Dopo l’introduzione di un paio di settimane fa, quest’articolo sarà dedicato alla qualità del pesce fresco che troviamo in pescheria o nel reparto ittico dei supermercati.
Tanto per cominciare, un paio di numeri: sapete che nel mar Mediterraneo esistono ben 700 specie ittiche, tra pesce propriamente detto, molluschi e crostacei? Di questa enorme quantità, solo circa il 10% viene pescato e usato come fonte alimentare: solo 70-80 tipi di pesce su 700. I numeri si assottigliano ulteriormente quando andiamo ad indagare le tipologie di pesce fresco di fatto consumato dagli italiani: pesce spada, tonno, salmone, merluzzo, gamberetti, polpo, merluzzo, branzini e orate, cozze, vongole e poco più, dico bene? Recenti analisi di mercato evidenziano che ben il 56% del consumo italiano di pesce ruota intorno a sole 10 specie: un ben misero bottino rispetto alla varietà che potremmo avere! Quando siete in pescheria e trovate un pesce mai visto prima ma che vorreste assaggiare non abbiate timore e chiedete all’addetto qualche consiglio su come cucinarlo: se la persona è competente, così come dovrebbe essere, avrete pronto un delizioso piatto in men che non si dica.

Il pesce è una derrata alimentare altamente deperibile; la crescita microbica aumenta esponenzialmente al variare di quattro fattori: presenza di acqua, presenza di ossigeno, tempo trascorso dalla cattura e temperatura di conservazione.
Come per ogni altro prodotto, acqua e aria fungono da terreno fertile per la crescita di batteri. Quando comprate del pesce fresco abbiate l’accortezza di tamponare l’eccesso di acqua con carta monouso e di trasferire il pesce su piatti da portata coperto quasi completamente da pellicola trasparente senza pvc, riponendolo subito in frigorifero. Se riuscite, cucinatelo in giornata o al massimo entro 24 ore: tenete conto che da cotto si conserva un po’ più che da crudo, non vi puzzerà il frigorifero e non andrà incontro a sostanziali perdite di nutrienti purché consumato entro due giorni dalla cottura.
Per quanto riguarda il tempo trascorso dalla cattura e la temperatura di conservazione, è intuitivo che maggiore sarà il tempo e più alta sarà la temperatura, maggiore sarà la carica microbica del nostro pesce. Nello specifico i batteri aumentano secondo una crescita esponenziale: è indispensabile mantenere la catena del freddo per evitare indesiderati mal di pancia, quindi non perdetevi in chiacchiere dopo l’acquisto e andate subito a casa!

Per quanto riguarda le caratteristiche estetiche e organolettiche del pesce i fattori che entrano in gioco sono differenti. Ad esempio, un pesce presenta una livrea più brillante in funzione di acqua, luce e salinità; è per questo motivo che un pesce mediterraneo è più attraente di un pesce atlantico: ciò non vuol dire che anche le qualità nutrizionali siano superiori, poiché a questo contribuisce fortemente il tipo di alimentazione del pesce. Un pesce che si nutre di cibo per lui naturale sarà più ricco di omega-3 e di minerali, avrà una carne più soda e un miglior profilo proteico: ciò porterebbe a credere che un pesce pescato in mare, avendo necessariamente avuto un’alimentazione naturale, sia più nutriente di uno d’allevamento. In linea di massima potremmo dire che quest’affermazione sia corretta, ma non dimentichiamo di tenere conto di due cose fondamentali:
1. I nostri mari e oceani sono inquinati, e spesso le molecole inquinanti vengono assorbite dalle varietà ittiche. Maggiore è la pezzatura di un pesce maggiore sarà la probabilità che abbia accumulato metalli pesanti: è per questo motivo che si consiglia di consumare con moderazione pesci grossi, come spada o tonno. Personalmente li ho esclusi dalla mia alimentazione, anche per altri motivi su cui ritornerò nel prossimo articolo.
2. I pesci d’allevamento possono essere alimentati con diversi tipi di mangime la cui composizione varia da allevamento ad allevamento. Purtroppo da qualche tempo a questa parte l’Unione Europea ha approvato la presenza di foraggi animali provenienti da propri simili nel mangime di pesce e ad altri animali da allevamento (bovini, ovini, suini…). Tale pratica era stata abbandonata a seguito dello scandalo della mucca pazza, risalente a una decina d’anni fa: a quanto pare dai propri errori non si impara, sebbene ora la regolamentazione sia più restrittiva.

Durante l’intervista Fabio mi ha assicurato che tutti i pesci allevati venduti nella Pescheria Orobica provengono da allevamenti che non fanno uso di mangimi animali, tantomeno se provenienti dalla stessa specie per la quale sono destinati: è un’informazione molto confortante, che mi ha fatto rivalutare il pesce d’allevamento. Trovare pesce fresco non è sempre facile, soprattutto durante i periodi di fermo-pesca, ossia un periodo di tempo di 4-5 settimane durante il quale è vietato per legge pescare in mare aperto, al fine di dare tempo alle varie specie di riprodursi e proliferare. Limitare il consumo di pesce pescato potrebbe essere un buon consiglio a fini etico-ambientali: i nostri mari sono sempre meno pescosi, complice l’inquinamento e la pesca selvaggia che l’uomo ha perpetrato negli ultimi anni. La domanda che mi ronzava per la testa era sempre quella: ma esistono allevamenti di pesce *consapevoli*? A quanto pare sì.
Prima di passare oltre vorrei dare un’ultima informazione riguardo al mangime: in linea teorica quando il pesce viene venduto al commerciante l’allevatore dovrebbe aver sospeso il mangime già da due giorni. Infatti, la presenza di mangime nella pancia determina una veloce fermentazione, che si traduce in un cattivissimo sapore del nostro pesce, oltre che in un prezzo maggiorato (saranno magari solo 10 grammi di residuo, ma pensate su grandi ordini quanto in più può guadagnare un allevatore poco onesto!). La Pescheria Orobica seleziona allevatori che garantiscono la sospensione del mangime entro i tempi stabiliti.
La qualità di un pesce di allevamento non dipende esclusivamente dalla tipologia di mangime usato, ma anche da dove e come il pesce viene allevato: possono esserci vasche direttamente in mare, appena distanti dal mare o completamente in ambiente artificiale (vasconi enormi in strutture chiuse). Anche la densità del pesce varia: abbiamo allevamenti che stivano in poco spazio tanto pesce, o allevamenti nei quali si ha molta più libertà di movimento. Quando guardiamo un pesce sul banco della pescheria possiamo renderci conto da soli quanto spazio vitale gli è stato dato: se le pinne sono ben sviluppate significa che il nostro pesce avrà avuto maggiore spazio per nuotare, e le sue carni saranno più sode; una pinna atrofica e carne meno compatta è segno di allevamento intensivo.
Visto che siamo in tema di pesce d’allevamento, vorrei segnalarvi il sito di uno dei pochissimi allevamenti biologici in Italia: se abitate nei pressi di Predazzo (TN) visitate Bio Trota Dolomiti (link qui), e guardate con che cura vengono allevate queste trote. Ringrazio Nadia per avermi segnalato questo allevamento, peccato mi sia impossibile visitarlo!

Passiamo ora a parlare del pesce pescato. Sulla qualità merceologica del nostro pesce pescato incide fortemente anche il metodo di pesca, ci avete mai pensato? Il pesce può essere preso con rete a strascico o con palangari: nel primo caso verranno issate in mare tonnellate di pesce, per cui quello che si trova nella parte inferiore della rete viene schiacciato da tutta la quantità che lo sovrasta. I palangari sono invece ami singoli: per ogni amo si cattura e si issa in nave un solo pesce, che dunque non sarà mortificato da altro materiale che lo comprime.
Il metodo di pesca per il pesce pescato e quello di allevamento per quello allevato si riflettono poi nel prezzo del pesce: ecco perché possiamo trovare uguali tipologie di pesce a prezzi molto diversi tra loro. Maggiore è la cura e l’attenzione riposta nell’allevamento e nella cattura, più costoso sarà il nostro prodotto.

Con questo articolo spero di avervi dato alcuni spunti di riflessione. Quando andate in pescheria non ragionate solo in termini di “costo”: cercate un compromesso tra quello che il vostro portafogli vi permette e la qualità di quello che avrete nel piatto. Non vale la pena comprare pesce a prezzo stracciato per poi portarsi alla bocca qualcosa che può avere un gusto piatto o addirittura cattivo, o la cui resa in cottura è veramente minima (vi è mai capitato di comprare del pesce o della carne e vederli diventare la metà in padella, perdendo tantissima acqua?). Piuttosto, orientatevi verso tipologie “povere” come alici, sarde, suri, lanzardi o sgombri, cioè il classico pesce azzurro.

…e a proposito di pesce azzurro, sapete cosa si intende con questo nome? In realtà si vuole semplicemente indicare pesce caratterizzato da una livrea cangiante dal verde, all’argento, all’azzurro. E’ una classificazione usata inizialmente dai pescatori, che poi i commercianti hanno fatta loro. Con il tempo si è fatta una grossa confusione tra ‘pesce azzurro’ e ‘pesce mediterraneo’: fate attenzione. Ad esempio, vongole e cozze sono specie ittiche che si trovano nel mediterraneo ma che non possono essere definite pesce azzurro. Non è una mera questione di nomenclatura: grazie ad analisi scientifiche si è scoperto che il cosiddetto pesce azzurro è anche quello più ricco di omega-3, preziosi per la nostra salute!

A settimana prossima con l’ultimo articolo riguardo al pesce!

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