Se vi chiedessi: “Quanto ti piaci esteticamente? Che voto ti dai?”, che cosa rispondereste?
Scommetto che pochi di voi, in una scala da 1 a 10, si assegnerebbero 10 subito, senza remore: e non per modestia! Quanto piuttosto perché c’è sempre qualche difettino su cui si vorrebbe lavorare.
E se vi chiedessi: “Qual è la parte di te che meno ti piace, che cambieresti seduta stante?”, probabilmente molti di voi indicherebbero il proprio peso corporeo, o una parte del proprio corpo che è percepita come dimensionalmente grossa, ingombrante, eccessiva.
Ma se vi chiedessi: “In relazione a che cosa non ti piaci?”, forse la risposta non sarebbe così immediata.
Vi siete mai soffermati a pensare da che cosa dipende la percezione estetica del nostro corpo, e di conseguenza quali sono i condizionamenti in base ai quali vorremmo cambiare qualcosa di noi?
L’immagine corporea è definita come “la visione del nostro corpo che si forma nella nostra mente”: è un costrutto complesso e stratificato, che, in Psicologia, viene suddiviso in due dimensioni: la parte percettiva e quella attitudinale.
* Immagine corporea percettiva: è l’insieme del giudizio relativo alla dimensione corporea, alla forma fisica e al peso.
* Immagine corporea attitudinale: coinvolge pensieri, sensazioni e comportamenti relativi al corpo.
L’immagine corporea inizia a formarsi fin dalla prima infanzia: una fase cruciale, al punto che diversi studi hanno dimostrato che il modo in cui il bambino struttura la propria immagine corporea durante i primi 10 anni di vita è determinante nel modo in cui si percepirà in adolescenza, con ricadute nel comportamento sociale, nell’autostima e nel senso di autoefficacia. Provate a pensare alle parti di voi che avete cominciato a percepire come inadatte, e a viverle con vergogna: vi ricordate più o meno quando è nata l’insoddisfazione corporea? E soprattutto, vi ricordate in base a che cosa avete cominciato a giudicarvi?
La domanda non è posta a caso: l’immagine corporea non è innata. È un costrutto: si forma man mano che facciamo esperienza del mondo esterno a noi, ed è fortemente influenzata da fattori che prescindono la nostra percezione corporea.
Mi spiego meglio: chiudete gli occhi e toccatevi una gamba, la pancia, le braccia. Di per sé, direste che è una sensazione spiacevole? Difficile dirlo, vero? Se ho indicato parti di voi che ritenete “grasse, abbondanti, eccessive”, il contatto fisico potrebbe suscitarvi vergogna, disagio, perché vi rimanda ad un’immagine corporea percepita come ingombrante. Eppure, se non ci fosse l’immagine corporea, quella sensazione fisica potrebbe forse farvi piacere: potrebbe essere così? Ve lo siete mai chiesti?
Difficile astrarre la percezione tattile dalla proiezione mentale della vostra immagine corporea. Ma la riflessione può iniziare a farvi capire dove voglio andare a parare: l’immagine corporea si forma derivando in modo pressoché esclusivo da fattori esterni a noi.
L’immagine corporea è influenzata dal modello estetico prevalente nella società in cui viviamo, dal rinforzo positivo o negativo dei commenti altrui, dal confronto tra pari, dalla possibilità di prendersi cura di sé e del proprio aspetto estetico.
Quello su cui vorrei focalizzarmi in questo articolo è l’importanza di creare un ambiente favorevole allo sviluppo di una buona immagine corporea nei bambini: sappiamo molto bene che l’insoddisfazione corporea può portare enormi disagi, fino al punto da limitare la vita sociale, affettiva e relazionale, aumentare il rischio di sviluppare DCA e comportamenti disfunzionali. È solo con la consapevolezza che le alcune variabili negative della percezione corporea si radicano fin da bambini che riusciremo, con le nuove generazioni, a traghettare verso l’inclusività estetica.
Una persona che arriva in adolescenza o in età adulta con un elevato grado di insoddisfazione corporea tendenzialmente lavora per migliorarsi: si cura di più, sceglie con più attenzione i vestiti, cerca un modello di riferimento da poter imitare, lavora su quelli che percepisce come difetti. Eppure tutto questo potrebbe lasciare comunque un senso di insoddisfazione e di incompiutezza: il problema è che prima di *costruire* un’immagine corporea positiva, bisogna *decostruire* quella che si è formata fin dall’infanzia. Un’impresa titanica, soprattutto quando la società nella quale ci si trova immersi non fa altro che rimarcare il proprio senso di inadeguatezza.
Eppure, conoscendo le variabili che formano l’immagine corporea, forse qualcosa è possibile fare.
Fare, e prevenire.
Gli studi che hanno indagato l’insoddisfazione corporea nei bambini hanno evidenziato che, in ordine di importanza, essa è formata in base ai seguenti fattori:
– Situazione di sovrappeso e obesità (in particolare, i bambini fino ai 5 anni sovrappeso non sembrano percepirsi diversi rispetto ai coetanei; già dai 7-8 anni la situazione cambia, e i bambini interiorizzano una diversità che avvertono come disagevole e vergognosa).
– Esposizione diretta a commenti estetici negativi, in particolare nell’ambito familiare ed educativo (vale a dire, commenti spiacevoli come “sei grass*”, “devi mangiare meno”, “hai la pancia”…);
– Esposizione indiretta a commenti estetici negativi, in particolare derivata dai genitori (ossia, quando i genitori si lamentano del proprio corpo in presenza dei figli);
– Appartenenza a una minoranza etnica;
– Esposizione a mass media e social media che veicolino l’ideale di magrezza.
Alla luce di queste evidenze, come possiamo proteggere i bambini dallo sviluppo di una marcata insoddisfazione estetica, e contemporaneamente educarli alla diversità e all’inclusività?
Vi lascio qualche spunto pratico, spero utile:
– Mai, mai, mai fare commenti negativi del corpo dei bambini. È irrispettoso, maleducato, diseducativo e stigmatizzante.
– Per quanto parlare di dieta e di forma fisica sia diventato comunque quanto parlare del tempo che fa, ricordiamoci che questi discorsi non sono mai percepiti in modo neutro: i bambini hanno un certo grado di assorbimento e di interiorizzazione. In loro presenza sarebbe opportuno non parlare della propria insoddisfazione estetica (“devo rimettermi in movimento”, “sono a dieta rigida”, “guarda che gambe, non mi metto i pantaloncini!”…) e, fosse anche solo per educazione, non dovremmo nemmeno fare commenti negativi rispetto al corpo di terze persone (“si è proprio lasciat* andare, è diventato molto grass*”, “non so perché si vesta in quel modo, non se lo può permettere”).
– Educare alla diversità dei corpi: viviamo in una società che promuove un certo ideale estetico, il che significa che in televisione, sui social media, sulle riviste il 90% delle persone che compaiono sono caucasiche, magre e/o muscolose, alte, con una certa simmetria del viso, con una forma prevalente di naso e bocca (e via dicendo: l’ideale estetico della nostra società lo conosciamo tutti, giusto?). Noi stessi andremmo allenati alla diversità, non solo i bambini: più ci “chiudiamo” su queste immagini, più riteniamo che *quella* sia la normalità. E succede più spesso di quanto accada: che serie TV seguiamo? Cosa ci appare in bacheca quando scrolliamo i social? Che tipo di modelle/modelli scelgono i brand di vestiti che acquistiamo maggiormente? Quando siamo in treno, in un museo, in mezza alla folla, da quali persone viene catturato il nostro sguardo? Allenarsi alla diversità significa rendersi conto che l’80% della popolazione è diversa da quel tipo di ideale estetico: per i bambini questo significa soprattutto potersi riconoscere in valori e ideali diversi. Vi faccio un esempio pratico: se la loro esperienza di corpi grassi è limitata ai bulli e ai cattivi dei cartoni animati, che idea ne possono derivare? I grassi sono quelli arroganti, pigri, ingordi, bulli o bullizzati; quelli buffi, simpatici, maldestri, goffi – e via dicendo. Nel loro mondo esperienziale (appunto: cartoni animati, libri, serie TV), quanti corpi grassi sono invece associati a valori positivi, o anche solo alla semplice normalità quotidiana? Ecco quindi che diventa imprescindibile impegnarsi a fare in modo che fin da piccoli i bambini possano conoscere la normalità intrinseca a ciascun corpo, qualsiasi sia la sua dimensione, il suo peso, il suo colore della pelle, il suo modo di vestirsi.
Se siete genitori o educatori interessati a educare i bambini e le bambine nella costruzione positiva del modo in cui vanno definendo la propria immagine corporea, vi invito a iscrivervi alla newsletter “C’era una forma”, ideata dalle Dott.sse Serena Neri e Francesca Tamponi; entrambe hanno una formazione come Tecniche della riabilitazione psichiatrica e nel tempo hanno focalizzato la propria attenzione proprio sull’immagine corporea. Potete iscrivervi alla NL dal sito della Dott.ssa Neri, che nello specifico si è perfezionata nel percorso terapeutico di affiancamento a bambini e ragazzi; vi invito anche a seguire il lavoro della Dott.ssa Francesca Tamponi, che segue invece percorsi per l’adulto.
Bibliografia
– CM Neves, FM Cipriani, JFF Meireles, FF da Rocha Morgado, ME Caputo Ferreira – Body image in childhoos: an integrative literature review – Rev Paul PEdiatr 2017 Jul-Sep; 35(3): 331-339
– P Jiménez Flores, A Jiménez Cruz, M Bacardi Gascòn – Body-image dissatisfaction in children and adolescents: a systematic review – Nutr Hosp 2017 Mar 30;34 (2):479-489