì la massima tracciabilità; non dimentichiamo che il caffè, come il cioccolato, è un frutto tropicale: dovrebbero essere presenti alcuni aromi secondari tipicamente tropicali, che un palato allenato sa riconoscere. I difetti agricoli non sono evidenti sui chicchi di caffè cui siamo abituato: forse lo sono solo sul caffè verde, non ancora tostato.
Caffè al bar: posta la qualità della materia prima, per la quale dobbiamo affidarci al barista, come dovrebbe essere realizzato a regola d’arte?
Il caffè al bar deve essere sempre pesato, l’estrazione deve essere fatta seguendo dei protocolli e una brew ratio precisa, la macchina deve essere pulita regolarmente, va sempre risciacquato il filtro fra un espresso e un altro e il caffè va macinato pochi secondi prima di essere estratto. I grossi dosatori pieni di caffè pre macinato non mi piacciono e non mi piaceranno mai.
Caffè a casa: meglio in chicchi o già macinato? È vero che sarebbe meglio conservare il caffè in frigorifero?
Se possibile io consiglio di acquistarlo in chicchi e macinarlo sul momento, ma posso immaginare che sia un’opzione non praticabile per la maggior parte dei consumatori. Quindi: a ognuno il suo gusto e la sua praticità.
Il caffè va conservato al fresco, ma non all’umido. Meglio in un contenitore di vetro o acciaio a chiusura ermetica, e posto in dispensa al buio: il frigorifero è troppo umido, senza contare che il caffè è una spugna, assorbe gli odori del cibo che ha intorno, e potrebbe non essere una buona idea metterlo vicino al formaggio o alle cipolle!
Parliamo della grande moda degli ultimi anni: il caffè in capsule. Io più volte ho cercato di sensibilizzare riguardo l’aspetto di ecosostenibilità di un prodotto venduto in materiale plastico monouso, senza contare che difficilmente le capsule vengono smaltite nel modo corretto, andando a peggiorare l’inquinamento globale da plastica. Cosa mi puoi dire riguardo la qualità del caffè contenuto?
Il discorso sarebbe lungo e pesante: le capsule rispondono a un sistema che presenta dei difetti e dei problemi all’origine; bisognerebbe cambiare il sistema, non semplicemente abolire le capsule. Qualitativamente parlando, il caffè contenuto nella capsule è già macinato: non sappiamo da quanto, non sappiamo come sia stato coltivato e difficilmente sappiamo da dove provenga; insomma, forse sarebbe meglio optare per un caffè con migliore tracciabilità e informazioni a sostegno, da preparare in una buona moka.
Parliamo di coltivazione del caffè e di giusto prezzo della materia prima; è un tema a me molto caro, soprattutto per quanto riguarda tutti quei prodotti che si collocano su una fascia ad alto rischio di sfruttamento del coltivatore: banane, avocado, caffè, cioccolato, pomodori. Per quanto riguarda il caffè è possibile individuare produttori più virtuosi? Esistono certificazioni che ci siano d’aiuto? Quale ritieni essere un prezzo ‘giusto’ per un caffè di qualità e rispettoso dell’ambiente e del lavoratore?
Le certificazioni sono sempre un rischio, perché per ottenere una certificazione il produttore deve avere soldi da investire nella certificazione stessa: molti agricoltori in paesi economicamente e socialmente instabili lavorano benissimo, ma non possono permettersi i costi della certificazione. Pagare meglio prodotti che arrivano da paesi equatoriali è indispensabile per creare una filiera meritocratica: dovrebbe essere compito degli intermediari fare da filtro non solo sulla qualità, ma anche sul giusto prezzo all’agricoltore.
Secondo la mia esperienza non è possibile trovare prodotti buoni che costino meno di 5 euro al chilo per caffè verde; calcolando i costi aziendali, di torrefazione e di produzione, un bar non può pagare meno di 20 €/kg un caffè ‘buono’: equivale ad un costo finale per il consumatore di 30-35 €/kg. Se guardiamo i prezzi di alcune marche note sul mercato italiano, i prezzi medi sono meno della metà di quelli da me citati: un dato che dovrebbe dar da pensare.
Un espresso al bar dovrebbe costare da 1,20 a 1,50 € per un caffè fatto con senso e sostenibile: purtroppo questo prezzo è più o meno uguale in tutti i bar d’Italia, ma senza essere un discrimine importante sulla qualità della materia prima; si sono uniformati i prezzi, senza permettere una distinzione tra quello che è migliore e quello che è peggiore.
Per concludere, quali ritieni essere i più grandi falsi miti riguardanti il caffè che l’industria ha veicolato per indirizzarci a comprare inconsapevolmente prodotti di scarsa qualità?
Sorrido: bella domanda! Ce ne sono così tanti! Il mito della cremina spessa sull’espresso al bar, quello dello zucchero che deve scendere lentamente nella tazzina, quello che associa il buon caffè solo ad alcune città di lavorazione del prodotto, quello che esalta la macchina a leva rispetto alla macchina moderna, quello che spinge a credere che un caffè ristretto sia migliore di un caffè ben estratto… Il caffè è pieno di miti e di leggende metropolitane per miliardi di motivi. Ma basta comprare un buon libro o fare un corso con un buon insegnante per smontarli uno a uno. In ogni città c’è un appassionato che fa caffè eccellente, basta cercarlo, perché l’unica cosa che dà sicurezza di un caffè buono al cliente che lo vuole bere, è la passione di chi lo prepara. Nient’altro.
One Comment
Grazie. Da quando ho scoperto di avere il battito basso bevo un paio di caffe al giorno. Lo bevo senza zucchero, diluito con qualche tazza d’acqua. Ma devo bilanciarlo bene : nella quantita giusta mi aiuta con energia e lucidità, altrimenti posso diventare intrattabile…
Ora che ho letto l’articolo, capisco che forse anche la qualità del caffè potrebbe ridurre l’effetto negativo.
Ma dove comprare caffè sano , come si chiama?
Io scelgo di solito fair trade, è una buona scelta per la qualità ?
Grazie mille ciao