Eccoci di nuovo a parlare di latte: dopo aver affrontato il dibattuto argomento del latte A1, elencato i problemi creati dalla caseina in soggetti sensibili e dopo aver analizzato perché sia errato pensare che solo i latticini siano fonte di calcio biodisponibile, oggi parlerò della qualità organolettica del latte e sulle scelte migliori verso cui indirizzarci.

Dagli articoli precedenti è emerso un importante interrogativo: il latte, in definitiva, fa bene o fa male? La risposta è una sola, e se volete anche piuttosto capziosa: dipende dal latte che prendiamo in considerazione.

I trattamenti del latte fresco
Il latte, prima di essere commercializzato, viene sottoposto ad alcuni processi industriali volti a uniformarne le caratteristiche nutrizionali e organolettiche: in realtà il latte dovrebbe avere un gusto differente a seconda della stagione e in funzione della diversa alimentazione delle mucche; oltre al gusto, anche il contenuto di macronutrienti (proteine, grassi e carboidrati) è suscettibile di variazioni. Invece il latte in commercio contiene percentuali sempre costanti di nutrienti, e ha lo stesso gusto durante tutto l’anno: perché?
Prima di essere imbottigliato il latte viene sottoposto a scrematura e titolazione del grasso: in pratica il grasso viene prima tolto e poi rimesso per uniformare tutto il latte intero al 3,6% di lipidi e tutto quello parzialmente scremato all’1,5-1,8%. Successivamente viene sottoposto ad omogeneizzazione, un processo che permette di creare un’emulsione stabile liquida come se fosse acqua: avete mai visto il latte appena munto o crudo? In superficie si forma una patina di grasso con cui un tempo si faceva il burro, e il liquido non è perfettamente uniforme; ciò non accade con il latte comunemente in commercio grazie all’omogeneizzazione. Se da una parte tale pratica permette una conservazione più duratura, dall’altra aumenta la permeabilità intestinale di alcune molecole che possono creare fastidio (formazione di gas, dolore addominale, episodi di dissenteria, intolleranza al lattosio).
Infine, prima di essere trasportato alle centrali del latte, il nostro liquido bianco ora perfettamente standardizzato viene pastorizzato: viene trattato termicamente per aumentare la conservabilità fino a 6 giorni. La pastorizzazione permette di diminuire la carica microbica del latte, ma determina modificazioni chimiche nei nutrienti che li rendono meno biodisponibili, in particolare per quanto riguarda le vitamine termolabili e alcuni minerali.

Latte UHT, delattosato e alta qualità
Oltre alla pastorizzazione il latte può subire un trattamento termico più invasivo: l’ultra high temperature o trattamento UHT, che aumenta la conservabilità fino a 3-6 mesi anche fuori dal frigorifero. Mentre la pastorizzazione determina una perdita esigua (ma pur sempre presente) di vitamine e minerali, nel latte UHT tale perdita è ben più consistente. Stessa cosa dicasi del latte delattosato: questo prodotto viene trattato con enzimi che scindono il lattosio per renderlo digeribile anche agli intolleranti, ma viene anche sottoposto ad alte temperature che ne compromettono il profilo nutrizionale. Il latte appena munto dura 1-2 giorni: è un alimento “vivo”, ricco di vitamine liposolubili, minerali e oligoelementi. Il latte a lunga conservazione non è ha che il pallido ricordo del prodotto di cui conserva il nome: non solo le componenti nutrizionali, ma anche quelle gustative risultano intaccate. Ne sconsiglio l’acquisto.
Il latte contrassegnato dal marchio di alta qualità, invece, è qualitativamente migliore rispetto al classico “latte fresco”: dire che un latte è di alta qualità non è una sponsorizzazione da parte dell’azienda, ma si fa riferimento ad una categoria merceologica che risponde a rigidi dettami di legge. I controlli vanno dalla selezione delle razze bovine al trattamento termico, passando per norme igienico-sanitarie più rigide, tenore proteico maggiore (con maggior contenuto di sieroproteine), raccolta e distribuzione più controllate. Tra il latte in commercio, quello ad alta qualità è quindi il migliore.

Il latte biologico e quello crudo
Il latte biologico non vanta proprietà nutritive superiori rispetto a quello non bio, ma le condizioni di vita delle mucche sono ben diverse: hanno maggiori spazi vitali e migliore alimentazione; inoltre il biologico seleziona razze bovine autoctone, dando maggior peso al legame tra cibo e territorio. Per chi volesse approfondire consiglio quest’articolo. Costa leggermente più rispetto al latte tradizionale, ma controlla più scrupolosamente tutto ciò che sta attorno all’alimento in sé e per sé.

Il latte crudo è un prodotto che si è diffuso sempre più negli ultimi anni: moltissimi paesi e città hanno ormai distributori automatici costantemente riforniti di latte a km 0. Su quest’argomento ci sarebbe parecchio da scrivere: si accusa spesso il latte crudo di essere terreno di crescita per batteri patogeni tra cui il temutissimo Escherichia coli. La pastorizzazione, trattamento che abbassa la carica microbica, è stata scoperta nel 1860: prima il latte veniva consumato crudo, o scaldato sul normale fornello di casa, e i casi di mortalità per contaminazione batterica erano davvero bassi. Escherichia coli, infatti, prolifica solo a determinati valori di pH del latte, valori suscettibili di variazione in base alle abitudini alimentari della mucca: se questa è ben nutrita, se le viene permesso di mangiare ciò che per lei è naturale, è ben difficile che il suo latte venga contaminato.

Yogurt e prodotti fermentati
Tra i prodotti fermentati i più conosciuti e consumati sono yogurt e kefir, ma ne esistono molti altri a seconda della zona geografica in cui ci troviamo. Si tratta di derivati del latte particolarmente utili alla nostra salute: l’aggiunta di ceppi batterici specifici conferisce a questi alimenti una serie di vantaggi per la flora batterica intestinale che superano le eventuali problematiche del latte. Questi batteri sono infatti ben diversi da quelli patogeni: aumentando l’acidità dell’intestino crasso riescono a inibire la crescita dei patogeni e a promuovere la diffusione di una flora positiva (funzione probiotica e prebiotica). Non solo: i batteri fermentative migliorano l’assorbimento di alcuni minerali, stimolano il sistema immunitario a produrre sostanze antibiotiche utili a contrastare le contaminazioni da funghi (come ad esempio la Candida), inducono la produzione a livello intestinale di vitamina B e vitamina K, sono utili in caso di moltissime sindromi a localizzazione intestinale (diarrea, stitichezza, infiammazione del colon o dell’intestino, formazione di gas, cattiva digestione). Ultimo vantaggio ma non meno importante: la fermentazione permette di scindere lo zucchero del latte (lattosio) che in molti crea problema di intolleranza.

Altri derivati dal latte
Per come la penso io, i formaggi andrebbero evitati: tanto quelli freschi quanto quelli stagionati contengono un quantitativo di grassi, in particolar modo saturi, che è francamente inutile nell’attuale dieta tipica occidentale. Sono uno sfizio per il palato, non un alimento che deve essere presente con costanza nella nostra alimentazione.
Inoltre i formaggi stagionati sono ricchi di tiramina; si tratta di un aminoacido con effetti negativi sulla salute: causa forte emicrania, irritabilità, fastidio alla luce (fotofobia) e aumento della pressione sanguigna. Tra gli stagionati, forse l’unico che possa vantare pregi dal punto di vista salutistico è il Parmigiano-Reggiano: maggiore è la sua stagionatura maggiormente concentrati e facilmente assimilabili risulteranno i suoi principi nutritivi. Al contrario di altri formaggi, nel Parmigiano sono contenuti batteri prebiotici che risultano utili a ristabilire l’equilibrio della flora intestinale; è inoltre ricco di aminoacidi liberi e minerali biodisponibili, che ne fanno un utile alleato per sportivi, degenti e inappetenti.
Consiglio di provare e preferire i formaggi prodotti da latte crudo: hanno una stagionatura molto breve di 30-60 giorni e conservano intatte tutte le proprietà del latte appena munto. Non necessitano l’aggiunta di starter microbici come gli altri formaggi, in quanto il latte non trattato termicamente già li contiene in modo naturale: si tratta di prodotti più rustici.
Un discorso a parte andrebbe infine fatto per la ricotta, che molti non considerano un vero e proprio formaggio: viene infatti prodotta da sieroproteine, che sono la parte proteica che viene scartata nella produzione degli altri formaggi. La ricotta ha il vantaggio di non contenere caseina (di cui avevamo parlato qui): è quindi facilmente digeribile, e ha un tenore proteico di tutto rispetto dal momento che vanta un profilo aminoacidico di alto valore biologico e funzionale. Personalmente la amo con un cucchiaino di miele, uno di cacao amaro e uno di semi di lino: è un’ottima colazione spalmata su una fetta di pane di segale, oppure una merenda saziante e gustosa dopo l’attività sportiva.