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Chi mi segue su Instagram (qui) sa che ho scelto di crescere il mio bambino “ad alto contatto”, vale a dire con tutte quelle coccole che in molti giudicano essere “vizi”: allattamento a richiesta, babywearing, co-sleeping e altre amenità.
In realtà, l’essere o meno ad alto contatto dipende dal bambino, non è una scelta che viene imposta dai genitori. Quello che io decido è invece il modo di rispondere ai suoi bisogni, e il modo in cui crescerlo ed educarlo: nel caso mio e di Mattia la sua indole dolce e coccolosa si adatta perfettamente alle mie scelte.
In molte, mamme e non, sono rimaste incuriosite da alcune cose che ho scritte a didascalia di alcune fotografie su Instagram: in poche conoscevano il babywearing e ne sono rimaste affascinate, mi hanno chiesto approfondimenti sull’allattamento a richiesta e sull’autosvezzamento, hanno mostrato interesse verso le giostrine montessoriane che sto usando per Mattia.
“Quali libri mi consiglieresti per approfondire questo metodo?” – mi hanno chiesto. In realtà, non consiglio libri di metodo, ma libri di conoscenza del neonato, così da capire quali siano le sue necessità e decidere poi in autonomia e senza un modello preconfezionato cosa sia meglio per il proprio bimbo.

Durante la gravidanza ho avuto tempo e modo di approfondire alcuni argomenti riguardo il bonding, ovvero quel legame strettissimo che unisce mamma e bimbo fin dal primo minuto di contatto.
Ho scelto l’ospedale in cui partorire proprio in funzione del bonding; volevo che mi fosse garantito il contatto pelle-a-pelle subito dopo la nascita, senza che mi portassero via il bimbo per i controlli: Mattia mi è stato messo al petto dopo un rapidissimo controllo durato un paio di minuti e svolto direttamente in sala parto, dandomi (anzi, dando*CI*: io, lui e il suo papà) la possibilità di stare insieme più di due prima che lo portassero al Nido un’oretta per la visita neonatale. In questo modo sono riuscita ad attaccarlo subito al seno, fattore importante per stimolare la suzione del bimbo e il nutrimento con il colostro più ricco. L’ospedale che ho scelto permette e anzi incentiva il rooming-in, vale a dire che il bimbo rimane in stanza con la mamma per tutta la degenza: al limite viene portato via mezz’oretta al giorno per i controlli di routine. Mia suocera mi aveva detto che poteva essere difficile avere Mattia con me fin da subito, che avevo bisogno di dormire e riposare, e che avrei potuto provare fastidio al suo pianto insistente: purtroppo, per lei è stato così alla nascita del primo figlio, e con il secondo ha preferito scegliere diversamente. Fortunatamente per me, invece, non ho avuto alcun problema, anzi. Mi sono sempre tenuta il piccolo stretto stretto: la culla posizionata in parte al mio letto l’ha vista ben poco! Ho potuto dormire abbracciata a lui (“dormire” è una parola grossa, erano sonnellini), prendere confidenza con l’allattamento che è iniziato sin da subito bene, e -soprattutto- avere la possibilità di rassicurarlo non appena avesse pianto. Per me questo era fondamentale: i neonati non devono “farsi i polmoni”, non devono piangere: si trovano catapultati in un mondo che non conoscono dopo essere stati cullati per 9 mesi dal ventre materno. Piangere è l’unico modo che hanno per dire “aiutami, ho bisogno di te”: mai avrei fatto piangere il mio piccolo senza tentare immediatamente di rassicurarlo.

Da quando è nato, il posto che Mattia conosce meglio sono le mie braccia: per la maggior parte del tempo, lui sta in braccio a me. Le mie braccia sono il suo nido, il suo luogo sicuro; sono tutto ciò di cui ha bisogno.

Mattia è un bambino ad alto contatto, e io non pensavo di essere una mamma ad alto contatto.

Non sono certo un’esperta psicologa neonatale, ma capire il razionale che sta dietro la teoria del contatto non è difficile (eppure… si può poi parlare di “razionale” per un istinto tanto viscerale?): i bambini hanno bisogno della mamma, perché vivono la mamma come un’estensione di sé per tutto il periodo dell’esogestazione.
Per esogestazione si intendono i 9 mesi che seguono la gravidanza, durante i quali il bambino progressivamente fa esperienza del mondo e sviluppa la propria coscienza. Capire di essere un Io non è mica cosa semplice! Immaginate di essere in una stanza buia, il cui spazio è delineato con molta lentezza da una luce fioca: è quello che succede al neonato. Nel primo periodo della sua vita il piccolo non vede se non a distanza di pochi centimetri, in bianco e nero e sfocato; sente solo rumori molto attutiti, come se fosse ancora immerso nell’acqua. L’unica cosa che gli dà conforto è quello che ha sempre conosciuto: l’odore di mamma, il respiro di mamma, la voce di mamma. Negargli la mamma vuol dire renderlo insicuro, titubante, spaventato: esattamente come vi sentireste voi in una città caotica che non conoscete, in cui tutti parlano una lingua che non è la vostra, e dove magari avete anche paura di essere aggrediti. Non è una bella prospettiva, vero?
E’ per questo motivo che non riesco oggettivamente a comprendere chi mi consiglia di “non tenerlo sempre in braccio” o mi dice che “si deve abituare a non avere la mamma”: ci sarà un tempo per ogni cosa. Ora che Mattia non ha nemmeno due mesi non è certamente tempo di lasciarlo da solo più di quello che lui possa tollerare: quando piange perché ha bisogno di me non ha senso prolungare la sua agonia per “abituarlo”; lo sollevo subito, lo coccolo, e lui è tranquillo. Piano piano imparerà che la mamma torna sempre da lui, ed è solo così che si abituerà a stare più a lungo da solo: se invece associa l’essere da solo al terrore di un pianto isterico per la paura di essere stato abbandonato, mostrerà segni di disagio ogni volta che viene esposto alla stessa esperienza.

I bambini a cui si risponde subito soddisfacendo un bisogno (fame, sete, sonno, coccole) saranno quelli che si abitueranno prima ad essere indipendenti e sicuri di sé, proprio come un adulto.
Rimandare (la poppata, la presa in braccio, la carezza…) significa fargli temere che nessuno lo aiuterà, e si sentirà insicuro e titubante.

Quello che ho imparato, soprattutto dal confronto con altre mamme, è che rispondere ai bisogni di un neonato e avere un bimbo ad alto contatto sono due cose diverse.
I bambini ad alto contatto sono cuccioli estremamente dolci e coccolosi, che stanno volentieri in braccio a sbirciare il mondo, che amano addormentarsi pelle a pelle con i genitori, che non disdegnano il dormire in co-sleeping, e che stanno volentieri in fascia (più avanti vi parlerò del babywearing).

Non tutti i bambini sono ad alto contatto. A differenza del mio Mattia, io non lo ero: mia mamma ha molto sofferto perché da piccola non amavo baci e abbracci. L’alto contatto non è qualcosa che si induce nel bambino, ma è una sua caratteristica comportamentale che andrebbe assecondata dai genitori: così come andrebbe assecondato un bambino che non ama baci e carezze e che li trova spiacevoli e fastidiosi. L’indole non si giudica né si cambia: si asseconda affinché fiorisca nel modo migliore.
Possono insorgere problemi quando è la mamma a non essere ad alto contatto (e, lo ammetto, era la mia paura più grande considerando il mio carattere schivo, per fortuna smentita nel momento stesso in cui ho guardato Mattia per la prima volta).
Ognuno di noi ha un proprio modo di esprimere amore, e ha un certo bisogno di delineare confini di autonomia: ci sono donne che, pur con istinto materno e amore per i propri bambini, non sono predisposte all’alto contatto, e vivono con stress e frustazione avere in braccio il bebè per venti ore al giorno. E’ comprensibile, di certo non sono mamme peggiori di altre: semplicemente, devono trovare un proprio modo, diverso dall’alto contatto, di far coincidere le proprie esigenze con quelle del bimbo.

Tornando ai bisogni del bambino: se un neonato non è ad alto contatto, non significa che non abbia necessità a cui provvedere. Un bimbo non ad alto contatto non gradirà stare in braccio, se ne starà buono buono mentre la mamma cucina o stira o mangia, e si annoierà meno facilmente quando è da solo. Tuttavia, ha delle esigenze da rispettare al pari di qualsiasi altro bambino: anche a lui capiterà di piangere per essere consolato, magari quando spunteranno i primi dentini o quando andrà incontro agli scatti di crescita; anche lui nei primi mesi avrà uno spiccato bisogno di contenimento (ne parlerò con il babywearing); anche lui dovrà essere protetto dall’iperstimolo e dai baci di persone che non siano i suoi genitori.

Quello di cui mi sono resa conto in questi brevissimi due mesi è ciò di cui mi avevano avvertita, ma che non credevo possibile (o meglio: non pensavo che per me sarebbe stato possibile): la mamma, istintivamente, sa cosa sia giusto fare per il proprio piccolo. Certo, non lo si capisce proprio fin dal primo istante, ma piano piano si impara a conoscere il proprio cucciolo. E’ per questo che non ha molto senso leggere trattati su trattati di puericoltura: ciascuno propone metodi diversi, e si rischia di fare confusione o di fidarsi di un metodo inadatto al proprio bambino.
Io ho cercato di tenermi alla larga da libri che proponessero “metodi”, cercando invece manuali che spiegassero “le basi”: credo che sia più importante capire quali siano le necessità primarie di un neonato e i suoi ritmi di vita rispetto al cercare il metodo perfetto affinché dorma tutta la notte senza piangere o la formula magica perché impari precocemente a camminare.
E’ stato grazie a questa mia ricerca che ho imparato alcuni capisaldi dell’essere una mamma alla prima esperienza, ed ero pronta ad affrontare alcune fasi che invece avrebbero potuto spaventarmi e abbattermi se non ne fossi stata informata. Sia ben chiaro: essere pronta non significa in alcun modo saper cosa fare! Semplicemente (“semplicemente!”) sapevo e so che cosa sono e cosa comportano gli scatti di crescita, cosa sono le wonder weeks, cosa è il bisogno di contenimento, e via dicendo. E’ un po’ come sapere che ci sarà un temporale: la pioggia non vi sorprenderà, ma non saprete se farà danni in giardino o meno; “semplicemente”, sarete pronte ad accettarla e aspettare che passi preparandovi al meglio.

Se non fossi stata informata, mi sarei spaventata al primo scatto di crescita, quando il mio latte sembrava non bastare mai: invece mi ha confortata sapere che era normale, che il suo chiedere continuamente il seno per due giorni di seguito era l’unico modo possibile per adattare i valori nutrizionali alla sua crescita.
Se non fossi stata informata, mi sarei sentita persa la prima volta che Mattia ha cominciato ad essere agitato senza apparente motivo (mangiato, dormito e cambiato: cosa poteva avere?). Invece, sapevo che poteva aver bisogno di coccole e del mio profumo: me lo sono stretta al petto, direttamente sulla pelle; l’ho ninnato a lungo, e si è calmato e addormentato.
Se non fossi stata informata, avrei cercato di rispondere ad alcune frigne con giochini dai colori sgargianti e che emettono musica; invece, sapevo che l’avrei sovraeccitato inutilmente, e che quel pianto poteva essere piuttosto un modo di dirmi “mamma, oggi ho visto già tante cose nuove, ora dammi solo il suono del tuo battito e luce soffusa, così io mi addormento ed elaboro quello che ho imparato oggi”.

Chiaramente, so bene che non basta tutta questa informazione.
Io mi sono preparata cercando di capire cosa fosse la normalità per un neonato, e da cosa fosse dettata questa normalità. Insomma, se il 90% dei bambini ha continui risvegli durante la notte anche fino a 3 anni, vuol dire che quella è la loro normalità, e che obbligarli a stare alle nostre regole potrebbe crear loro dei problemi. E infatti, informandomi, ho scoperto che la qualità del sonno del neonato e soprattutto le fasi REM sono pressoché opposte alle nostre; d’altro canto, ho anche imparato che il bonding permette alla mamma di adattarsi al sonno del suo bimbo, quindi, tutto sommato, ad accusare meglio il colpo del sonno sottratto: più si sta a contatto con il proprio bimbo, meglio si reagisce (e forse è per questo che i papà, purtroppo, non sono predisposti a passare troppe notte in bianco di seguito, a meno di prendersi una lunga paternità da passare stretti stretti con il figlio).
Idem dicasi per l’allattamento: se il bambino chiede latte ogni ora, perché costringerlo ad averlo ogni tre ore come da manuale? A voi piacerebbe aspettare tre ore per bere un sorso d’acqua o mangiare un boccone quando siete assetati e affamati? Di nuovo, informandomi ho scoperto quali e quanti significati stanno dietro la suzione neonatale: la fame, la sete, la noia, le coccole, il conforto…
Ecco, quindi un consiglio molto banale che vorrei lasciare a tutte le mamme e future mamme è di capire cosa sia la normalità per i bambini: loro vivono in un mondo meraviglioso che dura circa una decade, durante la quale le regole sono diverse dalle nostre, il tempo scorre in modo differente. Solo in questo modo si può provare a mettersi “a dimensione di bimbo”.

Indubbiamente ci sono le situazioni di anormalità, termine con il quale non voglio affatto indicare un difetto, quanto una situazione che interessa basse percentuali di neonati e per cui se ne sente parlare meno. Tutti parlano di sonno e latte, ma chi parla di reflusso o eczema?
Per scelta mia personale, ho preferito leggere il meno possibile riguardo quello che avrebbe potuto discostarsi dalla norma. Mi conosco: mi sarei fatta prendere dal panico senza che nulla fosse accaduto; altre mamme magari troverebbero più utile conoscere a fondo tutte le problematiche: questione di carattere, ancora una volta. Quello che ho preferito fare io è stato individuare le figure professionali che avrebbero potuto aiutarmi in caso di necessità: ostetrica, doula, osteopata.

Poi, ovviamente, ci sono le scelte, piccole e grandi da fare.
Ciuccio sì o ciuccio no? Biberon sì o biberon no? I giocattoli: di plastica o legno? Lo svezzamento: forchetta o manine? Dietro ogni singola conquista del vostro bimbo, dietro ogni decisione che prendete al posto suo, si nascono le radici da cui può fiorire un comportamento piuttosto che un altro. Anche in questo caso, non prendete nulla alla leggera durante i primi anni: cercate di prendere informazioni riguardo il valore di ogni scelta che voi prendete per i piccoli, e valutate le conseguenze. Non perché esistano scelte giuste o scelte sbagliate, ma perché avere uno sguardo sul lungo termine aiuta a farvi prendere la decisione che ritenete migliore per voi e per il proprio bimbo.
Un esempio molto banale: Mattia, come tutti i bambini piccoli, si tranquillizza molto quando mangia, al punto che spesso cerca il seno solo per l’atto della suzione, che diventa una vera e propria coccola, e non per sfamarsi. Ho pensato diverse volte a prendergli un ciuccio, così da poterlo aiutare a tranquillizzarsi anche quando è in una situazione nuova e io non posso immediatamente rispondere al suo bisogno (ad esempio, se siamo in auto o in giro a fare due passi e lui rimane scombussolato dai rumori e dalla luce). Prima di acquistarlo mi sono però attentamente informata: il modo in cui un bimbo succhia dal seno e dal ciuccio (o dal biberon) è molto differente, al punto che l’uso di questi due sostituti può interferire con l’allattamento, pertanto viene sconsigliato dalle ostetriche almeno fino ai 40 giorni del neonato. Nel libro Il giusto respiro, dell’odontoiatra Andrea di Chiara, ho inoltre appreso che potrebbero subentrare problemi nella conformazione del palato, creando sul lungo termine difficoltà all’architettura dentale e alla respirazione, nonché alla postura (tutti gli osteopati lo dicono: denti, mascella, mandibola, e spina dorsale hanno una stretta connessione). Insomma, contando anche la difficoltà che si può avere a togliere il ciuccio a un bimbo di 4-5 anni, i vantaggi erano ben inferiori agli svantaggi, e ho preferito lasciar perdere. Se non mi fossi informata, gliel’avrei dato senza remore!
Un ragionamento analogo può valere per molte altre tematiche, per cui cerco sempre di informarmi in modo completo: non sempre riesco, perché a volte non ho tempo o non trovo modo di approfondire bene, e a volte semplicemente parto “prevenuta”.

Nel mio piccolo, spero che condividendo quanto appreso e quanto ci è stato (e ci sarà) utile io possa a mia volta solleticare la vostra curiosità e il vostro interesse ad approfondire.
La prossima volta di parlerò del bisogno di contenimento del neonato e della mia esperienza con il babywearing.