Qualche settimana fa, precisamente dall’1 al 7 agosto, si è celebrata la settimana mondiale dell’allattamento al seno.
Da professionista della nutrizione, sarebbe probabilmente stato mio compito scrivere qualcosa in merito, poiché i vantaggi dell’allattamento, sia per la mamma che per il bambino, sono scientificamente riconosciuti: non si tratterebbe, quindi, di dare un consiglio riguardo una scelta educativa o di crescita (come per esempio è per l’autosvezzamento al posto dello svezzamento tradizionale), quanto piuttosto di supportare evidenze scientificamente validate.

Però sono anche una mamma, e ho allattato: in modo esclusivo per sei mesi, giorno e notte, e poi altri 13 mesi; ho un pessimo ricordo delle ultime settimane, quando ormai mio figlio cercava latte solo di notte, piangendo e dimenandosi, e io ero semplicemente esausta, nervosa, e mi sentivo pure stupida di fronte a chi non aveva niente di meglio da dire se non “Ma come, allatti ancora? Non è meglio smettere?”.

Ho allattato, ma non sono ‘più’ mamma di una donna che sceglie di non allattare. Non ho fatto, come spesso si sente dire, ‘il dono migliore’ al mio bambino. Se non l’avessi allattato, la sua salute non sarebbe irrevocabilmente stata condannata da sindrome metabolica, allergie e sistema immunitario fragile.
Al di fuori di quello che è ‘scientificamente giusto’ c’è da considerare il post-partum nel suo complesso: vale a dire il periodo della vita in cui una donna è più fragile e insicura, e che coincide con il periodo della vita in cui un bambino ha più bisogno di sentire che la sua mamma si prende cura di lui.
A volte la scelta di non allattare rende una mamma più serena, e di conseguenza anche il bambino.

Questo non vuol dire osteggiare l’allattamento al seno, anzi! Bisognerebbe promuoverlo in tutti i modi possibili: ostetriche, pediatri, nonne, amiche. Tutte dovrebbero supportare la donna che ha appena partorito, con conoscenze teoriche e con aiuto pratico: spiegare come avviene la suzione, come arriva la montata lattea, cosa significa allattamento a richiesta, come funziona la fame del neonato… Ma anche preparare da mangiare alla puerpera, darle modo di riposare dalla fatica immane del parto, e di prendere le misure della sua nuova vita.

La scelta di allattare o non allattare deve essere consapevole.

…nel senso che una donna deve avere tutte le informazioni a sua disposizione. Deve sapere che non è vero che ‘non hai latte’, deve rifuggire chi pretende di ‘dare orari’ a neonati di due settimane, deve conoscere l’importanza dell’atto della suzione per mantenere la produzione del latte: se smette di allattare, pur desiderando farlo, per informazioni erronee che le vengono date, sarebbe ingiusto e sbagliato ad un livello viscerale.
Tuttavia una donna, dopo il parto, deve anche fronteggiare una nuova Sé, una nuova famiglia, una nuova dimensione. Deve sapere che lo stress psicofisico la danneggia, e questo si ripercuote sul bambino. Se la sua scelta di NON allattare è consapevole, ossia ponderata e non forzata da fattori esterni, ecco: questa scelta non la deve far sentire in colpa, e non la deve rendere oggetto di pesanti critiche o giudizi esterni.

(E qui aggiungo un piccolo inciso a sottolineare la coerenza di chi muove sempre e comunque critiche… Le stesse persone che se non allatti fino a 6 mesi dicono: “Ma come, non prende il tuo latte? Poverino…”, sono probabilmente quelle che, se continui ad allattare dopo l’anno, magari pure il pubblico… “Ma come, non sai che puoi provocargli turbe psichiche?”. Prendete le vostre scelte per voi e la vostra famiglia, non per gli occhi altrui!)

Essendo comunque una dietista, ed occupandomi di nutrizione, non di psiche, ho deciso di lasciare la parola a chi meglio di me può esprimere il groviglio di emozioni, stanchezza, sensi di colpa e pesantezza di cuore (eh sì) che l’allattamento porta con sé: lei è Silvia Ferrero, psicologa e specializzanda psicoterapeuta. Si occupa  di sostegno e consulenze psicologiche per bambini, adolescenti, genitori e di psicologia perinatale, ossia tutto ciò che ruota intorno alla nascita. Trovate qui il suo sito (lavora a Torino).

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Quando Arianna mi ha chiesto di scrivere un articolo sull’allattamento, mi sono interrogata su quale fosse il modo migliore per trasmettere un messaggio che mi sta tanto a cuore. In questo mio primo articolo sul suo sito, vi parlerò quindi del valore emotivo dell’allattamento, ma soprattutto dell’importanza della libera scelta della madre.

Cenni storici
Facciamo prima di tutto un passo indietro nel tempo e vediamo come la concezione dell’allattamento abbia subito diversi cambiamenti nel corso della storia.
Tra il 1400 e il 1800 l’allattamento naturale era considerato una attività degradante, quindi era praticato solo dalle popolazioni rurali e povere, mentre le famiglie benestanti si rivolgevano ad una balia in modo che la mamma potesse tornare presto a ricoprire il suo ruolo di rappresentanza in società.
Nella seconda metà del diciottesimo secolo, anche grazie al pensiero di alcuni intellettuali come Rousseau (figura molto importante nella pedagogia europea), venne riscoperto l’amore materno, la libertà e la tenerezza. L’allattamento si diffuse nuovamente anche tra le classi privilegiate.
All’inizio del 1900 con l’avvento del latte artificiale e con la valorizzazione dell’indipendenza femminile si è assistito a un altro declino dell’allattamento.
Nel 1956 è nata negli USA la Leche League, un movimento che aiuta le donne che desiderano allattare facendo informazione e fornendo supporto.
Dagli anni ’70, grazie a scoperte mediche e psicologiche si è rivalutato l’allattamento al seno e tutt’ora in occidente è il metodo nutritivo maggiormente usato, mentre è sempre meno diffuso l’allattamento artificiale.

Alcuni benefici dell’allattamento
Allattare fa bene a mamma e bambino, da un punto di vista fisico, psicologico e relazionale, ed è una tappa importante per lo sviluppo di un attaccamento sicuro. Il bambino esprime un bisogno e la mamma è subito presente per colmarlo e dargli ciò che richiede. Per questo il bambino si sentirà accolto e rassicurato, consapevole di non essere solo in questo mondo tutto nuovo.
Favorisce il contatto pelle a pelle, il contatto oculare e olfattivo. Dà sicurezza nelle capacità genitoriali perché la mamma sarà in grado con un unico gesto di nutrire, coccolare, calmare il bambino aiutando anche il rafforzamento del suo sistema immunitario. La suzione inoltre alza il livello di ossitocina, ormone che ha un effetto calmante sulla madre e potenzia il legame mamma-bimbo.

La libertà di scelta della donna nell’allattamento
L’allattamento è un momento tanto bello quanto delicato e talvolta difficile.
Ciò che mi preme però sottolineare è quanto sia importante per la mamma poter scegliere di allattare così come di non allattare. È giusto che una mamma scelga ciò che ritiene meglio per sé e per il suo bambino, senza vergogna e sensi di colpa.
Si può decidere anche di non allattare, ci sono mille modi per coccolarsi e per sviluppare il rapporto e il legame d’attaccamento, non è questo che fa la differenza o che definisce l’essere una brava madre.

Qualsiasi siano le ragioni (per problematiche fisiche, perché non se la sentono di essere in balia dell’allattamento e preferiscono condividere l’impegno con il papà del bambino o altre figure di riferimento, perché il biberon è più rassicurante, perché non se la sentono di affrontarne le conseguenze sul proprio corpo) va benissimo così.
Non si è una madre peggiore se non si allatta. Se si ama il proprio bambino, se lo si coccola, si risponde al suo bisogno di contatto e vicinanza non c’è nulla di male.

È altrettanto giusto, però, che ogni donna abbia la possibilità di allattare se lo desidera. Troppo spesso sento storie di mamme che hanno smesso di dare il seno per problematiche fisiche, a causa di interferenze dal mondo esterno o per il poco supporto e sostegno. Perché si sono sentite dire che non avevano abbastanza latte, che non erano capaci di attaccare il bambino nel modo corretto o che il loro latte era acqua. Qui si innescano dei sensi di colpa difficili da digerire: c’è la paura che il bambino non cresca bene e si alimenta una sofferenza e una frustrazione nella mamma che porta poi ad un’effettiva possibilità di dover interrompere l’allattamento.
Tutto ciò potrebbe essere evitato chiedendo aiuto alle persone di competenza. Per quanto allattare sia un gesto naturale, non è detto che fili liscio fin da subito. Alle donne che non hanno iniziato un allattamento in modo positivo, per qualsiasi tipo di ragione, vorrei dire di non scoraggiarsi, ma di chiedere aiuto e, se questo è il loro desiderio, di non arrendersi.

Ogni professionista ha il suo ambito di competenza e nel caso dell’allattamento, le figure a cui far riferimento in caso di necessità e di dubbi sono:
– Le consulenti Professionali in Allattamento (www.aicpam.org);
– Le ostetriche;
– L’osteopata, per favorire l’attacco al seno del bambino;
– La psicologa, per un sostegno emotivo;
– Le figure della nutrizione, per gestire un’alimentazione adeguata al momento che si sta vivendo, che dia le giuste energie al corpo.

Pensieri finali
Che si decida di allattare o meno, quindi, la cosa importante è che sia una scelta consapevole, fatta per la propria volontà e non perché si pensa di non essere in grado o di essere obbligate.
Ricordiamoci che ai bambini, prima ancora del latte materno, per essere sereni serve una mamma tranquilla, serena, che non ha bisogno di giudizi e consigli non richiesti, ma di supporto e sostegno.

I bambini, fin dai primi giorni di vita sentono l’umore della mamma e si comportano di conseguenza. Se la mamma è tesa, nervosa, agitata loro lo percepiscono e si agitano. Allo stesso modo la calma e la tranquillità portano il piccolo a vivere tutte le nuove esperienza con maggiore serenità.

Concludo sottolineando che qualsiasi siano le scelte fatte, la mamma non deve pensare di essere egoista, o almeno non nel senso negativo del termine. E questo vale per la decisione di allattare o meno, ma anche più avanti quando si deciderà di interrompere l’allattamento e per qualsiasi scelta si faccia per la vita del bambino e della famiglia.
Spesso il pensare a sé viene vissuto, o fatto vivere, come scelta dettata solo dal proprio bisogno, dal proprio ego. Ma ricordiamo sempre che si può parlare anche di sano egoismo, ovvero il pensare a sé, che non è una cosa negativa, ma è una buona strategia per salvaguardare il proprio benessere che coincide in tutto e per tutto con il benessere del bambino.

Dott.ssa Silvia Ferrero
Laureata in Psicologia Clinica e di Comunità
Specializzanda in Psicoterapia
www.psicologaferrero.it
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