Nell’ultimo articolo abbiamo parlato di come indirizzare i bimbi verso buone abitudini alimentari quando sono a casa. Il vero problema dei genitori, tuttavia, è far sì che il bambino abbia un’alimentazione sana e bilanciata quando è fuori: mensa, amici, nonni… Come fare?

Niente panico: è la dose che fa il veleno
Partiamo da una considerazione molto semplice e banale: se è vero che dall’alimentazione di vostro figlio dipende buona parte della sua salute e della sua crescita ottimale, non dobbiamo pensare che piccoli sgarri inseriti in un contesto di alimentazione bilanciata possano metterlo sulla strada dell’obesità e del diabete. E’ sempre la reiterazione di un’abitudine, positiva o negativa che sia, a determinare conseguenze sul fisico: se le abitudini alimentari sono per la maggior parte del tempo corrette, il rimanente 10-20% di gozzoviglie non deve preoccuparvi. 
Provate a fare un veloce calcolo dei pasti (colazioni e merende comprese) che vostro figlio consuma a casa (o che comunque possono essere considerati sani ed equilibrati) rispetto a quelli più pasticciati: magari vi accorgerete che, effettivamente, gli extra da voi disapprovati sono davvero pochi.
Oltretutto, pretendere che un bambino abbia un’alimentazione al 100% “naturale”, pulita, biologica è abbastanza utopistico, perché vorrebbe dire escluderlo da tante occasioni di divertimento con i suoi amici oppure sottoporlo a un tale terrorismo alimentare da rischiare seriamente che, una volta resosi quel filo indipendente, mangi tutto ciò che per anni gli avete tassativamente negato.
Tuttavia, concordo con voi se siete preoccupati non tanto dall’extra in sé, quanto dalla reazione di vostro figlio: ha assaggiato la Coca-Cola a casa dell’amichetto e comincia a chiederla insistentemente anche a voi; fa i capricci perché vuole la pizza con le patatine; rifiuta le vostre verdure al forno perché non hanno la besciamella come quelle della nonna. 
Tutto questo potrebbe effettivamente rappresentare un problema non trascurabile. Vediamo di trovare qualche strategia utile a mantenere un buon equilibrio durante tutta l’infanzia.

Collaborazione con il partner
Forse è superfluo dirlo, ma l’accordo tra i genitori nell’educazione dei figli è di fondamentale importanza, compreso il campo dell’educazione alimentare: se la mamma è per la dieta sana e il papà mangia salame e patatine, il conflitto è inevitabile. Ben lontano dalle orecchie del piccolo, i genitori hanno il dovere di confrontarsi sul modo di crescere il bambino, compreso quale stile alimentare proporgli; laddove ci sia un conflitto tra le abitudini materne e paterne, è necessario trovare un compromesso che volga al bene del bambino, anche sforzandosi di essere i primi a cambiare per poter dare il buon esempio (credetemi, ho conosciuto genitori che hanno cominciato a 30 anni a mangiare verdure per far sì che il figlio li imitasse!).

Gli insegnamenti pratici
Anche se il detto direbbe il contrario, il miglior attacco è la difesa. Almeno in questo caso. 

Mi spiego meglio. Vostro figlio sarà continuamente esposto a chi, con più o meno malizia, vorrà “corromperlo” offrendogli dolcetti delle migliori marche, pizza e patatine surgelate, caramelline gommose, pop-corn al caramello. Potrebbe essere la nonna, armata delle migliori buone intenzioni e soprattutto dal desiderio di farsi amare dal nipotino (magari la nonna in questione è vostra mamma, e quando le fate notare che a suo tempo vi vietava qualsiasi dolcetto fa orecchie da mercante…). Potrebbe essere il panettiere che allunga il pezzettino di pane alle olive ogni volta che portate il piccolo con voi a fare la spesa. Potrebbe essere la festa di compleanno del migliore amico, con banchetto di meringata, Coca-Cola, salatini e canestrelli. Potrebbe essere (ebbene sì) anche la mamma del compagno di scuola che ad ogni occasione buona commenta ad alta voce: “Pooovero piccolo, ti mettono a dieta già così piccino, vieni che ti do io un po’ di patatine e aranciata di Luca”. Vi è capitato, vero?

Vi trovate di fronte a una scelta: passare per la mamma ortoressica che vieta al bimbo ogni piccolo sgarro, o, per non risultare fanatica e apprensiva, lasciare che il bambino accetti e assaggi tutto? 
E’ un bel dilemma: dentro di voi sapete benissimo che non siete fanatiche, e che non temete il piccolo extra in sé, quanto l’accumulo di tutti. Ma che fare? Dire di sì al panettiere e no alla mamma-arpia o viceversa? A tutti e due? A nessuno?
Qualsiasi scelta voi prendiate di fronte a questo bivio verrà giudicata da qualcuno come sbagliata, e potreste rischiare anche che vostro figlio faccia i capricci e dica che siete “cattiva” perché non ha potuto mangiare l’orsetto gommoso.
Per questo dico che… Il miglior attacco è la difesa: fin dove possibile, è il bambino che deve essere lasciato libero di scegliere, in piena coscienza. 
Ovviamente, è un bambino: per prendere una decisione deve avere una giustificazione che lo spinga e lo motivi (e possibilmente che non sia: “No, la mia mamma non vuole che lo mangi”).

Nel precedente articolo (qui) vi ho spiegato come poter agire sui meccanismi innati del piccolo, ossia sul suo senso di sazietà e sulla percezione del gusto. 
Oggi invece vi lascio qualche spunto affinché il piccolo impari a riconoscere il “cibo buono”, e possa scegliere di conseguenza.

In linea generale, è valido uno dei principi basilari della pedagogia: i bambini hanno bisogno di “toccare con mano”. Hanno scarsissima capacità di ragionare in astratto: non apprendono attraverso motivazioni teoriche (“il cibo dell’orto ti fa bene”: sì, ma… perché?), rifuggono le imposizioni e i dogmi (devi mangiare così perché te lo dice mamma”). Hanno bisogno di parallelismi, metafore, dimostrazioni. Le favole e le fiabe, un tempo e, si spera, ancora oggi, sono così importanti per i più piccoli proprio perché offrono modelli di comportamento chiaramente comprensibili a loro; voi, in campo alimentare, dovete giocare più o meno allo stesso modo.

La prima regola da osservare è quella di dare il più possibile esempi pratici al bambino: poca teoria, pochissima. Il bambino deve vedere come funzionano le cose, deve capire perché certe cose fanno bene al suo corpicino, e altre invece sono da evitare. Pertanto, quando il vostro piccolo comincerà ad avere un’età adatta (già a 3-4 anni gli esempi pratici lasciano un segno) iniziate a coinvolgerlo in piccoli esperimenti che lo rendano consapevole dell’energia del cibo. Ecco qualche esempio che suggerisco alle mamme:
– Sappiamo che la Coca-Cola funziona meglio come antiruggine e sgrassante che come dissentante… Dimostratelo anche a vostro figlio! Fategli vedere che pulendo le monetine di rame con un panno imbevuto di Coca-Cola, esse diventano più chiare; oppure che lasciando in ammollo un chiodo arrugginito in un bicchiere di Coca-Cola per qualche ora, poi sarà più facile rimuovere la ruggine. L’esperimento più coinvolgente è quello delle ossa: lasciate un osso di pollo in un bicchiere pieno della terribile bevanda per un paio di giorni o più, e vedete un po’ cosa succede… Spiegate al vostro bimbo che è quello che qualcosa di simile può succedere anche alle sue ossa se abusa della bibita.
– A scuola avete mai provato a far germinare una piantina nel cotone idrofilo? E’ un esperimento che viene fatto frequentemente a scuola durante la lezione di Scienze: qui trovate le informazioni per realizzarlo a casa. Provate a realizzare due contenitori, e metterne uno in un armadio al buio: dimostrerete a vostro figlio che le piantine hanno bisogno di luce per crescere, e potrete fargli capire perché la verdura dell’orto è più buona di quella della serra.
– La prova del gusto, del colore e della consistenza: non si sbaglia mai. Quando avete tempo (anche solo una volta ogni due mesi) acquistate lo stesso genere di frutta o verdura dal contadino/biologico/dell’orto e al supermercato. Attraverso l’assaggio e la vista, dimostrate a vostro figlio che i prodotti “perfetti” del supermercato sono stati forzati ad essere così belli, a svantaggio della palatabilità, mentre quelli naturali hanno un altro aspetto, ma anche un altro gusto!
Potete fare lo stesso genere di confronto anche con un piatto di pasta o riso fatto in casa in confronto ai precotti, con la consistenza della pizza surgelata rispetto a quella a lievitazione naturale, con il colore e la non-cremosità del gelato confezionato rapportato a quello del gelataio di fiducio.
Stimolate la sua curiosità attraverso vista, olfatto e tatto: maggiori sono le fonti percettive, più probabilità avrete che il messaggio rimanga impresso.
– La prova delle formiche e della muffa, molto impressionante per i bimbi: mettete sul balcone due recipienti contenenti alimenti simili, uno industriale e uno no. Ad esempio: pane a lievitazione naturale e pancarré; panino fatto in casa e panino del Mac Donald’s; mela e succo di mela; carne fresca e wurstel. Lasciate qualche giorno, e guardate il risultato: i prodotti confezionati saranno quasi intatti, mentre quelli naturali saranno stati invasi da formichine e muffa. In questo modo dimostrerete a vostro figlio che quello che è industriale non piace nemmeno agli insetti, e non viene attaccato dalle muffe (ovviamente, anticipate dicendo che le muffe attecchiscono solo su materiale organico, vivo!): non è cibo “vero”, ed è per questo che alla lunga non nutrirebbe nemmeno lui/lei.

Quando proponete al bambino questi esperimenti, cercate sempre con dolcezza di far passare anche il messaggio che è la dose a fare il veleno: il bimbo non deve essere terrorizzato dal cibo, ma deve capire perché ci tenete che la sua alimentazione preveda poco di industrializzato e confezionato. Sottolineate che se capita di mangiare come non si dovrebbe non succede nulla, ma se lo si fa spesso il pancino poi è scontento.

L’obiettivo di questi esperimenti è istruire il bambino a non considerare tutto il cibo uguale: c’è quello bello e buono, ma cattivo per la salute; quello bello e buono e salutare; quello bello ma non buono; quello brutto ma buono e salutare. Ragionando per categorie, il bimbo imparerà pian piano ad ampliare il modo di interpretare la realtà, e a capire perché alcuni alimenti tanto buoni (perché, ammettiamolo, la maggior parte del cibo confezionato è deliziosa: c’è tutta una scienza mirata alla dipendenza gustativa dietro!) in realtà sarebbero da guardare con sospetto.
Se tutto va come dovrebbe, il piccolo cercherà con meno frequenza e insistenza quello che ha compreso essere “cattivo”: non vi garantisco che se ne asterrà a vita (e non sarebbe nemmeno questo il fine), ma andrà formando la propria coscienza alimentare. Crescendo, e cominciando a sviluppare anche il ragionamento astratto, potrete anche spiegargli il valore intrinseco del cibo: il rapporto tra il prezzo e la materia prima, il prezzo e la filiera alimentare, il prezzo e il lavoro di chi l’ha coltivato e curato per mesi prima che finisse nel suo piatto.

Quando il problema sono i parenti

Usciamo ora dalle mura domestiche, e incontriamo il primo problema: i suoceri, gli zii, i parenti. 
Succede spesso che nella coppia vi sia condivisione nelle scelte alimentari da proporre al bambino, ma che una delle due nonne abbia tutt’altra idea di cosa possa essere “sano e nutriente”: lasagne con besciamella, cotolette, primi abbondanti, caramelline gommose prese al mercato, sott’oli, fritti, gelati o pane e Nutella a merenda… Non necessariamente tutti insieme, ma comunque proposti regolarmente ad ogni visita del nipotino.

Ho avuto due nonne meravigliose. Una delle due aveva orto e pollaio: odiavo andare in cucina perché c’era sempre odore di carne in salmì o verdura cotta, non era una gran cuoca ma cucinava con ingredienti genuini. Quello che ricordo con affetto di lei erano le generose merende con pane e cioccolato (la Nutella, giuro, non mi è mai piaciuta), i ghiaccioli e i biscotti rubati da una biscottiera che, guarda caso, quando arrivavamo noi nipoti era sempre al centro del tavolo, ben raggiungibile. Di dolci ne faceva pochi, ma ogni anno, a ottobre, rifaccio la sua torta di nocciole (ne aveva un enorme albero in giardino). L’altra nonna, invece, era ed è una cuoca bergamasca DOC: fa pochi piatti speciali, ma li fa strepitosi. Lasagne con due chili di ragù e besciamella, cannelloni ripieni, casoncelli al burro e salvia, polenta e brasato. Ad ogni visita da lei, mi allungava un Pocket Coffee e la domenica pomeriggio mi offriva tè molto zuccherato con i biscotti.
Sono fermamente convinta che i ricordi dell’una e dell’altra saranno sempre legati anche a questo: a loro in cucina, e ai loro vizi. Se mia mamma avesse vietato loro di coccolarmi con il cibo, non sarebbe stata la stessa cosa.


Pertanto sono del parere che si debba lasciare che le nonne facciano le nonne, anche viziando il nipote con le loro prelibatezze e caramelle allungate di nascosto. Questo non sarà assolutamente un problema per la sua salute, a meno che il piccolo non sia ospite dai nonni sette giorni a settimana pranzo e merenda: quello che voi dovete rimarcare con vostro figlio è che “la nonna è la nonna, qui a casa non ci sono le cose che prepara lei”, di modo che non prenda il vizio di pretendere anche a casa le stesse merende o pietanze.

Se invece la nonna ospita spesso il bambino a pranzo e quindi le proposte “eccessive” sono fin troppo presenti nella sua alimentazione, per amor di tranquillità sarebbe opportuno che i coniugi si confrontassero su come sia opportuno approcciare il problema: bisognerebbe trovare un dialogo con la nonna, cercando con tatto di farle capire che i genitori responsabili della crescita del bambino siete voi, e vorreste che la sua alimentazione fosse diversa.
Non posso dare ulteriori consigli in merito: i rapporti con le persone, e in particolare con i parenti, sono talmente multiformi e delicati che non esistono regole da rispettare. Bisogna dosare con sapienza le parole e il tono usati, giocando con abilità le proprie carte. Cercate di essere fermi e risoluti, ma senza arroganza: usate la diplomazia.

Le merende, gli amici, la scuola
Altro grande cruccio: il rapporto con i coetanei e le loro abitudini alimentari, o per meglio dire, con quello che le altre mamme consentono ai propri figli.

Permettetemi di aprire una parentesi. Da dietista credo fortemente che l’impegno per l’educazione alimentare delle nuove generazioni dovrebbe essere sociale ancor prima che famigliare: viviamo in un’epoca nella quale ognuno ha la possibilità di essere informato circa i vantaggi dell’alimentazione sana e le problematiche del junk-food. Penso che chiunque, in coscienza, sappia che proporre quotidianamente ai bambini patatine, cotolette, merendine e zuccheri sia assolutamente nocivo. 
Eppure troppe volte mi trovo di fronte alla negazione di questa mia ingenua illusione: fin dove si può parlare della libertà di un genitore di prendere decisioni per la crescita del figlio, e dove invece dovrebbe subentrare il dovere di rispettare alcuni precetti basilari per la salute, validi per qualsiasi bambino? “Il figlio è mio e lo cresco io”: giustissimo, ma non dovrebbe esserci un limite quantomeno morale che imponga di non abituare il bimbo al junk-food, per proteggerlo?

Per quanto possa sembrare assurdo ai miei occhi e a quelli di chi si interessa del ruolo salutistico giocato dal cibo, offrire per merenda frutta e yogurt naturale a un bambino è una mortificazione per il piccolo, privato dal godimento di zuccheri, snack e alimenti ben più appetibili.

Più appetibili, ma più insani, ingiusti, insensati.

Parlando con le mie pazienti-mamme mi rendo conto che la loro preoccupazione maggiore circa l’alimentazione del bambino riguarda sempre il confronto con quello che gli amici mangiano; se esistesse quel senso di responsabilità sociale su tematiche alimentari cui accennavo poco fa, questo problema non esisterebbe.
Invece c’è. Non penso esista una soluzione infallibile per dirimere la questione. Tutto quello che si può fare è educare il bambino al valore del cibo, proporgli il più spesso possibile alternative sane e naturali, e far sì che il bilancio settimanale tra “cibo approvato”, “quasi approvato” e “disapprovato” sia sempre a favore della prima categoria.

Fare i genitori non è certo un compito semplice: bisogna essere autoritari senza essere cattivi, fare concessioni senza risultare facilmente cedevoli, avere comprensione senza farsi impietosire, coccolarli senza viziarli. E’ il lavoro più difficile del mondo.
Ed è per questo che ci ho messo tanto a scrivere questi articoli: chi sono io per dire a un genitore come comportarsi con il proprio figlio, senza sapere nulla delle loro dinamiche famigliari?
Ci provo, ma mi rendo conto che i miei consigli non sempre sono azzeccati, non sempre sono concretizzabili.