L’allattamento è la fatica maggiore che io abbia mai affrontato, se guardiamo l’impegno fisico prolungato che comporta.
L’allattamento prosciuga una donna: il tuo corpo deve provvedere a nutrirne un altro, e la Natura fa in modo che tutte le riserve vitaminiche e minerali siano riservate in primis al tuo cucciolo d’uomo, per la sopravvivenza della specie. Anche se tu sei esausta, il tuo organismo scaverà le tue riserve per poter dare nutrimento a tuo figlio, lasciandoti ancor più prostrata. Da fuori, vedete una mamma che sta portando al seno il suo bambino. Da dentro, non potete sapere cosa quel gesto può significare in termini di spossatezza, insicurezza, paure.

A ben guardare, a me è andata di lusso: Mattia ha avuto le prime gocce di colostro a nemmeno cinque minuti dalla sua nascita; ho avuto la possibilità di tenerlo attaccato al seno come e quando voleva nei giorni in cui eravamo in ospedale (ho optato per il rooming-in), la montata lattea non è stata particolarmente dolorosa, non avuto né ragadi né mastite. Mattia ha avuto un attacco doloroso nei primi giorni (quando io riuscivo a malapena a stare seduta per il dolore del parto), ma poi il nostro allattamento, che a breve compie 10 mesi, è andato liscio come l’olio, ed è un momento intimo di coccole per me e per lui.

Purtroppo, non per tutte è così. Mi riferisco alle donne che desiderano allattare, senza in alcun modo voler fare discriminazione verso chi opta per una scelta diversa: ci sono mamme che decidono che l’allattamento non fa per loro, optano per il biberon, e il discorso si chiude, senza fronzoli né tantomeno giudizi.
Ci sono invece mamme che vogliono allattare, ma che non sono opportunamente supportate, anzi: vengono ripetutamente consigliate di smettere, per altro in un periodo della vita in cui ci si sente completamente allo sbando, insicure; con un bambino di una settimana che piange e strilla perché ha fame, anche la mamma più tenace più cominciare a vacillare pensando che “il tuo latte non è abbastanza” come le viene ripetutamente detto.

Ileana è stata una di queste mamme. Jacopo è nato a fine dicembre, le difficoltà con l’allattamento sono iniziate subito. Lei, forte delle sue convinzioni, ha chiesto aiuto in consultorio e a specialiste dell’allattamento: è stata continuamente mal consigliata proprio da chi poteva e doveva aiutarla.
Quando, grazie ad una consulente IBCLC, ha cominciato a vedere la luce, mi ha scritto, chiedendomi di pubblicare la sua storia. “Se può essere utile anche solo a una mamma l’inferno che sto vivendo, ne parlo. Mi aiuti?”.
Come dirle di no.

Questa è la storia di Ileana e Jacopo.
Se avete bisogno di un supporto per l’allattamento, consultate questo sito: AICPAM.

Diventano grandi anche con il biberon

“Diventano grandi anche con il biberon”, questo più o meno è il sostegno che ho ricevuto ad inizio allattamento dai più, bimbo mio, chissà se per disinformazione o se per accettare il fatto che a loro volta hanno cresciuto i propri figli così.
Il cibo non è solo nutrimento per il corpo, questo lo sappiamo bene, sappiamo che è meglio un biberon offerto con dolcezza che un seno con ostilità, per questo chi sceglie la via del latte artificiale non deve essere giudicato: ciò che nutre insieme al latte è l’amore che in quel momento abbraccia il bambino. Ciò che più conta è che l’allattamento sia sereno.
Certo. Giusto. Giustissimo, anzi.

Allora perché molto spesso alle madri che per essere serene sentono il bisogno di allattare non viene dato supporto? Perché gli si propone sempre l’alternativa dell’aggiunta, se non addirittura di mollare alla prima difficoltà?
Allattare al seno non è semplice, non per tutte almeno, una cosa che pare così naturale e fisiologica può nascondere molte insidie, e questa è la nostra storia, piccolino.
Sei nato con un anticipo che ci ha un po’ spiazzati, abbiamo avuto vari imprevisti e ho potuto attaccarti al seno solo 24 ore esatte dopo la tua nascita. Nel frattempo con il nostro piano parto ci si sono puliti le scarpe, prima ancora che ti potessi stringere tra le mie braccia con quella tutina azzurra che avevo scelto per te avevi già conosciuto il sapore del latte artificiale e della plastica. Tu, che tre minuti dopo essere nato hai alzato la testa spingendoti sulle braccia ed iniziato a cercare il mio seno, senza che potessi accogliere la tua richiesta. Nel tuo primo giorno di vita ti ha nutrito qualcuno che aveva già deciso che non ti avrei potuto allattare, senza nemmeno chiedere se avessi piacere a dartelo io il biberon. Ho capito che nonostante tutta la mia documentazione l’ignoranza in fatto di farmaci e allattamento regna sovrana, che nessuno si vuole prendere responsabilità per iscritto. Ho dovuto poi lasciarti al nido tre ore la tua prima notte, sei tornato sazio e con il ciuccio disperso nel tuo lettino, a riprova che delle mie volontà non aveva intenzione di tenerne conto nessuno. Perdonami se piangevi e non c’ero, non ho fatto altro che aspettare che tu tornassi, perdonami se non ti ho protetto come meritavi.
Sapevo che la buona riuscita dell’allattamento dipende da un attacco corretto, per questo ho chiesto a quattro persone diverse se fosse corretto e la risposta era sempre sì. Peccato che poi una volta a casa sia stata in preda di pianti disperati per una montata lattea troppo dolorosa e, di li a poco, per la comparsa delle ragadi. Dovevo camminare sorreggendomi il seno, i capelli me li ha legati tuo padre perché non riuscivo a muovere le braccia. Due giorni dopo è arrivata a casa nostra l’ostetrica del consultorio ad aiutarci, conferma che l’attacco è corretto, ma trova un ingorgo, per qualche giorno viene da noi e mi fa impacchi caldo umidi e spremitura manuale, a me, che non ho mai mostrato ad altri nemmeno l’ombelico. Tu stai attaccato ore e ore, ce ne vogliono 4 per farti fare una poppata e ancora poco dopo urli che non sei sazio, non sei mai tranquillo, una sera stai attaccato per 6 ore e io, con le ragadi, resisto. Arrivano a pesarti, in tutto questo hai messo 10 grammi, ne perderai quasi il doppio il giorno dopo, e andiamo avanti così, passano due settimane e invece di recuperare il calo fisiologico hai perso ancora un po’. Non sei nato magrolino, ma così non va bene. Inoltre non ti scarichi più di 3 volte a settimana, lo riferisco, ma mi rassicurano, anzi, “non mangiare minestroni e verdure, così che lui si scarichi ancora meno e quindi pesi di più. E ricordati di bere tantissimo, che il tuo latte è troppo denso”. Io sono una dietista, l’ho studiato come si produce il latte, l’ho studiato che la fibra delle verdure che mangio io non crea problemi a te, eppure, in balia del momento mi imbottisco di acqua e evito le verdure. Mi convinco anche del fatto che la teoria è una cosa e la pratica un’altra, che mi sentivo preparata ed invece sono solo una saputella male informata.

Mi mettono davanti ad una “scelta”, tu non cresci e non puoi non farlo, meglio togliere il latte e dartelo con il biberon. Io lo so che non va fatto, che il biberon è un interferente, che è meglio nutriti con un bicchierino rigido o una siringa senza ago, lo faccio presente a tuo padre ma siamo così stanchi che non lo facciamo, in fondo io sono mamma da due settimane e loro ostetriche da tanti anni che vedono mamme tutti i giorni. Tiro il latte e non ho mai pianto così tanto, la prima sera senza tiralatte un’ora e mezza per fare 40 ml, sempre con le ragadi ovviamente, ma va bene, è per te, sono la tua mamma, accetto anche questo, in fondo il mio corpo serve a te ancora per un po’; nel frattempo però non riesco a tenere il ritmo e tu piangi, piangi disperato e piango anche io, chiusa in bagno ho il rifiuto di te, ti amo così tanto ma mi manco io. Ti diamo questi benedetti biberon per un giorno, con il divieto di attaccarti al seno, e prendi due etti. Non riesco a tenere il ritmo e continuo a piangere, tuo padre decide che mi serve respiro, esce a comprare il latte. Torniamo al seno ma non riesco a togliere l’aggiunta, soprattutto di notte, quando mi fa così male da avvolgermi nel piumone stringendo il seno, a piangere e a non volerne sapere più nulla di nessuno. Il male viene da dentro, sento degli spilli, inizialmente ho pensato che prendendo qualche etto tu avessi preso anche più forza e che quindi stessi poppando meglio, dicono che deve venire il callo e ho pensato che finalmente mangerai come si deve. Cresci, poco, ma cresci, il dolore però diventa atroce, arriva alla schiena, piango ad ogni poppata, piango tutto il giorno, attendo con terrore il momento in cui avrai fame e tu hai sempre, sempre fame, comincia a venirmi l’ansia ad uscire senza un biberon perché tu non sei mai sazio e io non riesco ad allattarti fuori senza contorcermi dal dolore, finché arriva il momento in cui penso che si sta rompendo il seno, che sento corde brucianti partite dalla punta del capezzolo e arrivare a schiena e ascelle mentre tutto il seno sembra contrarsi. Frequento il gruppo di allattamento del consultorio e mi dicono che ho i dotti ostruiti, quindi, di nuovo, mi presto a farmi schiacciare con forza il seno, nella speranza di liberarli. Nulla si risolve finché mi dicono che devo prestare più attenzione perché è il mio seno che mi sta comunicando qualcosa e che devo trovare un equilibrio tra me e le tue richieste, perché chiedi veramente troppo, perché sei un mammone (a tre settimane… ), perché hai preso il seno per un ciuccio, perché hai bisogno di succhiare qualcosa e che conviene che ti tolga questa voglia con il ciuccio, così che poi andrà meglio. Io so anche che il ciucco è un interferente, ci metto due giorni, piango, ma alla fine tuo padre in un momento disperato te lo infila in bocca e finalmente ti calmi. Non mi sono mai sentita così inadeguata. La situazione non migliora nei giorni successivi, anzi, neanche il ciuccio ti consola più. Grazie, grazie di non aver mollato, grazie di avermi fatto capire che questa è la strada che volevamo percorrere entrambi. Mi sento arrivata al limite, non ho più lacrime, non ho più niente, anche tuo padre ormai mi dice che ho tentato già troppo e che possiamo passare totalmente all’artificiale, gli altri ce lo consigliano già da settimane, solo tua nonna comprende il mio stato d’animo e mi dice di tentare il tutto e per tutto, chissà forse perché anche lei porta ancora con sé la remora di non esserci riuscita. Mi iscrivo ad un meraviglioso gruppo Facebook e trovo sostegno, preparazione scientifica e mille consigli utili. Decido di chiamare una ibclc, cioè una consulente professionale in allattamento materno, il numero l’avevo già da parte ma chissà perché nel caos me ne sono dimenticata, mi sono affidata a chi già ci stava aiutando.

Scrivo a Francesca Alberti, ibclc e doula, disperata, dopo tre giorni ci vede e nonostante almeno sei persone, SEI, ci avessero confermato il tuo attacco corretto in un secondo lei ci dice che è tutto sbagliato, ci spiega come fare e parliamo due ore, ti coccola un po’ che ho bisogno delle mani libere per asciugarmi le lacrime, mi propone una terapia per curare un’infezione batterica, un’infezione da candida e l’infiammazione. Qualcuno che mi crede, finalmente. Il mio seno non stava parlando in cerca di equilibrio, stava urlando perché era malato. Chiaramente continuare a schiacciare aveva infiammato la zona peggiorando la situazione, riporto la diagnosi della candida in consultorio e mi sento rispondere che non sapevano potesse venire anche ai dotti galattiferi. Passata la candida, migliorato l’attacco penso di essere vicina alla soluzione, il dolore invece non migliora ma si modifica, noto che il capezzolo diventa bianco, brucia fino alla schiena, durante la poppata è come se qualcuno passasse una lima per le unghie sul capezzolo scaldando con l’accendino. Ne parlo con Francesca, miglioriamo ancora la posizione ma ci rimane il dubbio che la tua lingua non sia sufficientemente mobile per permetterti una suzione ottimale, sospettiamo entrambe che il frenulo linguale sia troppo corto, contattiamo una sua collega pediatra, facciamo più di cinque ore di auto in una giornata con te che hai sei settimane ma andiamo, ti visita, ti valuta ed ecco il verdetto: “questo bambino ha la lingua ingabbiata, inoltre ha imparato a compensare con le gengive, chiaramente la suzione di ciucci e biberon non ha aiutato”. Facciamo questo taglietto, un’operazione durata pochi secondi, per ora i secondi più lunghi della mia vita, il dolore migliora ma non passa. Andiamo anche da un’osteopata che ci fa notare come tu abbia una parte preferita verso cui tieni girata la testa. Andiamo avanti con gli esercizi per la lingua, per il viso, per stimolati in modo simmetrico, miglioriamo l’attacco, studiamo le posizioni che ti aiutano di più e che tengono a bada il riflesso di emissione troppo forte e che, manco a dirlo, non ti agevola e anzi ti rende ancora più difficile la poppata tanto da crearmi due vesciche sul capezzolo.

Intanto Francesca continua a darci consigli e a starci vicina, lentamente migliori, il vasospasmo inizia a regredire, abbandono gli analgesici, tu prendi in due settimane dal taglio del frenulo un chilo e due, quasi non ti riconosco, sei sereno, sei tutto guance, dormi, stai in braccio a chiunque e nella tua sdraietta mentre ti parlo, da 4 ore passiamo ad un’ora a poppata e poi a 20-40 minuti, io riesco anche a farmi la doccia senza soffrire se il getto arriva sul seno, riesco a vestirmi, riesco a muovermi come mi pare, a metterti in fascia senza dolore.

Non siamo ancora alla fine, ma continuiamo con gli esercizi e non ci arrendiamo. C’è chi con un biberon in mano si sente fuori posto e inadeguato ed è giusto che riceva il sostegno di cui necessita. Francesca ci ha spiegato che con un attacco corretto fin dal primo giorno avremmo evitato la montata così imponente e le ragadi da cui per lo stress è entrata la candida. Ci ha inoltre detto che non sarebbe stato necessario farmi toccare il seno ma sarebbe bastato posizionarti con alcuni accorgimenti e lasciarti drenare, avrei potuto evitare anche il tiralatte e la spremitura che hanno aumentato il riflesso di emissione. Avremmo capito subito che io problema stava nella lingua e in un paio settimane avremmo risolto.

È per questo che mi senti rispondere acida a chiunque si permetta di giudicare il nostro allattamento, per questo che ho pianto stringendoti a me per darmi forza quando mi è stato detto che dovevo smetterla di piangermi addosso, che dovevo attaccarti con naturalezza senza farmi tante storie sulle posizioni, di ringraziare che l’ostetrica del consultorio veniva a casa, eccetra eccetera. Sempre per questo che non sto più zitta quando mi sento dire “ringrazia la fortuna che hai il latte”, perché mi sembra che la fortuna sia stata poca e che siano state la nostra determinazione unita alla mia dedizione e tenacia, nonché alla bravura di Francesca a fare la differenza. Da questa esperienza ho imparato a fidarmi di più delle mie competenze, grazie piccolo mio che mi hai fatto capire che era questo che desideravi anche tu, speriamo che possa essere d’aiuto a qualcuno.

E grazie a Francesca, senza di cui non saremmo arrivati da nessuna parte e senza la quale avrei un grosso rimpianto da cullarmi dentro.