Un articolo che in tante stanno aspettando, e che ho promesso da troppo tempo. Approfitto di questi oziosi pomeriggi di agosto per scriverlo: alimentazione e bimbi, che dilemma!
L’alimentazione dei più piccoli è un bel cruccio per i genitori: si parte pieni di entusiasmo e di buoni propositi; si tengono in casa solo ingredienti sani e semplici, magari bio; si cerca di cucinare ricettine sfiziose che siano di loro gradimento.
…e poi?
E poi ci sono i nonni che allungano caramelline e gelati; i compagni di scuola che fanno merenda con brioche e focacce; le mamme degli amichetti che se ne escono con un “poooverino” quando il piccolo tira fuori dallo zaino biscotti integrali cucinati con amore; il bimbo stesso comincia a fare capricci e a dire “no” davanti allo sformato di riso e verdure che ha richiesto due ore di preparazione…

A questo punto, che fare?
Andiamo con calma. 
Prima di affrontare i problemi di “public relations”, meglio spendere qualche parola sulla fisiologia dell’alimentazione dei bimbi, per così dire. Evito di parlare dell’allattamento e dello svezzamento, perché sono argomenti che richiedono troppo tempo e che mi riservo per articoli futuri.

Partiamo con una constatazione. I bambini sono plasmabili sotto ogni aspetto: la loro esperienza sensoriale è pari a zero. Giorno dopo giorno apprendono. E apprendono in un modo del tutto istintivo: attraverso l’emulazione (ma su questo torniamo a breve). 
In campo alimentare nei primi anni di vita i bambini non hanno (quasi) alcun condizionamento: non sono influenzati dalla pubblicità o dal packaging del cibo, non pensano di certo a quello che li farà ingrassare, non si chiedono se un ingrediente sia bio o meno. Si fidano totalmente e ciecamente di chi li nutre: generalmente il punto di riferimento è la mamma. Quello che dà la mamma è buono, nutriente, giusto: che siano pappe preparate con amore e vibranti di nutrienti, o che siano patatine fritte, i bambini si fidano. E cominciano, attraverso la reiterazione delle proposte alimentari, a crearsi la propria esperienza dietetica, il proprio gusto e disgusto.
Nella fascia d’età 0-3 anni sono pochissimi i fattori che possono condizionare in modo istintuale le preferenze dei bambini in ambito di cibo:
– I gusti dolce, amaro, salato.
– La presenza di grassi.
Tutto il resto è un condizionamento esterno, non interno.

Dolce, amaro, salato

Questi tre gusti possono far accendere un sorriso giocoso sul viso di vostro figlio, o un’espressione di bizzarro disgusto. Cerchiamo di capire perché.
I cuccioli di uomo associano al gusto dolce”un ricordo atavico di “nutriente, utile, che va bene”: in natura sono dolci solo cibi altamente energetici, come miele, bacche, frutta. Si tratta di alimenti che nella giungla e nella savana (ambiente “naturale” dell’uomo primitivo) non si trovano facilmente e che quindi, quando assaggiati, devono piacere al punto tale da spingere a cercarne ancora. Ecco il primo motivo per cui chiunque di noi è “dipendente” dal dolce: in un contesto di Natura, il dolce è associato a calorie di pronto utilizzo, difficili da trovare. L’esatto contrario di quello che capita al giorno d’oggi. 
Il gusto dolce, nei bambini, suscita un’immediata assuefazione: pensate che sono stati condotti studi secondo i quali uno dei meccanismi regolatori di una poppata dal seno della mamma è proprio la dolcezza del suo latte; a inizio poppata il latte è maggiormente concentrato di galattosio e lattosio (zuccheri), poi pian piano si fa leggermente più amaro: il bimbo è spinto a staccarsi dal seno sia dal senso di pienezza sia dall’input dato dalle papille gustative. Invece, il latte in formula (ossia, in polvere) ha sempre uno stesso gusto, discretamente dolce, ed è per questo che i bimbi nutriti con il latte preparato mangiano di più e viaggiano su percentili di crescita superiori. Non sono “meglio nutriti” (come, ahimè, l’industria del latte in formula tentava di propinare negli anni ’80, disincentivando l’allattamento materno).

Viceversa, amaro in natura è tutto ciò che ruota intorno alla sfera dei veleni e che ha una certo tossicità, e pertanto crea disgusto come risposta sensoriale di autoconservazione. Sono amari i funghi, le bacche velenose, le erbe che causano crampi addominali e dissenteria (come cascara e senna, al giorno d’oggi usate come principi lassativi). Anche da adulti l’amaro è un gusto che deve essere sapientemente abbinato per poter piacere veramente. 
Se cominciate a dare pappe di verdure amare al vostro bimbo non avrete di certo la sua simpatia: bisogna partire con vegetali dolciastri, come ad esempio le carote e la zucca, o neutri, come le zucchine. Il gusto amaro deve essere centellinato.

Il salato, invece, è un gusto che semplicemente in natura non si trova, e che crea una sorta di assuefazione a saturazione: avete mai notato che se usate meno sale inizialmente tutto vi sembrerà insipido, ma poi vi abituate al punto che se per sbaglio vi scappa qualche granello in più percepite la pietanza eccessivamente sapida? Nei bambini questo fenomeno è amplificato: la loro percezione del salato è circa dieci volte superiore alla nostra; per questo motivo le loro pappe devono essere rigorosamente “insipide” (senza sale). Fate attenzione anche al sale nascosto: di solito si tende ad utilizzare spesso il parmigiano come insaporitore, ma non è propriamente un bene per vostro figlio.

Lo splendido meccanismo dell’autoregolazione e l’importanza dei grassi

I bambini piccoli, al contrario degli adulti, mangiano quando hanno fame e smettono di mangiare quando sono sazi. Hanno una spiccata capacità di autoregolazione, in particolare (leggete attentamente) quando la loro alimentazione comprende ad libitum i grassi (anche animali).
Ricordatevene sempre: se offrite ai vostri figli piatti troppo light, avranno sempre fame e cercheranno sempre cibo. I bimbi hanno estremo bisogno di grassi, anche di grassi animali: il colesterolo contenuto è fondamentale per i meccanismi di crescita (ne avevamo parlato qui), e vostro figlio sarà in crescita almeno per i primi 14-18 anni della sua vita! In età puberale il colesterolo servirà anche per la messa in moto dei meccanismi relativi gli ormoni sessuali.
Ovviamente, bisogna fare attenzione alla qualità dei grassi utilizzati, oltre che agli abbinamenti con i carboidrati e gli zuccheri: anche gelati, merendine e patatine fritte contengono grassi, ma di pessima qualità e uniti ad una quantità di carboidrati tale da creare dipendenza.
Ecco come usare saggiamente grassi in cucina, sia per i più piccoli che per gli adulti:
– Usate olio extravergine per condire, di buona qualità, italiano e possibilmente bio.
– Scegliete burro di buona qualità o ghee per cucinare, in quanto regge benissimo le alte temperature di forno e fornello.
Evitate oli vegetali raffinati di mais, riso, colza, soia, girasole. Controllate sempre le etichette di quello che acquistate.
– Inserite creme di frutta secca nei frullati di frutta e nei condimenti di verdura (ad esempio: merenda con frullato di pesche e crema di mandorle; condimento per un orzotto a base di carote bollite e frullate con crema tahin e curcuma). Potete usare queste creme anche spalmate sul pane per una merenda o per la colazione.
– Scegliete carne e pesce di ottima qualità (niente allevamenti intensivi!), e non cercate di risicare il grasso fino all’ultimo grammo: ad esempio le cosce di pollo possono essere mangiate con la pelle, se il pollo è stato allevato all’aperto per almeno 90 giorni. Questo, oltre ad aggiungere gusto, li sazierà precocemente, stimolando il naturale meccanismo di autoregolazione dei bambini.
Evitate di proporre con eccessiva frequenza piatti o alimenti che siano contemporaneamente ricchi di grassi e di carboidrati (o zuccheri): questo abbinamento è particolarmente deleterio per i meccanismi di autoregolazione e per il metabolismo. Attenzione quindi a tutti i dolci (anche se bio o fatti in casa), ai fritti, alle focacce e ai prodotti da forno, alla panna montata, ai primi piatti troppo ben conditi.

Incentivate l’autoregolazione
Con il tempo i meccanismi di autoregolazione si perdono: non mangiamo più per fame, ma perché è ora di pranzo. Scegliamo un alimento piuttosto che un altro non perché siamo spinti istintualmente verso di esso, ma per alcune caratteristiche che lo connotano (pubblicità, appetibilità, valore nutrizionale…).
Dobbiamo cercare, fin dove possibile, di tenere allenata l’autoregolazione dei più piccoli. Le regole da seguire sono veramente poche:
1. L’autoregolazione e l’appetito vengono rovinati quando il gusto del cibo è spiccatamente dolce o spiccatamente salato: difficile che mangiamo più del dovuto di pollo alla griglia, molto facile invece che eccediamo con i biscotti o le patatine fritte.  Cercate di proporre al bimbo gusti il più possibile naturali, e di fare in modo che ciò che eccita oltremodo le papille gustative sia un’eccezione settimanale, non una presenza quotidiana. Questo è il motivo fondamentale per cui sarebbe bene evitare di proporre ai bimbi merendine confezionate e dolci (anche se bio o fatti in casa): per l’appunto sono dolci, e inibiscono il loro naturale senso di sazietà. Troppe volte sento dire: “E’ solo una merendina, cosa vuoi che gli faccia”. Molto probabilmente non sarà una brioche al giorno a causare un diabete a 30 anni, ma… Ma una brioche al giorno, piano piano, crea dipendenza e crea maggiore voglia di dolci: avete mai notato che se mangiate un dolcetto al giorno, per quanto piccolo e poco calorico, tendereste ad averne sempre voglia, mentre se una settimana eliminate gli zuccheri non ne sentite più la necessità?

2. Il mix di carboidrati, grassi e sale è terribile per l’autoregolazione, perché inattiva la capacità di sentire sazietà. L’industria alimentare lo sa bene, e infatti le cose di cui più persone hanno dipendenza presentano tra gli ingredienti una combinazione perfetta di zuccheri, grassi e sale. E’ il cosiddetto bliss point (punto di beatitudine), scoperto dal ricercatore americano Howard Moskowitz: esatto, avete capito bene. Esistono algoritmi e formule matematiche per capire quale sia il rapporto tra zuccheri, grassi e sale in grado di determinare dipendenza. E’ stato anche visto che il superamento di questo valore crea disgusto: pensate che sottile equilibrio esiste, e quanto bravi sono i produttori di gelati, biscotti e cibo confezionato per scoprire il rapporto aureo di ciascun alimento! Nel vostro piccolo, in cucina, cercate di non proporre troppo di sovente alimenti che mischino carboidrati, grassi abbondanti e sale: il classico esempio sono, di nuovo, le patatine fritte. Ma anche la pizza o la cotoletta, i fritti.
3. Fate in modo che i bambini si servano da soli quando sono a tavola. Dovremmo allontanarci dal modo di ragionare tipicamente italiano: la mamma mette nel piatto la porzione per i figli e il papà. Dovremmo avvicinarci di più al modo di mangiare mediorientale: in tavola devono essere presenti diverse pietanze, di cui ciascuno si serve individualmente. Preparate una grande ciotola di insalata in foglia, e due o tre piattini con altra verdura (carote grattugiate, ravanelli, fagiolini al vapore…): lasciate che vostro figlio scelga come combinare il suo contorno. Mettete in tavola la pentola in cui avete cucinato il primo o il secondo, cosicché ciascun componente della famiglia si serva da solo. Aiutate vostro figlio con dolcezza: non deve essere lasciato allo sbaraglio, deve solo aver la possibilità di servirsi della sua porzione. Ovviamente il primo requisito perché questo meccanismo funzioni è fare in modo che le proposte di cibo siano sempre sane: se preparate verdura con besciamella e a fianco mettete i broccoli bolliti, indovinate un po’ cosa sceglierà il piccolo…! Dovete aiutarlo a orientare le sue scelte: “Sei proprio sicuro che non sia troppo? Prendine un po’ meno, se hai ancora fame ne prendi ancora un po'”. “Ti va di mangiare un po’ di verdure colorate insieme al secondo?”. “Ci mettiamo un po’ di olive in questo riso freddo?”. Ponete sempre le proposte come un interrogativo, non imponete nulla. Lo farà sentire sicuro e responsabile. Ora che è estate questo metodo funziona benissimo per le insalate di riso: si mette in tavola una ciotola di riso bollito e vari piattini con le aggiunte (uova bollite, cubetti di parmigiano, tonno al naturale, olive, pomodorini…), così ciascuno crea il proprio mix.
Questa mia proposta è utile anche per rinnovare l’autoascolto da adulti: quante volte mangiamo certe quantità perché “sono quelle giuste” e non perché “sono quelle di cui ho bisogno”? Io credo che se prima di sederci a tavola ci chiedessimo quanta fame reale abbiamo, piano piano cominceremmo a conoscere di più il nostro corpo e le sue necessità. Anche in questo caso è necessario iniziare seguendo alcune regole per evitare di mangiare troppo o troppo poco: scriverò un articolo a parte con i miei consigli, utili sia in caso di necessità di perdere peso, sia qualora si volesse allentare un eccessivo controllo sul cibo.

“Fai quel che faccio”
Come ho accennato all’inizio di questo articolo, i bambini per imparare emulano. 
Il che è perfettamente giustificabile: voi stessi, quando stimate particolarmente qualcuno, non cercate di prendere esempio dai suoi comportamenti e dalle sue abitudini? Nei primi anni di vita i bambini hanno completa fiducia nei genitori, e generalmente quest’ammirazione incondizionata rimane intatta fino all’adolescenza (dove sorge *qualche problemino* di comprensione reciproca). I bimbi emulano i comportamenti dei genitori in diversi modi: ne imitano la gestualità, il modo di esprimersi, le smorfie, le reazioni agli stimoli esterni e… il modo di mangiare. Se volete educare in modo efficace vostro figlio, poche chiacchiere e tanta azione; è inutile spendere fiumi di parole. Date il buon esempio, e soprattutto reiterate il vostro comportamento pasto dopo pasto. Se voi non mangiate verdure, come potrete convincere il piccolo che vi sta davanti? Se lui vi vede piluccare merendine e caramelline, come potrà veramente pensare che sia una cosa sbagliata?
Finché il bimbo cresce nell’ambiente famigliare gli unici riferimenti di imitazione rimangono i genitori; man mano che cresce il suo comportamento e il suo modo di mangiare verranno influenzati anche da altre persone per lui “degne di fiducia”: le maestre dell’asilo, l’amico del cuore, persone con le quali si trova a contatto e verso le quali il piccolo prova rispetto ed ammirazione. Questo potrebbe diventare un problema nel momento in cui tali persone pasteggiano a patatine fritte e storcono il naso di fronte alle mele e alla lattuga, ma di questo parleremo nel prossimo articolo.

Una piccola nota. L’emulazione può diventare un problema quando in famiglia uno dei genitori, generalmente la mamma, ha un problema nel rapporto con il cibo: i bambini, e in particolare le bambine, sono molto sensibili al comportamento materno, e riescono a percepire quando c’è tensione nell’aria. Non è sano vedere, pasto dopo pasto, una mamma che mangia cose differenti rispetto al papà o che guarda con bramosia alimenti appetibili che tuttavia si nega; ancora peggio è quando i pasti sono continuamente punteggiati da commenti quali “sto mangiando come un bue”, “meno male che più tardi vado a bruciare queste calorie”, “diventerò grassa”. I bambini assorbono, e possono reagire in due modi opposti: cominciando ad emulare la madre (ma allo stesso tempo non riuscendo a comprendere perché quella torta tanto buona “diventerà tutta ciccia”), oppure assumendo abitudini opposte (ossia mangiando tanto e male). 
Molte donne con DCA più o meno espliciti diventano mamme prima di riuscire ad avere un rapporto equilibrato con il cibo; a mio parere, decidere di intraprendere un percorso di guarigione e di controllo della malattia diventa in questo momento un impegno anche dal punto di vista pedagogico nei confronti del proprio figlio.

Niente ricatti, niente promesse, niente minacce

Ammettiamolo, quale genitore non ha ricattato in modo subdolo proprio figlio pur di vedere il piatto della cena vuoto? “Se finisci i piselli ti lascio vedere mezz’ora in più di cartoni animati”. Oppure: “Se non finisci il minestrone non ti alzi da tavola”. O ancora: “Ti darò un cioccolatino se mangi anche lo spezzatino che hai davanti”. 
Tutto questo è comprensibile, ma fortemente diseducativo per due motivi:
1. Il cibo per i bambini non ha valenza positiva o negativa; questi commenti, se reiterati, cominciano a delineare quanto un dato alimento sia buono o cattivo: i piselli sono così cattivi che lo sforzo di finirli verrà ripagato dai cartoni animati; il cioccolatino è così buono da considerarsi un premio.
2. I bimbi sono tanto bravi, buoni e belli quanto… furbi! Se capiscono i vostri punti deboli per ottenere quello che vogliono, diventerà ben difficile fargli finire un piatto di verdure senza l’allettante proposta di un’attività ricreativa o un dolcetto a fine pasto.
Fate molta attenzione: queste mezze frasi pronunciate senza pensarci diventano i classici sassolini che sedimentano, plasmando predilezioni, rifiuti, comportamenti e capricci.

Come poter risolvere con furbizia il problema di un bimbo che non mangia? 
Prima di tutto, ricordandosi che non morirà di fame: se non finisce un pasto è inutile e controproducente sbraitare e tenerlo inchiodato a tavola fino a che non l’avrete vinta voi. Aspettate 5-10 minuti, dopodiché sparecchiate e permettetegli di andare a fare altro. Il piccolo torna a distanza di un quarto d’ora chiedendo cibo? Valutate il da farsi: pur non avendo finito il pranzo, ha mangiato a sufficienza? In questo caso (e tutto sommato è quello che accade quasi sempre), non cedete alle sue richieste per non far sì che la richiesta di cibo fuori pasto diventi un’abitudine: a merenda o al pasto successivo avrà sicuramente modo di rifarsi dell’eventuale piccolo deficit calorico. Se invece valutate che il pasto sia stato veramente insufficiente, fate in modo che si risieda a tavola (niente snack mentre gioca) e che mangi un piccolo spuntino nutriente: so che la scelta più facile e meno estenuante sarebbe dargli qualche grissino o biscotto, ma non rappresenterebbe il suo bene. Potreste invece proporgli una bruschetta, un pezzetto di parmigiano, un frutto. Non proponetegli dolci: questi devono rimanere tassativamente un extra, non un’abitudine (nel prossimo articolo vi spiegherò come poter fare).

Per poter risolvere il problema alla radice, l’arguzia dei genitori deve tuttavia partire fin dal momento del pasto: sfruttate da un lato lo spirito di emulazione dei bambini, dall’altro il loro orgoglio. Come vi ho accennato, non è utile profondersi in preghiere e suppliche: usate un po’ di scaltrezza con la complicità del vostro partner. Fate commenti ad alta voce del tipo: “E’ proprio buona questa zuppa, un vero peccato che Andrea non la voglia”, oppure: “Meno male che Andrea non vuole le carote, ne rimangono di più per noi!”. Probabilmente la prima volta non funzionerà, ma cercate di inserire spesso queste frasi a tavola di fronte ai suoi rifiuti, senza in alcun modo dare peso al rifiuto stesso (non enfatizzatelo): scommettete che in breve tempo ve ne chiederà un assaggio? A quel punto fingetevi titubanti, tentennate un po’, infine cedete come a malincuore. Sempre per una questione di orgoglio infantile, non aspettatevi che vostro figlio vi dica che sia buono o che faccia qualsiasi tipo di apprezzamento: si mostrerà indifferente, ma intanto avrà assaggiato e magari anche finito ciò che gli avete proposto. Ci sono buone probabilità che il piatto fino a quel momento rifiutato diventerà uno dei preferiti.

Coinvolgete vostro figlio in cucina

I ritmi lavorativi non sempre lo permettono, ma uno dei modi migliori per invogliare un bambino a mangiare è coinvolgerlo nella preparazione del cibo, affidandogli piccoli compiti che gli permettano di essere orgoglioso del “suo” piatto, e quindi di mangiarlo più volentieri. A seconda della sua età e della sua manualità potete farvi aiutare a mescolare l’insalata una volta condita, girare il sugo nella pentola, pulire l’insalata, impastare il polpettone, pesare la pasta. Potreste anche affidare a lui il compito di bagnare le piantine aromatiche sul balcone. Coinvolgetelo anche nella scelta del pasto stesso: anche in questo caso usate un po’ di furbizia: un generico “cosa preferisci per cena?” potrebbe avere risposte improbabili e poco sane. Mettetelo sempre di fronte a un bivio la cui scelta non è mai “sbagliata”: “Preferisci il risotto con le zucchine o con lo zafferano?”, “Ho delle carote da terminare: facciamo una frittata o una vellutata?”.

Nel prossimo articolo cercherò di aiutarvi ad affrontare uno degli scogli più frequenti nell’educazione alimentare dei figli: le insidie esterne. Anche qualora la vostra cucina fosse sanissima, biologicissima, equilibratissima, non potrete controllare ogni pasto di vostro figlio, e anzi pretendere che la sua alimentazione sia sempre “perfetta” sarebbe deleterio. 
Come fare per evitare che le buone abitudini acquisite a casa non vengano vanificate ad ogni festa di compleanno o cena dai nonni? A breve la seconda puntata!