Come forse saprete, l’anno scorso ho pubblicato un libro dedicato alla nutrizione infantile (che trovate qui), un manuale pratico e semplice, scritto con l’intento di sgravare i genitori da tutti gli orpelli e gli inutili dilemmi alimentari in età pediatrica, focalizzandosi su quello che realmente conta.
Vale a dire?
Smettiamola di pensare che la frequenza settimanale dei secondi piatti sia essenziale, che ai bambini si debbano offrire porzioni pesate al grammo e piatti super bilanciati (per altro, “bilanciati” su che basi?). Non serve a nulla vietare i dolci, demonizzare le merendine, insistere perché tutto sia rigorosamente “fatto in casa”. Non arrabbiamoci quando i nonni offrono caramelle e patatine.
Quello che conta è tutt’altro: quello che conta è promuovere la capacità di autoregolazione e autoascolto del bambino, insegnandogli a riconoscere i segnali di fame e sazietà, e fornendo un’alimentazione sana e varia (che non vuol dire schematica!); quello che conta è trasmettergli utili informazioni alimentari compatibili alla sua età e alla sua capacità di comprensione.
Quello che conta è anche, attraverso il cibo, educarlo al rispetto del proprio corpo, alla diversità delle forme fisiche, a evitare la stigmatizzazione del peso corporeo.
Non serve a nulla “essere i nutrizionisti dei propri bambini”, schematizzare le frequenze settimanali, vietare cibo percepito come insano.
Nell’alimentazione infantile, così come in tantissimi altri aspetti dell’educazione, quello che conta è porre le basi, tramettere insegnamenti, fare da esempio, e aspettare che i semini gettati germoglino.
Semplice a dirsi, ma difficile a farsi. Nel libro che vi ho linkato spero di aver dato risorse utili, e spunti di riflessione interessanti.
L’argomento di questo articolo, tuttavia, non è l’alimentazione infantile in generale, ma più nello specifico la dieta di dimagrimento applicata ai bambini.
Ha senso mettere i bambini “a dieta”?
No, assolutamente no. Seguitemi nel mio ragionamento.
Come cresce il bambino
Nei primi anni di vita si valuta la crescita del bambino in base ai percentili di crescita, vale a dire grafici che ci indicano se la crescita del bambino in altezza e in peso è regolare in funzione all’età anagrafica. I percentili si riferiscono alla media di tutti i bambini di pari età: dire che un bambino di 1 anno che si trova al 70° percentile di crescita per peso significa dire che il 30% dei bambini della stessa età peserà di più, e il 69% di meno. Non significa assolutamente che il bambino sia “grasso” rispetto ai coetanei: quello che conta nella crescita del singolo bambino è che il percentile sia coerente con il passare del tempo. Un bambino che è sempre stato intorno al 20° percentile fin dalla nascita sarà un bambino esile, ma non significa che sia denutrito. Viceversa, un bambino al 90° percentile è un bambino dimensionalmente grosso per età anagrafica, ma non “grasso” (mia figlia, nata di 4 kg, nei primi mesi ha viaggiato al 97° percentile per peso!).
I pediatri sanno che esistono delle fluttuazioni fisiologiche delle curve di crescita, sia nel peso che nell’altezza: in certe fasi dell’infanzia la curva potrebbe registrare un balzo in avanti (ma il bambino non è “ingrassato”!) o un passo all’indietro (che non corrisponde al “dimagrimento”!). Queste fluttuazioni non costituiscono un campanello d’allarme: sono normali, fa parte del meraviglioso viaggio della crescita.
Devono invece destare un po’ di preoccupazione, o quantomeno richiamare l’attenzione, i cambi di percentile in fasi non prevedibili: vale a dire, quando il bambino sale o scende molto rispetto al proprio percentile di crescita senza che sia una fase di cambiamento fisiologico. Ci si deve interrogare su cosa sia successo: un bambino può scendere di percentile quando attraversa un periodo di sottonutrizione, potrebbe forse essere un campanello d’allarme per una celiachia o patologia da malassorbimento? O addirittura di anoressia nervosa infantile? Se invece il percentile scatta in avanti, può essere che il bambino abbia iniziato a mangiare di più e peggio rispetto al solito? Abbia diminuito la propria attività fisica? In entrambi i casi, questo cambiamento può essere il segnale di uno stato di sofferenza a livello emotivo e psicologico?
Quindi, il primo messaggio importante da trasmettere è questo: il percentile di crescita deve avere una sua coerenza negli anni. Tale percentile non definisce bambini grassi o magri, ma è un indicatore della sua crescita. Un cambiamento repentino e inaspettato del percentile deve richiedere l’attenzione dei genitori e del pediatra.
Bambini a dieta
Quando sui social parlo dell’inutilità di mettere a dieta i bambini a volte mi viene chiesto: “Ma quando il bambino ha effettivamente bisogno di perdere peso, cosa si fa? Non è pericoloso per la sua salute?”.
Questa domanda apre a diversi tipi di riflessione.
In primo luogo, bisogna capire cosa si intende per “bambino che ha effettivamente bisogno di perdere peso”: in base a quale parametro si fa questa affermazione?
Ha senso (forse) nel momento in cui ci sia stato un repentino e non fisiologico scatto in avanti del percentile.
Non ha senso invece se ci si riferisce a un calcolo del BMI (indicatore già pressoché inutile nell’adulto, ma completamente senza senso nel bambino), o se deriva da aspettative personali/genitoriali (quante mamme hanno chiesto un mio consiglio dicendomi: “è grassottell*, deve perdere qualche kg, altrimenti chissà in adolescenza come starà male!”: queste sono considerazioni soggettive, derivate da preoccupazioni su cui probabilmente si riflette un vissuto personale problematico).
Ci si deve anche chiedere che cosa voglia dire “avere un peso pericoloso per la salute”.
Sicuramente ci sono moltissimi dati a disposizione che fanno chiaramente capire che il sovrappeso e l’obesità infantili sono un fattore di rischio per una pletora di problemi tanto fisici quanto psicologici, che si protraggono fino all’età adulta. Senza voler togliere credibilità a questi dati e senza volerli mettere in discussione, la domanda è: la dieta dimagrante è davvero la soluzione?
Gli effetti collaterali delle diete in età infantile esistono, e non sono da trascurare – anche perché di fatto rendono vani gli eventuali benefici raggiunti dal dimagrimento, o rendono vano il dimagrimento stesso perché predispongono a rimettere tutto il peso perso.
Effetti collaterali della dieta
I bambini “messi a dieta” sono a più alto rischio di:
– Sviluppare un rapporto disfunzionale con il cibo (DCA conclamato o borderline)
– Sviluppare un rapporto disfunzionale con il proprio corpo
– Avere bassa autostima e autoefficacia
– Fare fatica ad entrare in ascolto con i bisogni del proprio corpo (fame fisiologica, fame emotiva, sazietà…)
– Fare fatica a riconoscere, definire e vivere le proprie emozioni
– Incontrare difficoltà relazionali con i pari
Inoltre, tanto nei bambini quanto negli adulti, il concreto problema delle diete di dimagrimento è uno su tutti: in oltre l’80% dei casi, la dieta non permette di avere un mantenimento sul lungo termine del peso perso. Di fatto, non solo è pericolosa, ma con buona certezza anche inutile: con tutta probabilità sarà solo la prima di tante diete di dimagrimento intraprese per tutto l’arco della vita.
Scenario della dieta di dimagrimento
Quando si mettono i bambini a dieta, cosa ha tutta la probabilità di accadere?
I genitori si accorgono che il bambino ha bisogno di perdere peso (su propria suggestione o su indicazione del pediatra). Si inizia la dieta di dimagrimento, stilata da un professionista o andando “a braccio” sulla base di conoscenze alimentari individuali. Il bambino è sicuramente consapevole di dover mangiare diversamente rispetto a prima: pian piano, andrà a formarsi in lui l’idea che il proprio corpo è inadeguato, e per farlo diventare conforme deve cambiare alimentazione, rinunciando a tutta una serie di abitudini gradite e cibi che gli piacciono.
Riuscite a immaginare le conseguenze sul lungo termine di questo germoglio di idea?
Il bambino assocerà sempre di più la dieta a concetti come volontà, bellezza, conformità, rigore, bravura. La non-dieta sarà debolezza, inadeguatezza, rimproveri. Il cibo “buono”, che dà belle sensazioni, diventa peccaminoso, vietato, contingentato.
A livelli più o meno intensi e con conseguenze più o meno profonde, è innegabile che mettere un bambino a dieta porti a tutto questo.
E allora che si fa?
Ribadisco un concetto importante: l’idea che un bambino “debba” dimagrire è sbagliata. E ad essere sbagliato non è il concetto in sé, quanto il modo in cui viene perseguito il dimagrimento, il modo in cui si riversano sul bambino preconcetti alimentari e stigma del peso, il modo in cui lo si fa sentire sbagliato, il modo in cui si cerchi di agire direttamente su “la dieta” senza troppo interrogarsi del *perché* il bambino sia aumentato di peso.
Quando il bambino salta improvvisamente di percentile, e visivamente ha più grasso rispetto a prima, fermiamoci. Analizziamo. Osserviamo. Interroghiamoci. Cosa è successo?
Gli scenari possono essere diversissimi. Provo a citarvene alcuni, i più comuni:
– Il bambino inizia ad avere fisiologicamente più fame in relazione alla propria crescita, ma non soddisfa questa fame con porzioni aumentate ai pasti, bensì inizia a piluccare più frequentemente fuori pasto, consumando spesso snack ricchi di zuccheri, grassi industriali e calorie.
– Agli occhi dei genitori, il bambino non ha cambiato alcuna abitudine alimentare: sta forse mangiando di nascosto? Cosa significa questa omertà?
– Al bambino vengono offerti spesso alimenti di conforto, che ovviamente lui non ha i parametri di valutare in altro modo se non come “buoni al gusto”, e li mangia volentieri; chi offre questi alimenti, e perché? Si vuole colmare la noia? Un vuoto affettivo? Si usa il cibo come forma di promessa o ricatto, o per tacere i capricci?
Per darvi un paragone, mettere il bambino “a dieta” significa cercare di arginare un fiume una volta che la piena è già avvenuta e che l’acqua continua a fuoriuscire dagli argini.
Cercare di individuare le cause profonde e remote dell’aumento di peso, e agire su di esse, significa intervenire a monte, rimuovendo o modulando le cause che hanno portato alla piena del fiume.
Il lavoro spesso deve essere sinergico: genitori, educatori e almeno un professionista di riferimento; a seconda del caso, potrebbe essere un dietista/nutrizionista non prescrittivo esperto di alimentazione infantile, oppure uno psicologo dell’infanzia con una formazione in mindful eating, oppure uno psicomotricista.
È molto probabile che il percorso preveda un cambiamento delle abitudini alimentari: ma non significa “mettere a dieta” il bambino, focalizzandosi sul calo ponderale!
Cambiare le abitudini significa:
– Sincerarsi che il bambino copra il proprio fabbisogno alimentare con pasti completi e sani
– Aiutare il bambino a distinguere le emozioni (paura, rabbia, tristezza, gioia, disgusto) dalla fame
– Educare il bambino ad ascoltare i bisogni del proprio corpo, non solo in termini di fame (di diverso tipo) e sazietà, ma anche di bisogno di movimento, contatto con la natura o con spazi aperti
– In caso di selettività alimentare, coinvolgere il bambino in cucina (cosa che sarebbe auspicabile in ogni caso: “mettere le mani in pasta” è sempre una buona idea per responsabilizzare i bambini e farli sentire protagonisti)
– Educare al gusto
– Fornire informazioni di educazione alimentare compatibili all’età e alla capacità di comprensione del bambino
Questo immane percorso deve necessariamente essere accompagnato da altri due obiettivi imprescindibili:
– Il focus sui genitori. I genitori devono essere aiutati a capire che tipo di alimentazione può essere definita sana per il bambino; devono comprendere quali preconcetti sono infondati e quali sbagli vengono commessi; devono analizzare le proprie capacità di comunicazione verbale e non verbale (ossia, cosa trasmettono al bambino mentre lui mangia o chiede cibo?). Di nuovo, come in tanti altri aspetti dell’educazione infantile, il bambino può cambiare solo se anche i genitori cambiano: e non mi sto riferendo a un modo diverso di fare la spesa o di cucinare…!
– Il focus sul proprio corpo. Il bambino deve prendere consapevolezza del modo in cui vive il proprio corpo: c’è vergogna, disagio? C’è riconoscimento? Vi segnalo gli spunti del blog della dott.ssa Serena Neri (qui), tecnico della riabilitazione psichiatrica che si occupa anche di DCA infantili e di tutto quello che vi ruota intorno.
Ma la dieta?
Ma la dieta.
Mala dieta!
Niente dieta.
La dieta è comoda, facile. Illusoria, inutile.
Per aiutare un bambino, la dieta non serve.
(e nemmeno all’adulto, direi, ma di questo parliamo la prossima volta, vi va?)