Quando una donna si trova in una condizione di amenorrea, non è infrequente che il ginecologo di riferimento suggerisca di assumere la pillola estroprogestinica.
Con la pillola, il ciclo è presente (almeno nella maggior parte dei casi, non sempre), e inevitabilmente regolare: fittizio, ma presente.
Vedere il mestruo una volta al mese è tranquillizzante: il problema è che la pillola non risolve le cause dell’amenorrea, che quindi continua silenziosamente a sussistere. Una volta che la pillola viene interrotta, l’amenorrea si ripresenta: la paziente andrebbe informata che si tratta di un palliativo, eppure troppo spesso la prescrizione della pillola viene proposta come *la* soluzione (unica, inderogabile, necessaria).

Facciamo un passo indietro.
Per “amenorrea” si intende un periodo di assenza del ciclo mestruale che perdura da almeno 6 mesi, e che non è da ricondursi né a gravidanza né ad allattamento (né, ovviamente, alla menopausa).
Le cause dell’amenorrea possono essere diverse: è tuttavia innegabile che nella maggior parte dei casi, nelle giovani donne, l’amenorrea si presenta a seguito di un periodo di prolungato stress psicofisico, o di un trauma emotivo. Come dietista, mi occupo di amenorrea ipotalamica nei casi in cui è conseguente a restrizioni alimentari, forte dimagrimento e/o rapporto disfunzionale con il cibo: prescrivere la pillola come soluzione al problema è profondamente sbagliato, perché non permette alla paziente di comprendere l’origine del suo problema, perpetrando un disagio emotivo che andrebbe opportunamente affiancato, anche a prescindere dalla presenza di amenorrea.

Quando la causa dell’amenorrea è un profondo stress fisico legato a restrizioni alimentari e ortoressia, associato ad un altrettanto profondo stress psicologico conseguente a un disturbo d’ansia, o ossessivo-compulsivo, o un DCA propriamente detto, la cura -non smetterò mai di ripeterlo- prevede la sinergia di tre percorsi:
– Quello dietistico (riabilitazione nutrizionale sia in termini quantitativi sia di fluidità delle scelte alimentari)
– Quello psicologico (che si può snodare su diverse tematiche, non ultima quella della sessualità e della maternità in senso ampio, come forza creatrice, non necessariamente legata al concepimento)
– Quello ginecologico.

Come ho specificato, la pillola non è la soluzione all’amenorrea.
Però è una validissima terapia di affiancamento.

Se leggendo le prime righe di questo articolo vi siete fatti l’idea che io sia contraria all’uso della pillola in amenorrea, vi sbagliate: sono contraria piuttosto alla cattiva informazione cui è legata la prescrizione di questo farmaco.
La pillola non risolve l’amenorrea: la pillola riduce il maggior rischio legato all’amenorrea, ossia quello di osteopenia e osteoporosi durante la piena età fertile.

Gli estrogeni sono ormoni di protezione per la donna dal menarca alla menopausa: la proteggono da malattie cardiometaboliche e ne tutelano lo scheletro. Con la menopausa, quando cessa la produzione ciclica di estrogeni e progesterone, la donna attraversa un periodo di aumentato rischio di ipertensione, sindrome metabolica e osteoporosi: delle tre problematiche, solo l’osteoporosi può manifestarsi precocemente anche in donne in amenorrea, proprio a seguito dell’assenza di estrogeni.
Per questo motivo, e non come terapia risolutiva dell’amenorrea!, l’uso della pillola estroprogestinica può essere caldamente raccomandato: permette, infatti, di mettere in circolo ormoni artificiali che tutelano la mineralizzazione dello scheletro, impedendo una perdita precoce di calcio e altri minerali. Innegabilmente, avere una diagnosi di osteopenia prima dei 30 anni anziché a 60-70 anni comporta tutta una serie di sequele non indifferenti: la maggior fragilità ossea è legata ad un maggior rischio di fratture anche a seguito di eventi traumatici banali, con tutte le conseguenze del caso (degenza, riabilitazione, ulteriore perdita di minerali per l’inattività dovuta al gesso, perdita di forza muscolare, sollecitazione del sistema immunitario…).
Quindi: pillola sì, per lo scheletro, e senza che diventi un pretesto per insabbiare le cause profonde dell’amenorrea. L’assenza di ciclo in una donna in età fertile deve essere vista come un campanello d’allarme: la pillola non lo spegne, ma ne argina egregiamente gli effetti collaterali più spiacevoli.

Dal momento che stiamo parlando di fragilità dello scheletro, ormoni e alimentazione, ci tengo a dare anche un’altra informazione, ossia quella relativa al picco di mineralizzazione.
Per picco di mineralizzazione ossea si intende il massimo livello che la massa ossea esprime durante la vita di una persona; fisiologicamente, viene raggiunto intorno ai 25 anni, ed è influenzato essenzialmente da tre fattori:
Attività fisica (è stato ampiamente dimostrato che la regolare attività fisica da carico aiuta a migliorare il picco di massa ossea; attenzione, non mi sto riferendo alla blanda attività aerobica!).
Farmaci (sarà il medico di base o il pediatra di riferimento a informare circa gli effetti collaterali sulle ossa di alcuni farmaci che devono essere presi per lungo periodo, come per esempio la furosemide)
Alimentazione

Parliamo appunto di alimentazione: uno dei (tanti) rischi delle diete dimagranti intraprese durante l’infanzia e l’adolescenza è proprio quello di mettere a repentaglio il picco di mineralizzazione ossea.
La restrizione alimentare volta a promuovere il dimagrimento causa altresì l’assenza di micronutrienti che sarebbero indispensabili a costituire uno scheletro robusto: la conseguenza è che si raggiungono i 20-25 anni con un picco di mineralizzazione inferiore al suo potenziale (per intenderci: se il potenziale è di 100, le continue diete dimagranti portano a sviluppare appena un 60-70, se non meno!).
Questo fatto cosa comporta? Semplice: di nuovo, un enorme aumento del rischio di osteopenia, anche ben prima della menopausa. Dopo i 30 anni il corpo perde annualmente lo 0,3-0,5% dei minerali dalle ossa (la percentuale aumenta fino al 3-5% nei 5-7 anni dopo la menopausa conclamata!); è chiaro che tanto maggiore è il picco di mineralizzazione raggiunto a 30 anni, tanto minore sarà il valore assoluto della perdita fisiologica. Mi spiego meglio: una donna che a 30 anni ha un picco di 100 avrà una salute scheletrica molto diversa rispetto a una donna che, alla stessa età, ha un picco di massa ossea pari a 60. Entrambe negli anni perderanno uno 0,3-0,5%, ma partendo da valori molto diversi, e quindi con conseguenze di salute diverse – se non addirittura opposte.

Questo è uno dei tantissimi motivi per cui le diete di dimagrimento sono pericolose durante tutta la fase di crescita: e non mi riferisco solo alle diete fai-da-te! No, anche quelle redatte da professionisti sono pericolose, perché qualsiasi restrizione calorica è legata anche ad una restrizione di micronutrienti: è inevitabile. Certo, si potrebbe pensare di restringere le calorie e fornire una supplementazione di minerali in capsule o pastiglie, così da colmare questo gap… Ma nessuno studio ha dimostrato che sia una strategia vincente.
E, in ogni caso, mettere a dieta una bambina o un’adolescente è nefasto non solo per il bilanciamento dei micronutrienti, ma anche (e, oserei dire, soprattutto) per le conseguenze psicologiche che il meccanismo di dieting comporta: ne parlerò sicuramente, magari già nel prossimo articolo!