Da che ho aperto il sito ho sempre pubblicato un intervento al termine dell’anno, dando spazio a qualche spunto di riflessione, oltre che ai tradizionali auguri. Forse non l’ho fatto solo negli 2017 e 2018, ossia quando Mattia aveva rispettivamente 7 e 19 mesi (e, in quest’ultimo caso, quando ero alle prese con le peggiori notti insonni della mia vita).
Se mi seguite da tempo, vi sarete sicuramente resi conto di come siano cambiati i miei interventi sui social e i miei articoli sul sito: a volte ho come la percezione che il mio senso di frenesia e accelerazione sia intuibile da come scrivo, da quanto curo la punteggiatura o da quanta attenzione abbia a trovare i sinonimi pur di non ripetere uno stesso termine in due frasi contigue. Fortunatamente, da che Mattia dorme con maggiore regolarità, sento di essere nuovamente padrona del mio linguaggio e del mio stile: la deprivazione di sonno, in un adulto, è una tortura che conduce verso la scissione di sé, credetemi, e che rende il tempo puntiforme, frammentato e vischioso.
Ed è proprio da qui che partirò, per questo mio messaggio di auguri: il tempo.
La percezione del tempo si dilata e si concentra in base alla quantità di impegni che scandiscono le nostre giornate, o alla regolarità della nostra routine: vi sentite mai ‘frammentati’? Avete portato a termine tutti gli obiettivi che vi eravate prefissati per la settimana, eppure è come se qualcosa vi sfuggisse. E se vi fermate a pensarci, quel qualcosa siete voi stessi: come se esistesse una forza centrifuga che vi porta ‘fuori’.
Da quello che ho potuto notare su di me, questa nota dissonante è tanto più forte e marcata quanti più impegni sono annotati nella mia agenda e quanti più pensieri affollano la mia mente.
E’ per questo che uno dei miei obiettivi per l’anno prossimo è proprio quello di mirare il più possibile all’ordine, e all’essenzialità. Vorrei essere in grado di estendere queste caratteristiche in primis al mio ambiente esterno, come già sto facendo: da una parte una casa ordinata, seppur non maniacale; dall’altra, una routine consolidata nella quale poter inserire tutti gli impegni che, ciclicamente, incombono. La prevedibilità di certi aspetti della vita non è noiosa: è efficiente. Permette di accogliere in modo migliore quello che invece deve giustamente rimanere estemporaneo, randomico e non predicibile.
Un aspetto collaterale di quest’aspirazione all’essenziale, è la capacità di far prevalere la qualità alla quantità. Penso che ad un certo punto nella propria vita, può essere a 18 come a 50 anni, una persona si renda conto che arrivi il momento di fare una scrematura: togliere tutto ciò che si sia esperito, ma che si sia rivelato inutile.
Una parte della vita deve essere, giustamente, di accumulo: oggetti, esperienze, viaggi, hobby. E’ il periodo della vita in cui tutto ciò che ci si porta dietro non è una zavorra, ma un arricchimento: permette di formare i gusti, le predilezioni e le passioni. Come si può sapere che un certo stile letterario è “il proprio preferito”, se non ci si è avvicinati ad altri?
Poi però quello che è ‘di troppo’ inizia a creare caos: o perché le preferenze sono ormai ben definite, ed è inutile perdere tempo dietro ad altro; o per un sincero senso di appagamento per ciò che si ha, senza la smania di ‘cercare di meglio’. Ci si libera dell’accumulo rivelatosi inutile, e ci si concentra sulla qualità di ciò che si conserva (o che vuole continuare ad accumulare).
Per altro, a livello strettamente personale, avere “di meno, ma migliore” mi permetta anche di mantenere l’ordine, interiore ed esteriore, di cui ho parlato prima, e di conseguenza contribuisce a evitare la frenesia alla quale spesso mi sono sentita soggiogare.
Una frenesia che spesso viene nutrita anche dal modo in cui si occupano i ritagli di tempo: brevi minuti in cui non si riesce concretamente a concludere nulla, e che rischiano di essere sprecati in occupazioni futili. Quando si aspetta un treno, quando si è in coda al semaforo, mentre si aspetta che la cena sia pronta (o che il bambino sia completamente addormentato, prima di allontanarsi dalla camera), durante le pubblicità in tv o mentre si aspetta che inizi un film al cinema, quando si ha bisogno di fare una breve pausa dal lavoro o dallo studio, tra un boccone e l’altro del pranzo. Cosa facciamo in questi attimi?
Due o tre minuti ogni volta, che a fine settimana fanno un cumulo di ore non indifferenti. E’ ovvio che siano troppo brevi per poter essere produttivi: non è questa la pretesa. Ma possono essere consumati in modo diverso: sempre partendo da una considerazione personale, fin troppo spesso li ho sprecati in modo afinalistico sui social, ad esempio scrollando l’home-page di Instagram, guardando fotografie senza che me ne rimanesse impressa mezza. Con il risultato che questi innumerevoli attimi rubati alla noia o all’attesa hanno ampiamente contribuito alla mia sensazione di frammentazione, anzi quasi di estraniazione, e di frenesia. Mi sono ritrovata a chiedermi come impiegassi questi momenti quando non esistevano social-media, wifi sempre a disposizione e smartphone: si tratta di tanti anni fa, ma non ho fatto fatica a trovare la mia risposta. E voi, invece, cosa facevate di diverso da ora? Non sembra anche a voi che prima ci fosse una qualità diversa di questi momenti d’ozio?
Non ho assolutamente nulla in contrario al puro ozio. Ma ho cominciato a sentirmi profondamente infastidita dal modo in cui l’atto di scrollare l’home page di un qualsiasi social network si sia rivelato, più che un passatempo, un modo di distogliere l’attenzione e al contempo di farla andare sulle montagne russe. La testa come la pallina di un biliardo, che rimbalza tra titoli di cronaca, fatti di vita altrui, notizie di morte e vignette umoristiche.
Nelle ultime settimane ho dato il via alla mia rivoluzione: una rivoluzione contro me stessa, non certo contro il sistema; una rivoluzione contro quella parte di me che prova (e spero di poter presto dire provava) piacere dall’essere sempre connessa, e che è in conflitto con la parte che, invece, vorrebbe coltivare una dimensione di uno spessore leggermente maggiore. Ho ricominciato a leggere, ad esempio: prima mi dicevo che “non ho tempo”; ed effettivamente non ho ore a disposizione, ma solo minuti durante il giorno, magari un’oretta la sera: eppure questi minuti, in accumulo, bastano per leggere più di due libri al mese. Parlo di romanzi, non di saggi, per i quali ci vuole una concentrazione diversa.
Non ho certamente smesso di usare i social: anche visto il modo in cui svolgo il mio lavoro, mi sarebbe impossibile esserne completamente avulsa. Ma li uso in modo diverso, non afinalistico: arrivata a fine giornata, è come se il peso dei momenti di ozio fosse differente. Magari non è un ozio che arricchisce, ma non è nemmeno più un ozio che frammenta la concentrazione, mandandola alla deriva.
Il mio augurio per il 2020 è forse banale: certamente auguro a tutti felicità e prosperità.
Ma auguro anche, a voi come a me stessa, di non perdere di vista le vostre priorità, che alla fin fine sono l’unico modo per rendere produttivo il proprio tempo personale, che non sempre (anzi, raramente) coincide con il tempo professionale.
Vi auguro e mi auguro di accumulare esperienze e oggetti, fino al momento in cui non sarà pesante buttare tutto ciò che non serve (e non perché si sia raggiunto l’apice della completezza spirituale, immateriale, ma semplicemente perché ci sia una nitida chiarezza di ciò per cui valga la pena spendere soldi e tempo!).
Infine.
Vi auguro e mi auguro di non perdere tempo pur coltivando l’ozio.
Buona fine, e buon inizio.
4 Comments
Consiglio vivamente di riguardare su Raiplay la puntata di Presa Diretta, intitolata: Iperconnessi. Il multitaskig NON ESISTE!
Fantastico, come tutto quello che scrivi.
Buona fine e buon inizio cara Arianna, sei preziosa
Che augurio meraviglioso, grazie di cuore Arianna.
Mi imbatto oggi su questo tuo articolo e ti ringrazio Arianna, perchè hai messo per iscritto, con chiarezza come sempre, una cosa su cui spesso mi trovo a riflettere ma che non sono mai riuscita a decifrare bene. Un po’ come quando hai delle sensazioni istintive che volutamente ignori perchè le ritieni talmente banali da non poter essere vere. E invece!…