Maternità e disturbi dell’alimentazione, quanto è difficile rapportarsi ad una nuova vita che cresce dentro di sé quando ci sono ancora conflitti irrisolti con il proprio corpo? 
Mi rendo conto che l’argomento che andrò a trattare in questo articolo non è strettamente di mia competenza, ed è per questo che ho chiesto l’aiuto della Dott.ssa Melissa Bernasconi, ginecologa attualmente in pensione, che per anni ha esercitato la professione in Canton Ticino (Svizzera) e con la quale ho avuto il piacere di collaborare per tre pazienti prima che appendesse il camice al chiodo. Negli ultimi 15 anni di attività la Dottoressa ha lavorato in un centro ginecologico per fertilità femminile, seguendo percorsi di PMA (più sotto spiego di cosa si tratta), nello specifico di pazienti in amenorrea.

Le difficoltà di concepimento e le opzioni possibili
Per ipofertilità si indica una condizione nella quale il concepimento risulta difficile a causa di disturbi ormonali o metabolici.
Quali sono le cause? Spesso, ma non sempre, l’ipofertilità si accompagna a disturbi del ciclo mestruale: amenorrea, oligomenorrea, anovulazione, calo precoce del progesterone con fase luteale breve. Altre volte la donna ha un ciclo perfetto, ma ci sono difficoltà nell’impianto embrionale. Inoltre, nella maggioranza dei casi di ipofertilità si possono rilevare disordini endocrini come sindrome dell’ovaio policistico, ipotiroidismo, ipertiroidismo, insulino-resistenza. Altre volte ancora il problema riguarda in misura totale o parziale il partner (ed è per questo che sarebbe bene un controllo della fertilità dell’uomo, oltre che della donna). Infine, capita anche che la cicogna non arrivi senza apparente motivo: “negli anni ho assistito decine di pazienti psicologicamente svuotate dopo che, mese dopo mese, vedevano arrivare un ciclo quanto mai odiato, perché segno di quella che veniva vissuta come una sconfitta personale, morale, emotiva” dice la Dott.ssa Bernasconi. “In questi casi non esiste niente di più annichilente, inutile e snervante dei commenti che arrivano solo per il gusto di riempirsi la bocca, ‘sei solo stressata, se ti rilassi andrà tutto bene’. Lo stress e i ritmi forsennati in cui ci troviamo a vivere non sono certamente amici della fertilità, ma il suggerimento di ‘rilassarsi’ per far andar bene le cose è di pari utilità di quando si suggerisce di ‘nuotare’ ad una persona che sta affogando”. Come non essere d’accordo con lei?

Le possibilità che si aprono in caso di ipofertilità sono molte:
Integrazione mirata: la letteratura scientifica è ricca di validissimi studi che evidenziano come in certi casi di ipofertilità possano essere sufficienti integrazioni mirate, studiate appositamente per la paziente. Ad esempio l’utilizzo di inositolo (in particolare la sinergia tra myo-inositolo e D-chiro-inositolo), vitamina D, vitamina B12, zinco e selenio. “Tali integrazioni rappresentano la pratica meno invasiva per favorire la fertilità, e dovrebbero essere la prima ipotesi d’azione, prioritariamente all’utilizzo di qualsiasi farmaco” dice la Dott.ssa Bernasconi, ma prontamente specifica: “Nei casi di ipofertilità chiaramente irrisolvibili con una semplice integrazione vitaminica, come può essere ad esempio in caso di endometriosi o di AMH basso, la supplementazione alimentare deve essere aggiuntiva ad altre tecniche, per non perdere tempo inutile”.
Cure fitoterapiche: esistono numerosi farmaci fitoterapici che possono essere d’aiuto al riequilibrio ormonale. “Non dobbiamo dimenticare che le piante contengono principi attivi usati anche in farmacologia, non sono assolutamente acqua fresca!” ci rassicura la Dottoressa. “Un tempo erano le ‘streghe’ ad essere le più fini erboriste, adesso è meglio non fidarsi degli stregoni, ma solo di medici esperti di Fitoterapia”. 
Le piante più utilizzate come supporto agli ormoni femminili sono: Agnocasto, Angelica Cinese (Dong Quai), Trifoglio Rosso, Cimicifuga Racemosa, Astragalo, Dioscorea (Wild Yam o Igname). Ciascuna di queste piante può agire su diversi ormoni (FSH o LH, estrogeni o progesterone, androgeni o prolattina): non assumete integrazioni senza il supporto di una figura professionale molto competente, e soprattutto non affidatevi ai forum di internet dove diverse donne parlano della propria esperienza, consigliando prodotti ad altre senza sapere di cosa possano veramente avere bisogno. Ad esempio, se il vostro problema è a livello di estrogeni e cominciate ad assumere un fitoterapico ad azione opposta, peggiorereste il vostro problema!
L’efficacia dei fitoterapici è generalmente ad azione più lenta e modulata rispetto alle soluzione farmaceutiche: come per l’integrazione vitaminica e minerale, è bene valutare attentamente se sia d’aiuto o di intralcio al vostro personalissimo percorso.
Induzione dell’ovulazione e del ciclo attraverso cure ormonali mirate: i principi attivi utilizzati sono il clomifene citrato o le menotropine. “Il farmaci che inducono l’ovulazione vanno somministrati assicurando un supporto ecografico alla paziente, per accertersi che l’ovulazione avvenga (non si ha mai la certezza assoluta) e per controllare che non vada in iperstimolo. Successivamente all’ovulazione si utilizzano farmaci ad azione progestinica per supportare l’impianto uterino e per evitare che una carenza di progesterone endogeno esponga al rischio di aborto spontaneo” ci spiega la Dott.ssa Bernasconi. Normalmente l’induzione farmacologica dell’ovulazione non va protratta per più di 4-6 cicli per evitare significativi effetti collaterali, tra cui la riduzione delle possibilità di impianto embrionale.
– L’ultima possibilità che si ha in caso di ipofertilità è il percorso di PMA, Procreazione Medicalmente Assistita. “Esistono diverse tecniche di PMA, e si deve valutare quale scegliere in base al quadro clinico della coppia. La tecnica meno invasiva è la IUI, ossia inseminazione intrauterina, che può avvenire sia su un ciclo spontaneo sia su un ciclo indotto. Esistono poi le tecniche di secondo e terzo livello, come ad esempio la FIVET (fecondazione in vitro con embrio-transfert), la ICSI (iniezione intracitoplasmatica di un singolo spermatozoo)”. Il supporto alla coppia, informativo e medico, viene offerto dai Centri di Infertilità, cui la ginecologa indirizza quando le tecniche precedenti non sono andate a buon fine o quando rappresenterebbero un’inopportuna perdita di tempo (esistono condizioni patologiche della donna, dell’uomo o della coppia che limitano fortemente le possibilità di una gravidanza naturale). “Il percorso di PMA non è mai semplice da affrontare, sia per il suo significato psico-emotivo, in particolare per la donna, sia per i possibili effetti collaterali delle cure ormonali: gli ormoni presi per accogliere l’impianto embrionale possono causare repentini cambiamenti d’umore, aumento di peso, ritenzione di liquidi, stanchezza, tristezza, nausea. La donna deve essere psicologicamente pronta ad affrontare questi cambiamenti: deve essere informata attentamente dal medico curante o dalla ginecologa di riferimento, così da non arrivare allo sbaraglio all’inizio della PMA, ma deve valutare anche un adeguato supporto psicoterapico per tutta la durata necessaria” suggerisce la Dottoressa. E aggiunge: “Durante gli anni di lavoro ho spesso indirizzato le mie pazienti anche verso sedute di agopuntura, sia per de-stressare l’organismo, sia per aumentare le probabilità di riuscita della PMA” (vi ricordate? Ne avevamo in parte parlato qui).

Amenorrea e DCA
Come scritto all’inizio dell’articolo, esistono diverse cause di ipofertilità, tra cui l’amenorrea. L’amenorrea può avere diversi fattori scatenanti, spesso cumulativi: i maggiori indiziati sono l’alimentazione insufficiente e lo stress psicofisico. Insomma, due fattori che a ben guardare interessano la maggior parte delle donne: chi di noi non è costantemente attenta a quello che mangia? In quante hanno ben chiara l’idea di “perdere quel paio di chili” (se non di più) o di “non ingrassare”, e pertanto mangiano meno di quello che dovrebbero? Quante donne hanno il privilegio di una vita pressoché priva di fattori di stress? Carriera lavorativa, poche ore di sonno, tempo libero da dedicare a lavatrici e ad appuntamenti “di piacere” che però riempiono un’agenda già fitta (parrucchiere, estetista, palestra, aperitivo con le amiche…). Vi riconoscete?

Da dietista, mi trovo ad incontrare molto spesso donne la cui amenorrea è stata scatenata da una dieta restrittiva, a cui si aggiunge un rapporto ossessivo e ipercontrollante nei confronti del cibo. Ne avevo parlato in questo e questo articolo: si tratta di veri e propri disturbi del comportamento alimentare (DCA), e la soluzione non va ricercata nel solo cambio di alimentazione (che certamente aiuta), ma in un percorso più intimo e profondo con sé stesse.
Quando si soffre di un disturbo dell’alimentazione, l’assenza di ciclo è vissuta con enorme conflittualità. Interviene la Dott.ssa Bernasconi: “La mancanza delle mestruazioni significa una produzione molto bassa di estrogeni. Gli estrogeni sono quegli ormoni che addolciscono le forme femminili, smussando spigolosità e favorendo depositi di grasso cosiddetto “fertile” a livello di gambe, seno e fianchi. Con l’amenorrea la figura cambia: la paziente è, nella maggior parte dei casi, consapevole che la condizione di amenorrea sia classificabile come patologia ed indica una sofferenza del corpo, ma nel suo intimo è morbosamente soddisfatta quando il ciclo si interrompe. Perché questo significa iponutrizione, magrezza, “purezza”: è una forma malata di gratificazione da tutte le rinunce cui si sottopone. Il ripristino del ciclo è qualcosa che si accetta, e si subisce quasi come una sconfitta, perché implica inevitabilmente l’azione estroginica sulle forme corporee tipicamente femminili, a lungo negate. Sono cambiamenti minimamente percettibili dall’esterno se la paziente è già normopeso, ma che nella propria intimità sono alla stregua di un campo di battaglia: le clavicole meno in evidenza, i fianchi leggermente arrotondati, il seno che si riempie, la ritenzione idrica del preciclo… Tutto ciò che, con le rinunce della dieta, si era tentato di annullare”.

Per molte donne la fase acuta del DCA avviene in età adolescenziale. La malattia lascia radici anche negli anni successivi, con manifestazioni meno evidenti: spesso c’è il ritorno ad un peso adeguato, si ampia la gamma di alimenti “consentiti” e si riescono ad affrontare discretamente bene occasioni di svago legate al cibo (ad esempio vacanze o pranzi in famiglia). Tuttavia, continuano ad essere presenti pensieri disturbanti verso il cibo, manie di controllo, restrizioni preventive a cene fuori (o a seguito di esse).
A livello di ciclo, non è infrequente trovare anomalie nonostante il recupero del peso perso: ci possono essere cicli molto lunghi (>40 giorni), spesso anovulatori, o periodi nei quali il ciclo è assente del tutto; non sempre le irregolarità vengono affrontate come dovrebbero: spesso c’è la consapevolezza che dipendano dalle restrizioni alimentari, ma si non fanno ulteriori indagini.

[NB. Ricordate che io ora mi sto riferendo a problemi del ciclo legati all’alimentazione, ma che ci sono altre cause]

DCA, amenorrea e maternità
Allontanandosi dall’adolescenza si fa strada una cognizione più profonda: si comincia a cercare la femminilità come riscatto, come nuova dimensione d’essere, e, a volte, come preludio della maternità.
Interviene la Dott.ssa Bernasconi: “La mia esperienza clinica mi ha insegnato che la ricerca di maternità su un’ipofertilità conseguente ad un disturbo alimentare può essere il periodo più traumatico nella vita di una donna. I conflitti interni non sono mai stati così elevati: la maternità richiede una piena accettazione della femminilità e delle forme femminili. L’assenza di ciclo e/o di ovulazione peggiora il problema, perché avvia un senso di colpa oppressivo verso sé stesse: consapevoli che i problemi mestruali sono iniziati a causa di proprie scelte volontarie di restrizione alimentare, ci si sente responsabili di una maternità che non arriva. Anzi, non è infrequente che si viva questa condizione come una condanna per propri comportamenti passati, e non si abbia quasi nemmeno il coraggio di lamentarsene: come si suol dire, “te la sei andata a cercare”. Questo atteggiamento annienta una donna, la affoga, non le permette di sollevarsi; non osa nemmeno lamentarsi o parlare delle proprie angosce con nessuno, quasi nemmeno con il marito o compagno, per l’infondata paura che anche gli altri pensino “te la sei voluta”. Quando poi la coppia decide di intraprendere il percorso di PMA c’è il rischio di un ulteriore pensiero fosco: confrontandosi con altre donne la cui ipofertilità è causata da altri fattori, completamente scissi da comportamenti volontari, la paziente può arrivare al punto di credere che la buona riuscita del suo percorso a fronte del cattivo esito di un’altra sia stata una fortuna rubata, quasi esistesse una divinità che dà a qualcuno togliendo ad altri. Le conseguenze sulla psiche possono essere devastanti e perdurare molto a lungo”.

Sono fermamente convinta che non stiamo dando il giusto peso ai disturbi del comportamento alimentare, o meglio alle ferite psichiche che essi portano con sé.

Pensiamo che sia tutto risolto quando una donna smette di digiunare o di abbuffarsi, quando raggiunge un peso definibile come normale, quando la vediamo concedersi un gelato o una pizza: sembra che quando i comportamenti si ri-allineano sulla strada della normalità tutto sia risolto, felice, dimenticato. 
Ma la mente: la mente come sta? Quale devastazione può continuare ad esserci in una donna che si applica alla normalità come esercizio di simulazione, e senza la naturalezza dovuta?
Come ha sottolineato la Dottoressa Bernasconi, il clou si può raggiungere proprio nella ricerca della maternità: nessuna donna dovrebbe subìre lo strazio di sentirsi responsabile se la gravidanza attesa non arriva, nemmeno se tra le cause remote dell’irregolarità mestruale ci sono restrizioni alimentari autoimposte.

Una volta il mio ragazzo se n’è uscito con una frase bellissima, proprio parlando del mio lavoro: “Ci sono una serie di problemi individuali non risolvibili a livello individuale senza opprimere la persona con colpe di cui non ha responsabilità”. All’epoca stavamo parlando di dimagrimento: l’obesità è un problema che affligge gli individui, ma che per essere eradicato richiedere uno stravolgimento della società, dell’industria, del marketing e dei metodi produttivi della catena alimentare; non si può certo riassumere la soluzione in un superficiale “mangia di meno e muoviti di più”. 
La frase è perfettamente applicabile anche all’argomento di cui sto scrivendo ora: una donna non può essere responsabile di un ciclo irregolare e potenzialmente ipofertile, neppure se causato da digiuni e restrizioni autoimposti. Non è una scelta. Non è qualcosa che “ci si è meritate” con propri errori. Se anche ci fosse una responsabilità, sarebbe una colpa completamente incosciente, non di certo un dolo (ossia una volontà atta a quel fine).
L’amenorrea non è un meccanismo che si sblocca con un semplice esercizio di volontà: non basta volerlo, e soprattutto non si deve fare l’enorme errore di credere che tutto risieda nell’alimentazione, e di conseguenza che proprie scelte alimentari possano indirizzare verso l’uno o l’altro risultato.

Come ho scritto in questo mio post su Facebook, non è detto che una via sia percorribile a ritroso per tornare al punto di partenza: chi può sapere quali modificazioni fisiche, chimiche, endocrine siano subentrate nel frattempo? La dieta restrittiva e lo stress generato dall’ipercontrollo non hanno causato l’assenza del ciclo in modo diretto, ma hanno determinato modificazioni ormonali e cellulari (con interferenze psicologiche) di cui un cambio alimentare all’opposto, da solo, potrebbe non essere  la soluzione. Per alcune donne sì. Per altre no: le prime non sono più meritevoli delle seconde, perché non dipende da loro, né nel primo né nel secondo caso.

Chiedo alla Dott.ssa Bernasconi: “Dalla sua esperienza come ginecologa, cosa pensa che sarebbe opportuno consigliare in questi casi?”
Mi risponde: “In primo luogo, non va ignorata la prevenzione e l’informazione, ma questo vale ad ogni livello di DCA e non solo al fine di una futura gravidanza. Al fine della gravidanza stessa, con un DCA che ha lasciato tali strascichi sul ciclo, il ginecologo curante dovrebbe aver la premura non solo di curare, ma anche di indirizzare ad un dietista: anche qualora si decidesse di partire con stimolazioni all’ovulazione o con la PMA, lo stato nutrizionale della futura mamma deve essere di elevato livello per poter massimizzare le possibilità di impianto e per assicurare al feto l’equilibrio calorico, vitaminico e minerale di cui necessita per la sua formazione. Nel momento in cui si fa una scelta farmacologica, non si deve trascurare che eventuali effetti collaterali delle cure ormonali, come ad esempio l’aumento di peso e il gonfiore dei farmaci progestinici, avranno una ripercussione molto maggiore in una donna che vive male nel proprio corpo: si deve cercare il miglior compromesso dose/efficacia in relazione ai vari side-effects, la si deve informare delle modifiche corporee che potrà riscontrare, e la si deve rassicurare che non saranno irreversibili. Più di ogni altra cosa, si deve garantire il massimo della stabilità psicologica ed emotiva della paziente, suggerendo il supporto di uno psicologo specializzato nei percorsi di fertilità e maternità, e coinvolgendo il più possibile il partner”.

Ringrazio infinitamente la Dottoressa per la sua disponibilità.

Non è stato semplice scrivere questo articolo, e molto probabilmente non è stato facile per alcune di voi leggerlo. Perché ho voluto comunque pubblicarlo?
Perché ho pazienti che si trovano in questa esatta situazione, e nelle quali vedo e sento i conflitti interni evidenziati nell’articolo: da dietista mi sento impotente, perché l’alimentazione è solo uno dei tasselli del puzzle. Quello che posso fare a livello ambulatoriale, quando mi trovo a tu per tu con la paziente, è trovare il modo per abbattere barriere e pregiudizi sul cibo, indirizzando verso ciò che veramente nutre mente, corpo e psiche, ma allo stesso tempo trovare il modo giusto per porre l’attenzione anche su altre criticità: ipercontrollo, perfezionismo, eccesso di sport, conflitti irrisolti.
Attraverso il sito, non posso far altro che sperare le parole che raggiungano il maggior numero possibile di donne in difficoltà, sensibilizzando sempre di più circa lo stretto legame esistente tra psiche e fertilità, stato nutrizionale e potenzialità del corpo.