Quando ero piccola odiavo il pesce: non me lo si poteva proporre in nessun modo, né in forno né fritto né con la pasta. Essere nata e vissuta in provincia di Bergamo e aver frequentato molto poco le località di mare non mi è stato d’aiuto nel diventare un’esperta di pesce: dopo i 18 anni ho cominciato ad ordinarlo volentieri al ristorante, senza tuttavia riuscire a distinguere un prodotto d’eccellenza da uno di scarsa qualità. E’ stato solo nell’ultimo paio d’anni che posso dire di essermi fatta una cultura in merito. Se prima per me mangiare pesce significava ordinare solo tre o quattro specie ittiche (branzino, tonno, salmone e spada), con il tempo ho ampliato le mie vedute: coda di rospo, ombrina, ricciola, triglie, rombo, diversi tipi di crostacei e “pesce povero” quali acciughe, sarde, pesce sciabola e sgombri, senza disdegnare il pesce di acqua dolce come lavarello, trota e luccio.
Ho imparato a capire anche quali ristoratori puntano sulla qualità e quali invece tendono ad essere più furbi: il pesce è una materia prima che non necessita di molti condimenti quando è di prima scelta; abbinare il pesce a salse molto sapide, condirlo eccessivamente e presentarlo accompagnato a diversi ingredienti è un suicidio per il ristoratore che offre buone materie prime, ma è un abile stratagemma per chi usa pesce di seconda o terza categoria. Se un ristoratore offre spaghetti con crostacei, panna, uova e pancetta di certo non vuole esaltare la freschezza dei suoi gamberi (e credetemi che è un piatto che ho visto recentemente proposto in un ristorante “specialità pesce” di Padova).
Come sapete, sono interessata alla qualità merceologica allo stesso livello della qualità nutrizionale: trovo poco sensato mettere nel piatto del cibo se lo si vede solo come un insieme di macro e micro-nutrienti. Non mangerò mai del tonno in scatola perché “contiene proteine” (sebbene l’abbia fatto in passato), così come non compro insalata confezionata o cibo confezionato. Credo che per mangiare bene sia necessario andare oltre le mere informazioni nutrizionali (e soprattutto oltre il concetto di calorie), e chiedersi: è cibo fresco? E’ stato trattato? Dove è stato allevato/pescato/coltivato?
Cerco sempre di avere il maggior numero di informazioni possibile riguardo quello che compro: fino a poco tempo fa, però, avevo trascurato il pesce. Complice qualche domanda che mi è stata posta da alcuni pazienti, e complici alcuni servizi che ho visto in televisione, ho deciso di provare a contattare la sede centrale a cui fa riferimento la mia pescheria di fiducia per vedere se fosse possibile organizzare un’intervista da condividere anche con voi lettori. Matteo Cacciolo, responsabile area dettaglio dell’Orobica Pesca S.p.A., è stato subito disponibile a fissare un appuntamento, e pochi giorni fa lui e Fabio Rauzzino, responsabile del sistema qualità, hanno dedicato un’intera mattina a rispondere a tutte le mie domande, mostrandomi anche l’ingrosso dove confluisce il pesce fresco che poi viene smistato alle pescherie di proprietà e ai ristoranti. Il materiale da presentarvi è molto, per cui ho deciso di suddividerlo in almeno due o tre articoli che presenterò nelle prossime settimane: parleremo di pesce d’allevamento e pesce selvaggio, metodi di pesca, tipologie di pesce, inquinanti e crescita microbica, tutti fattori che concorrono a determinare la qualità del pesce.
La “mia” pescheria si trova a Treviglio ed è una delle 5 di Orobica Pesca S.p.A., un’azienda nata nel 1965 con l’ambizioso progetto di portare il pesce a Bergamo. “Passione, dedizione, impegno”: sono le parole d’ordine del Team che la compone, e la guida, e che, unita ad una attiva collaborazione con gli enti locali e ad un’etica professionale, provata da tanti anni di presenza sul mercato, sono le premesse per le scelte ed il successo di questa azienda. Orobica Pesca non si limita a vendere il pesce, ma offre un servizio completo al cliente, che si tratti di un professionista o di un privato: l’assortimento ittico dei negozi è ammirevole, e gli addetti al banco sono sempre disponibili a offrire consigli per la cottura del pesce (oltre che a pulirlo e sfilettarlo, cosa non da poco per una come me che rischierebbe di buttar via l’80% di quello che ha comprato!).
Come Fabio ha tenuto a precisare, l’Orobica Pesca si avvale, da quasi 50 anni, di fornitori selezionati in tutto il Mediterraneo (e non) per avere sempre pesce fresco di eccellente qualità: dal momento della cattura del pesce a quello in cui arriva sul banco della pescheria passano al massimo 24 ore.
Grazie all’intervista ho scoperto quali e quanti accorgimenti l’Orobica Pesca riservi ai propri clienti, e ho capito da quali aspetti si possa intuire la trasparenza e la professionalità di una pescheria. Ad esempio, per legge è obbligatorio esporre nella vetrina del pesce pescato un’etichetta che ne indichi il nome commerciale, il metodo di cattura e la relativa zona di cattura. Un operatore commerciale, nel caso in cui il pesce sia pescato, può decidere di scrivere il numero corrispondente alla zona FAO ed esporre poi un mappamondo che identifichi le correlazioni numero-zona (ciascun numero delimita una porzione di mare o oceano ben definita), oppure può specificare il mare di provenienza. L’Orobica Pesca fa di più: non si limita a dire se un pesce è stato pescato nel Mediterraneo, ma ci indica anche se proviene dal Tirreno, dall’Adriatico e dallo Ionio. “Ovviamente specificare la zona di cattura non dà garanzie certe circa il luogo in cui il pesce è vissuto” specifica Fabio, ma è abbastanza logico: i banchi di pesce si muovono, quindi non è detto che un pesce pescato a Genova non si trovasse, qualche settimana prima, in Spagna o in Sardegna. E’ comunque un’informazione utile da sapere: dire che un pesce è Mediterraneo non significa automaticamente che sia italiano, dal momento che il nostro mare bagna anche le coste di paesi africani (Algeria, Marocco, Libia…), della Grecia, della Croazia, della Turchia… Ad ogni modo, non è detto che un pesce italiano sia migliore di un pesce turco o greco: la qualità di un pesce dipende da diversi fattori, interni quali cibo, luce, qualità dell’acqua, temperatura e relativa salinità, ed esterni quali ad esempio il metodo con cui è stato pescato e l’attenzione con cui viene conservato. Parimenti, non è possibile decretare aprioristicamente se un pesce mediterraneo sia migliore di uno atlantico: indubbiamente un branzino del nostro mare ha un aspetto più accattivante di quello dell’oceano, ma dal punto di vista nutrizionale sono pressoché identici.
Siete curiosi di saperne di più sul pesce? Settimana prossima vi aspetta il primo articolo nel quale parlerò di pesce pescato e pesce allevato, e del perché spesso per una stessa categoria di pesce ci possano essere prezzi notevolmente differenti: avrete tutte (o quasi) le informazioni per scegliere pesce di qualità!
Ringrazio Fabio e Matteo dell’Orobica Pesca S.p.A. per aver risposto a tutte le mie domande e per il tempo che hanno dedicato a me (e a voi).
Orobica Pesca – sito internet – mail
6 Comments
interessante articolo…io sono una mangiatrice di pesce ma a casa!
di solito mangio gamberetti,persico,san pietro,polipo,salmone,calamari,seppie…tutto cio’ che nn ha lische perchè ho la fobia!lo faccio sempre al forno o sfumato in padella con un po’ di vino e spezie,sono ok? baci
Va benissimo, ma penso che scoprirai molto di più nel prossimi articoli 😉
Sono qui sorniona che attendo i prossimi articoli mia cara 🙂
Eheh! Arriveranno belle informazioni!
ciao arianna all iperpan ho trovato il salmone selvaggio affumicato canadese redking dell azienda riunione, non ha zucchero, pensi sia ottimo giusto. una domanda quando dici di scartare il salmone norvegese perche piu inquinato, ti riferisci anche al salmone selvaggio norvegese giusto, e non solo a quello norvegese di allevamento ipotizzo, o sbaglio.
Non conosco il prodotto citato, mi spiace, ma se è selvaggio dovrebbe andare bene.
Dubito invece che esista salmone norvegese selvaggio…