Settimana scorsa abbiamo visto che cosa è la IIFYM (o cosiddetta “dieta flessibile”), analizzando i suoi pro e i suoi contro.
Vi avevo promesso che avrei concluso con un altro articolo, con consigli pratici riguardo modi semplici per rendere flessibile la propria alimentazione, senza essere schiavi dei numeri e dei calcoli: eccolo qui, sperando che vi sia utile!

Una premessa

La dieta, lo sapete, deve essere personalizzata con l’aiuto di personale competente. 
Quello che scriverò in questa sede non riguarda l’alimentazione in sé, quanto il modo per effettuare sostituzioni al vostro piano: non darò (ovviamente) quantitativi, ma metodi.
Se avete dubbi parlate con il vostro dietista e nutrizionista. 
Ricordate inoltre che se state seguendo una dieta terapeutica non tutte le sostituzioni sono possibili (ad esempio, se dovete escludere il glutine dalla vostra dieta non vi sarà possibile mettere un piatto di pasta al posto del riso). 
Infine, non perdete mai di vista il significato profondo della dieta, ossia quello di regalarvi salute e benessere sul lungo termine: come ho specificato nel precedente articolo “un macronutriente non è un macronutriente”; vale a dire: se anche da un punto di vista meramente nutrizionale una fetta di torta può apportare gli stessi carboidrati di un’insalata di quinoa, analizzando l’aspetto salutistico le due cose sono pressoché agli antipodi. Quello che conta è sempre e comunque la qualità delle materie prime e la naturalità degli ingredienti, oltre che il grado di raffinazione e industrializzazione che il prodotto ha subìto.

Detto questo, iniziamo!

Individuare le categorie di appartenenza del cibo

Le sostituzioni alimentari vanno sempre effettuate all’interno di una stessa categoria: è possibile sostituire, ad esempio, il riso con la quinoa o le patate (sono sempre carboidrati), o il tacchino con un’orata (sono sempre proteine), ma non il riso con l’orata.

I carboidrati sono rappresentati da:
Cereali, ossia riso, frumento e pasta, orzo, farro, grano saraceno, miglio, quinoa, amaranto, sorgo, teff, avena e segale.
Patate, sia quelle normali che quelle americane; per i fortunati che trovano in commercio anche tuberi del Sud America e dell’Africa, come la yucca, pastinaca e l’olluco, anch’essi valgono come patate da un punto di vista nutrizionale.
– Le castagne e le banane; benché siano un frutto, sono particolarmente ricche di carboidrati complessi (e infatti la loro consistenza è simile a quella farinosa di una patata).
– Le farine derivate da cereali (farina di riso, frumento, farro e via dicendo): possono essere usate per preparare piadine, crepes e impasti dolci o salati, prestando attenzione agli altri ingredienti aggiunti (un conto è preparare una crepes con uovo, farina e acqua, un altro è fare biscotti e torte!).
Farinacei, vale a dire pane, crackers, taralli, focacce, etc. I farinacei sono più “complessi” dei cereali, poiché nella preparazione sono inseriti diversi ingredienti, tra cui grassi (oli vegetali, strutto, burro) e sale; per questo motivo la categoria ‘farinacei’ non è una sostituzione d’elezione tra i carboidrati.

Anche la frutta e la verdura contengono carboidrati, ma “particolari”: la frutta è ricca di zuccheri e fruttani; si tratta di carboidrati a rapido rilascio che saziano solo nel breve termine e a molte persone sensibili al fruttosio donano una fastidiosa sensazione di fermentazione intestinale. Non è opportuno sostituire un piatto di riso con l’equivalente di frutta: a seconda dei vostri obiettivi, la frutta va consumata una o due volte al giorno, in quantità non sovrabbondanti (la quota può ovviamente essere aumentata se siete atleti d’endurance).
La verdura contiene quantità irrisorie di carboidrati: mediamente 2-3 grammi per 100 g di prodotto edibile. Considerando che le fonti “reali” di carboidrati (i cereali) ne contengono 60-80 g per 100 g, praticamente potete non considerare la verdura nella vostra dieta e mangiare un contorno più o meno abbondante a seconda dei vostri gusti. 
Attenzione solo a due cose:
– La verdura è ricchissima di fibra e di galattani o fruttani; se esagerate, potrebbe darvi quella sensazione da “quinto mese di gravidanza” tanto fastidiosa esteticamente… Quindi verdura sì, ma senza rimpinzarsi.
– Alcuni tipi di verdura contengono leggermente più carboidrati della media: ad esempio le patate (che, infatti, ho citato in separata sede). Barbabietola e zucca contengono circa 5-8 g di carboidrati per 100 g: un po’ di più rispetto alla media di altri ortaggi, ma non una quantità tale da farle essere verdure sfavorevoli. Mangiatele tranquillamente, ma, come sopra, non rimpinzatevi.

Le proteine sono rappresentate da carne, pesce e uova.
Anche legumi, yogurt e formaggi fanno parte di questa categoria, ma fate attenzione: la percentuale proteica di queste materie prime non è elevatissima, quindi non è possibile farne una fonte preferenziale; inoltre sia i legumi che i latticini possono creare problemi di fermentazione e gas intestinali. Il consiglio è quello di consumare 2-3 volte a settimana i legumi, e 1-2 volte i formaggi; gli yogurt possono essere introdotti con maggiore frequenza, purché non ci siano problemi di intolleranza, anche, malattie autoimmuni o infertilità.

Carne, pesce e uova sono fonti proteiche “nobili”, così definite perché in grado di apportare l’intero spettro di aminoacidi essenziali in forma particolarmente biodisponibile.
Dobbiamo tuttavia ricordare che le proteine conservate sottoforma di affettati, tonno in scatola, salmone affumicato e simili sono materie prime proteiche molto salate e industrializzate: nella società attuale se ne abusa, con un consumo anche quotidiano, ma una frequenza più salutare è complessivamente di 1-2 volte a settimana. 
Una porzione “consapevole”, che tenga conto dell’apporto di sale e di additivi, non dovrebbe superare i 30-50 g per gli affettati e il salmone, i 70-100 g per il tonno: in questo modo, tuttavia, si lesina sulle proteine. Insomma: o si pensa a raggiungere il fabbisogno proteico o, più opportunamente, all’aspetto salutistico dell’alimento.
In ogni caso, scegliete di consumare questi prodotti un paio di volte a settimane, e sempre di ottima qualità (prosciutti senza conservanti, salmone selvaggio, tonno o sgombro in vaso di vetro e non in lattina).

I grassi sono l’olio extravergine, il ghee o burro di buona qualità, la frutta secca, il cocco e l’avocado.
La tipologia di grassi contenuti è differente: è bene usare ai pasti olio extravergine, ghee e avocado, riservando piccoli snack di frutta secca e cocco a colazione o merenda (senza esagerare). Anche un buon cioccolato fondente all’80% può essere considerato fonte di grassi da far rientrare nel quantitativo quotidiano.

E tutto il resto?! 

Vi ho citato le materie prime “semplici”, da cui sono esclusi gli alimenti “complessi”: ravioli ripieni, pasta all’uovo, biscotti, torte, mousse… Questi alimenti secondari, ossia frutto di ricette che prevedano l’uso di ingredienti semplici, variano la loro composizione in modo piuttosto significativo: abbiamo i biscotti secchi a prevalenza di carboidrati e i frollini/cookies con più grassi; abbiamo le mousse fatte con base di albume d’uovo e quelle con base di mascarpone o panna; i ravioli possono essere ripieni di verdura, carne o formaggi.
Questa variabilità fa sì che per introdurre gli alimenti complessi nella nostra alimentazione dobbiamo avere un minimo di capacità di “scomporli” nelle singole parti, così da fare le sostituzioni correttamente. 
Ad esempio, un piatto di ravioli ripieni di macinato non sostituiscono solo un primo, ma parzialmente anche un secondo piatto.

Maggiore è il numero degli ingredienti, più difficile diventa “far quadrare i conti”: nel prossimo articolo vi insegnerò qualche trucchetto per poterlo fare senza grosse preoccupazioni.

Gestire le equivalenze di sostituzione
Gli “scambi” vanno fatti all’interno di una stessa categoria alimentare: riso e patate sono intercambiabili, così come olio e avocado; legumi e pane no, uova e frutta secca no. 
Questa regola è piuttosto intuibile; ma come gestirsi invece nello specifico con le quantità?

Le sostituzioni tra i carboidrati

– Tra i cereali (riso, frumento, orzo, grano saraceno etc) usate sempre quantitativi fissi di sostituzione, senza impazzire a far rientrare tutto al grammo: magari è vero che per equiparare i carboidrati contenuti in 70 g di riso servono 87 g di quinoa, ma all’atto pratico è più utile standardizzarsi su una quota uguale a sé stessa. Vale a dire 70 grammi di riso corrispondono a 70 g di orzo, pasta, grano saraceno, miglio e via dicendo.
– Le patate sono il quadruplo rispetto ai cereali: 70 g di riso corrispondono a 280 g di patate o patate americane.
– Le patate sono circa il doppio del pane: 50 g di pane corrispondono a 100-120 g di patate.
– I farinacei secchi (crackers, grissini, taralli, fette biscottate, gallette) sono la metà del pane: 50 g di pane equivalgono a 25 g di prodotti secchi.
– Per sostituire un primo piatto con il pane dovete calcolare un fattore di circa 1,5, vale a dire che se avete 70 g di riso potrete usare circa 100 g di pane. Sconsiglio tuttavia di fare troppo di frequente questa sostituzione, così come sconsiglio di sostituire i cereali con crackers o simili: contenendo anche sale e lieviti avrete pari quantità di carboidrati e calorie, ma maggiori sintomi di ritenzione di liquidi. Riducete al minimo il consumo di prodotti da forno.
– Se volete godervi una fetta di polenta con un secondo piatto, ricordate che il peso della polenta cotta dipende strettamente da quanta acqua avete aggiunto, e quindi da quanto densa è la polenta: mia nonna la fa alquanto solida, mia suocera molto più molle. La prima contiene meno acqua (quindi la porzione peserà meno), la seconda con più acqua corrisponderà a un 30-50% in più. In linea di massima potete orientarvi sul quantitativo di farina per fare la polenta: 70 g di riso = 70 g di farina di mais = 100 g di pane. Più o meno, 70 g di farina di mais corrispondono a 100-130 g di polenta una volta cotta.
– I gnocchi contengono meno carboidrati rispetto ai cereali: potete sostituire 70 g di riso con ben due volte e mezzo di gnocchi, quindi 170 g.
– Discorso un po’ diverso per ravioli e pasta all’uovo, che, a differenza dei gnocchi, hanno anche un contributo di proteine e grassi maggiore: consideratene circa il doppio (70 g di riso = 140 g di pasta all’uovo o gnocchi).
– Infine, per le caldarroste potete usare un fattore di conversione di poco meno di 1,5 rispetto ai cereali, ossia 70 g di riso sono circa 90-100 g di caldarroste (questo può tornarvi utile per usare le caldarroste nelle ricette, a colazione o come dopocena).

Ecco una tabellina di pronto utilizzo (click per ingrandire):

Alimentazione in equilibrio - IIFYMLe sostituzioni tra le proteine

In linea di massima, come per i cereali, non serve trovare fattori di conversione per carne e pesce: potete sostituire 100 g di pollo con 100 g di manzo o coniglio, oppure 100 g di branzino con pari quantità di gamberi o dentice. Quasi sempre è possibile fare lo stesso genere di sostituzione tra carne e pesce, ossia 100 g di pollo con 100 g di branzino.
Quello che fa la grossa differenza nel poter fare sostituzioni tra carne e pesce è il taglio dell’animale, o la tipologia del pesce: maggiore è la componente di grasso, minore è la componente di proteine.  
Per farvi capire in termini pratici, vi lascio uno schema di confronto tra due pesci magri (piovra e merluzzo), due grassi (salmone e sgombro), due carni magre (petto di manzo, o filetto sgrassato, e petto di pollo) e due grasse (agnello e costata di manzo). Cliccate per ingrandire.Alimentazione in equilibrio - IIFYM

Vedete che la quantità di grassi cambia notevolmente, e quasi di conseguenza anche quella delle proteine. 
Per semplificarvi la vita, per prima cosa vi conviene dividere la carne e il pesce tra magri e grassi:
– La carne grassa si riconosce ad occhio nudo, poiché ha la parte di grasso bianco-giallastro ben visibile. Inutile fare una classifica, poiché il quantitativo totale di grasso dipende anche da quanto il macellaio ha lavorato dietro le quinte per offrirvi tagli poco grassi: affidatevi piuttosto alla vostra vista. In linea di massima ricordate che il pollame (pollo, tacchino, coniglio, faraona) è piuttosto magro a meno che non ne venga consumata anche la pelle; gli animali giovani (agnello, capretto, vitello, maialino) hanno percentuali di grasso sottocutaneo molto elevato (può essere eliminato con un coltello affilato), mentre al contrario gli animali vecchi hanno più grasso intramuscolare, impossibile da togliere. Il grasso, comunque, serve a saziare di più, contiene vitamine liposolubili e dona morbidezza al taglio di carne (lo sapete… carni troppo magre hanno un ottimo effetto ‘suola di scarpe’ in bocca…).
– I pesci magri sono crostacei e molluschi (piovra, seppie, calamari, gamberi…), e in generale pesci a carne bianca come branzini, orate, sogliole, merluzzi, rombi e via dicendo. I pesci cosiddetti “a sangue” (spada, tonno, salmone, sgombro, alici, sarde) hanno un po’ più grasso, anche se comunque mediamente inferiore a tagli grassi di carne.

Nel sito ho più volte ribadito che il grasso di carne e pesce, se non è da allevamenti intensivi, serve a scopo terapeutico per la ricchezza di vitamine, l’indice di sazietà e l’effetto sulla microflora intestinale. Quindi i tagli più grassi non sono da demonizzare.
Tuttavia, se state seguendo una dieta dimagrante dovrete per qualche tempo prediligere tagli più magri di carne e pesce, per non squilibrare l’apporto complessivo dei macronutrienti; per questo vi consiglio di limitare a 1-3 volte a settimana la “ciccia” che rende tanto appetibili i secondi piatti, soprattutto quando cucinati alla griglia.
Quando usate questi tagli più sostanziosi evitate di usare altre fonti di grassi al pasto: niente olio, burro, frutta secca o simili. 
Se invece non state seguendo una dieta dimagrante o a scopo estetico, ma volete semplicemente “stare bene”, purché scegliate pezzature da allevamenti non intensivi potete sbizzarrirvi quanto volete in cucina: vi assicuro che, se imparate a conoscere bene i messaggi che il vostro corpo mi manda, non rischierete di ingrassare, poiché vi accorgerete di saziarvi con quantità minori.

Per quanto riguarda le uova, bisogna ricordare che una porzione standard (2 uova) contiene circa 12 g di proteine e 10 g di grassi: per sostituire a 100 g di carne o pesce vi conviene usare due uova intere e un albume, oppure due uova intere e una piccola altra fonte proteica (ad esempio abbinando a piselli, parmigiano, ricotta o primosale, per fare una frittata). 
Consiglierei comunque di usare le uova prevalentemente come fonte proteica della colazione, limitando il suo consumo ai pasti a 1-2 volte a settimana per non sbilanciare troppo l’apporto proteico totale.
Alcune persone trovano comodo usare albume di uovo in brick per integrare una discreta quota proteica (100 ml ne contengono circa 10 g), e per preparare gustose ricette di pancake e finte-pizze. Io sono un po’ titubante a consigliare gli albumi liquidi: in parte perché non è possibile trovarli biologici (quindi sono provenienti da allevamenti intensivi), in parte perché le proteine dell’uovo sono fortemente allergizzanti e potrebbero creare qualche problema in persone sensibili. Ad ogni modo, se decidete di usare gli albumi, 200 ml corrispondono a 100 g di carne magra; in genere se ne usano 100-150 ml come fonte proteica della colazione (per preparare pancake o mug-cake o tortini).

Affettati (bresaola, speck, prosciutto), tonno in scatola e salmone in busta sono fonti proteiche molto concentrate: possono raggiungere 20-22 g di proteine per 100 g di parte edibile. Tuttavia, come prima accennato, portano con sé sale, additivi e conservanti che non sarebbero favorevoli a combattere la ritenzione di liquidi: non consumateli di frequente, e quando lo fate sacrificate una piccola quota proteica in nome della salute. Vale a dire: se anche 100 g di bresaola corrispondono a 100 g di petto di pollo, operate una sostituzione di 50-60 g di proteine “conservate” per 100 g di proteine “fresche”; avrete perso qualche grammo di proteine, anche un accumulo di sostanze potenzialmente dannose.

Per quanto riguarda i formaggi, bisogna ricordare che si tratta di prodotti che presentano una serie di svantaggi:
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Nella maggior parte delle donne il consumo frequente causa ritenzione di liquidi;
– Contengono una quantità di sale rilevante;
– Hanno basso indice di sazietà;
– Hanno mediamente un alto contenuto di grassi;
– Possono promuovere fenomeni allergici e stimolare una rivolta del sistema immunitario.
Per questi motivi, più che includerli nelle fonti proteiche vere e proprie, suggerirei di inserirne una piccola quota 2-3 volte a settimana in abbinamento ad altre proteine, nella creazione di ricette. 
Ad esempio: limitate un po’ la quantità di macinato di manzo o di tacchino per introdurre del parmigiano così da creare gustose polpette (circa 80% manzo e 20% parmigiano); usate qualche cubetto di scamorza affumicata (20-30 g) per insaporire la vostra zuppa di orzo e lenticchie; mantecate il vostro risotto con del Castelmagno (15-20 g) e abbinate una porzione di branzino al forno meno abbondante del solito.
E’ pur vero che esistono latticini particolarmente magri e senza/con pochissimo sale che, in linea teorica, potrebbero essere usati con più frequenza: yogurt e yogurt greco, ricotta, quark e primosale. Il problema rimane la frequenza di consumo: come scritto poco sopra, possono creare fenomeni infiammatori con ritenzione di liquidi e manifestazione di acne. Andateci cauti.

Infine, i legumi, questi sconosciuti. 
Quando guardiamo i valori nutrizionali dei legumi secchi rimaniamo di stucco: 100 g di ceci, fagioli, lenticchie o piselli contengono mediamente 20 g di proteine, al pari di carne e pesce! 
Peccato che però mangiare 100 g di ceci secchi vuol dire procurarsi un mal di pancia non da poco… Provate voi ad ammollarli, sciacquarli e cuocerli: 100 g di ceci secchi una volta cotti peseranno circa 300 grammi! Nei legumi sono contenuti antinutrienti, fibra e galattani che li rendono particolarmente avversi al nostro intestino quando consumati in grosse quantità (o troppo di frequente): persone che mangiano quasi quotidianamente i legumi inevitabilmente soffriranno di meteorismo, aerofagia, flatulenza e distensione addominale.
 Per questo motivo sconsiglio di fare una sostituzione di carne e pesce con legumi basandosi sull’equivalenza proteica: rischiereste di lamentarvi a lungo del gonfiore.
Un altro aspetto negativo dei legumi è che non contengono aminoacidi essenziali nelle giuste proporzioni, quelle adatte al buon funzionamento del nostro corpo.
Infine, non va trascurato che i legumi apportino anche una discreta quota di carboidrati: 100 g di ceci secchi contengono anche 60 g di carboidrati, mentre 100 g di pollo ne contengono zero grammi. Quindi, i legumi sono una fonte mista di proteine e carboidrati.
Per questo, i miei consigli sui legumi sono:
– Introduceteli 2-3 volte a settimana, possibilmente in giorni non consecutivi.
– Abbinateli sempre a una fonte di cereali per sfruttare il fenomeno della complementarietà (pasta di farro con fagioli, zuppa di quinoa e lenticchie, risotto con i ceci…), in proporzione di circa 2:1 (70 g di riso + 30-35 g di ceci secchi, che, ripeto, corrispondono a circa 90 g di ceci cotti).
– Se non li abbinate ai cereali, abbinateli a una piccola quota proteica, in proporzione 1:1; ad esempio polpettine di lenticchie (50 g secche) + 1 uovo (circa 50 g) oppure 50 g di ricotta, oppure un’insalatona con petto di pollo ai ferri fatto a dadini (50 g) e fagioli (50 g, secchi).

Le sostituzioni tra i grassi

Per cucinare è bene usare olio extravergine d’oliva, ghee e olio vergine di cocco: sono i tre grassi che reggono meglio le alte temperature, senza deteriorarsi. 
Un cucchiaio di olio extravergine corrisponde a un cucchiaio di olio di cocco liquido (o un cucchiaino se solidificato) o a un cucchiaino di ghee (o burro di malga, burro di montagna, burro chiarificato).
Per condire possono essere usati olio vegetali estratti a freddo, ad esempio olio di semi di lino, canapa, zucca, germe di grano. Un cucchiaio di olio extravergine corrisponde a un cucchiaio di queste altre fonti.
Per arricchire la vostra insalata o per preparare gustose mousse potete usare anche l’avocado, un frutto tropicale ricco di grassi monoinsaturi: ¼ di avocado sostituisce un cucchiaio di olio.

Molte persone usano per arricchire le insalate anche semini di diverso tipo (girasole, zucca, sesamo…): fate attenzione, perché anche queste sono fonti di grasso; qui avevo spiegato perché sarebbe bene non sostituire l’olio extravergine con semini e frutta secca. Se di tanto in tanto volete fare variazioni, considerate un cucchiaio di olio pari a 2 cucchiaini di frutta secca tritata o di semini.

Per non allungare troppo questo già consistente articolo, settimana prossima lo concluderò con una parte dedicata alle corrette frequenze di consumo, all’importanza della qualità degli alimenti e a come inserire cibi “complessi” (come biscotti o ravioli) nella vostra dieta. Allegherò esempi pratici.
Spero nel frattempo di avervi dato spunti utili a variare la vostra dieta, anche se strettamente dimagrante!