Negli ultimi anni è passata alla ribalta la dieta chetogenica: i nutrizionisti e i medici se ne interessano per le notevoli ripercussioni positive sulla salute, le persone si informano soprattutto per le promesse garantite in ambito di dimagrimento.
Molto spesso mi si è chiesto cosa ne pensassi io… E, visto che la risposta è tutt’altro che scontata, ho pensato di scriverne un articolo.
Per prima cosa, non bisognerebbe parlare de’ “la dieta chetogenica”, bensì delle diete chetogeniche (rigorosamente al plurale!): non esiste, infatti, uno schema standard di ketodiet, ma ne esistono diverse modalità di realizzazione in base a quello che si vuole ottenere, e al singolo paziente per cui la si realizza. Le diete chetogeniche possono essere a basso o alto contenuto di grassi, e possono essere realizzate con cibo edibile oppure con alimenti confezionati bilanciati nei nutrienti (comunemente ed erroneamente noti come “pasti sostitutivi”), oppure ancora con l’uso di proteine in polvere per fare shaker (di nuovo, noti come “bibitoni”). Tutte le diete chetogeniche hanno in comune un aspetto: quello di forzare l’organismo di chi sta seguendo il piano alimentare allo stato di chetosi.
Che cosa è la chetosi?
Si tratta di uno stato metabolico nel quale il corpo utilizza come fonte energetica, in assenza di zuccheri (glucosio) i corpi chetonici; normalmente il livello di corpi chetonici nel sangue è ridotto ai minimi termini, ma inizia a salire con il digiuno prolungato o grazie alla ‘forzatura’ di una dieta realizzata ad hoc per ottenere tale rialzo: vale a dire, la dieta chetogenica.
La chetosi è un retaggio evolutivo positivo, che un tempo serviva per garantire la sopravvivenza anche in condizioni di digiuno prolungato e carestia. Attualmente, la chetosi può essere uno stato finemente ricercato attraverso l’attuazione della dieta chetogenica, per poterne sfruttare i numerosi vantaggi: lo stato di chetosi, infatti, si accompagna a delle modifiche endocrine e metaboliche che portano beneficio all’organismo.
Non si deve confondere la chetosi con la chetoacidosi… Quando leggete che “le diete chetogeniche sono pericolose perché mandano in acidosi il corpo”, chiudete immediatamente quanto state leggendo, perché non è corretto ed è assolutamente fuorviante. La chetoacidosi è una condizione patologica che non ha nulla a che fare con le diete chetogeniche…
Quali sono i vantaggi delle diete chetogeniche?
La dieta chetogenica nasce con un nobile fine: è stata ideata negli anni ’20 del Novecento per contrastare gli attacchi di epilessia in pazienti che non rispondevano alle cure farmacologiche, e, pensate un po’, si è visto che la risposta era veramente ottimale. Da allora la dieta chetogenica è stata a lungo utilizzata in ambito medico proprio solo per la cura dell’epilessia: è solo negli anni ’90 che è passata alla ribalta come dieta ‘di tendenza’ per garantire un dimagrimento rapido.
Dopo un decennio nel quale il mondo medico si è diviso riguardo l’uso di questa dieta, gli studi sugli effetti positivi per il corpo hanno cominciato ad essere via via più consistenti a partire dagli anni Duemila. Al di là degli indubbi vantaggi riguardo una rapida perdita ponderale, lo stato di chetosi permette di migliorare la condizione di pazienti che soffrono di sindrome metabolica e di prevenire e ritardare l’insorgenza di patologie neurodegenerative; inoltre, è molto utilizzata in preparazione a interventi di chirurgia bariatrica (ai nostri giorni è subito associata al reality sui grandi obesi americani del Dr Nowzaradan…).
Come si può realizzare una dieta chetogenica?
Come detto poc’anzi, esistono diversi modi per stilare una dieta chetogenica. E’ assolutamente controindicato il fai-da-te, perché si tratta di una vera e propria prescrizione medica, che va poi ‘confezionata’ da un professionista della nutrizione (dietista o biologo nutrizionista).
Sapete… Non è nemmeno corretto dire che “se fatta in modo non adeguato, la dieta chetogenica espone a rischi per la salute”, perché a quel punto non sarebbe una dieta chetogenica ma qualcosa di diverso! Si tratterebbe di errori nella realizzazione del protocollo, che portano a seguire una dieta che sembra chetogenica, ma che chetogenica non è. Ad esempio, simili rischi si possono incontrare iniziano un protocollo keto senza opportune analisi del sangue, con kit di alimenti ‘autoprescritti’, o facendo modifiche in autonomia al piano fornito da uno specialista: come ho più volte ribadito sul mio sito, nessun protocollo alimentare è talmente rigido da non poter essere minimamente variato. Ma qui abbiamo l’eccezione alla regola: l’applicazione di una ketodiet è spesso rigidamente matematica, per cui non solo non sono concessi sgarri, ma sono anche da concordare con il professionista eventuali variazioni del piano.
L’aspetto più importante delle diete chetogeniche è l’apporto di carboidrati, che non deve superare i 30 g al giorno, onde evitare l’uscita dallo stato di chetosi, e dover ricominciare tutto da capo. Nel computo dei carboidrati si considera anche l’apporto fornito dalla verdura (cosa che, in diete normali, normalmente si tralascia).
…non sono concessi sgarri?!
Purtroppo no: anche solo una manciata di fragole potrebbe determinare l’uscita dallo stato di chetosi, e quindi inficiare l’intero protocollo.
In definitiva, cosa penso delle diete chetogeniche?
Non posso che avere un’opinione positiva di simili protocolli.
Però.
Personalmente, da dietista, li applico con il contagocce, e sempre dopo aver esposto al paziente vantaggi e svantaggi.
Perché? Dal poco che vi ho scritto in questo breve intervento, vi sarete resi conti che si tratta di uno schema estremamente rigido nella sua concretizzazione: e rigide sono anche le tempistiche entro cui rimanere in chetosi, così come rigida è la fase di reintroduzione di carboidrati (non si può ricominciare di punto in bianco a mangiare frutta, pane e primi piatti: si annullerebbe tutto il vantaggio avuto, e si farebbe un gran caos metabolico!).
Il maggior scoglio che personalmente rilevo nella realizzazione di una dieta chetogenica è la compliance del paziente a cui la propongo: la seguirà bene? Ne ha compreso fino in fondo la valenza? E… non è che rischio di slatentizzare comportamenti alimentari al limite di un DCA-ortoressico o DCA-bulimico? Obiettivamente, tale rischio è tutt’altro che indifferente, e va tenuto in considerazione nel momento in cui si ipotizzi di proporre una ketodiet al proprio paziente.
Non solo: si deve considerare che l’ingresso in chetosi non è sempre agevole e rapido; potrebbero esserci alcuni giorni iniziali di sofferenza del corpo, con astenia, mancanza di concentrazione ed emicrania; spesso durante queste fasi iniziali il paziente si scoraggia e commette qualche errore, ritardando ulteriormente l’ingresso in chetosi (che, una volta ben avviata, in genere non dona altro che energie e performance intellettiva elevata). Inoltre, va valutata con attenzione la sua prescrizione in caso di paziente sportivo (e non mi riferisco solo agli agonisti, ma anche a chi, come tutti noi, va in palestra o pratica sport 2-3 volte a settimana).
Infine… Non bisogna trascurare l’aspetto economico: l’attuazione di una dieta chetogenica richiede necessariamente l’uso di integratori minerali, e spesso anche di un’altra serie di prodotti a sostegno e di sopporto allo stato di chetosi (oppure l’uso di alimenti formulati ad hoc da aziende farmaceutiche, che incidono in modo considerevole sul budget familiare mensile).
Insomma, non amo applicare diete chetogeniche non perché le ritenga inutili o pericolose: tutt’altro.
C’è anche da considerare che fin troppo spesso (ahimé) la dieta chetogenica venga vista (…e venduta) come ‘la soluzione facile’: perdi peso facilmente, hai un buon balzo di autostima, e poi pensiamo a tutto il resto… Ma se poi il paziente usa il protocollo in autonomia perché, all’uscita dalla keto, vede un lieve rialzo del peso? Ma se poi il paziente non si presenta ai controlli e prosegue con il fai-da-te?
E soprattutto… a che fine si sta usando la dieta chetogenica?! Se mi occupassi esclusivamente di patologie neurodegenerative o di problematiche neurologiche (magari nel campo della ricerca) penso che sarei enormemente più entusiasta di questo tipo di diete. Se invece se ne cerca l’applicazione perché si è letto che “fa dimagrire in modo semplice e veloce”… Ecco, direi che preferisco decisamente un approccio diverso: ad esempio, esistono innumerevoli modi di proporre una buona dieta ciclica (con alternanza di giorni low-carbs ed high-carbs), magari in abbinamento a un’opportuna attività fisica, che permettono lo stesso identico risultato, ma con impatto psicoemotivo diverso.
Se proprio il dimagrimento è bloccato e non responsivo alla dieta, piuttosto preferisco l’applicazione di altri protocolli: ad esempio, 3-5 giorni di “detox” (e lo metto tra virgolette per ovvi motivi, i professionisti che abbiano seguito i miei corsi lo sanno), reverse-diet o digiuno intermittente.
Ma, prima di tutto, preferisco parlare con il/la paziente, e capire se non si tratti propriamente di ‘dieta che non funziona’ quanto piuttosto di altre problematiche… come ad esempio la sfiducia e la frustrazione verso la ‘dieta dimagrante’ in sé e per sé, o qualche non-detto riguardo il rapporto con il cibo
Le diete chetogeniche funzionano a supporto della fertilità?
Impossibile non inserire questo paragrafo, perché obiettivamente iniziano ad esserci alcune evidenze scientifiche in relazione all’applicazione di protocolli chetogenici per adiuvare l’ovulazione, per supportare le cure di una PMA o per contrastare l’infiammazione legata a ipofertilità femminile.
Di fatto: sì, un regime keto può aiutare. Se aiuti di più o di meno rispetto a una low-carbs non è ancora completamente chiaro (anche perché dipende dalla causa di ipofertilità, dal peso della paziente e altri fattori).
Personalmente non applico regimi chetogenici a supporto della fertilità, perché ne ho enorme timore del loro impatto da un punto di vista psicologico. Io conosco la paziente che viene da me per il tempo che la vedo in ambulatorio: non so molto dei sui livelli di stress, e di quanto un regime tanto rigido possa influenzare le sue emozioni. Magari, se sta seguendo una PMA, potrebbe confidare fin troppo nella ketodiet e avere enormi (e sbagliati) sensi di colpa se qualcosa non andasse per il meglio; o magari, se in passato ha sofferto di DCA che hanno inciso a slatentizzare problemi ormonali, potrei esporre al rischio di essere nuovamente sul filo di abbuffate o ortoressia.
Parimenti, spesso propongo brevi regimi simil-keto in concomitanza di specifiche cure per la procreazione assistita, regimi che in genere non faccio durare più di 5 giorni e che sono preceduti da diverse settimane in low-carbs ciclizzata (con calorie alte o basse a seconda delle necessità di dimagrimento).