Lo sappiamo: il mondo intero sta ingrassando. L’obesità è la nuova emergenza medica mondiale. Se si riuscisse a diminuire l’incidenza del sovrappeso si assisterebbe anche ad un calo di molte malattie: l’eccesso ponderale aumenta infatti il rischio di mortalità e di contrarre patologie quali diabete, ipertensione, complicazioni cardiovascolari e alcuni tipi di cancro.
Sappiamo tutti perché si ingrassa: si mangia di più e ci si muove di meno. Semplice e chiaro, senza fronzoli o giustificazioni di sorta. La domanda a cui risulta più difficile rispondere è un’altra: perché mangiamo di più? In questo articolo, e in altri che pubblicherò di tanto in tanto (li trovate sotto la categoria “Alimentazione sbagliata”), cercherò di approfondire alcuni aspetti di quest’intricato problema.

Cominciamo con il dire che dal secondo dopoguerra il cibo è diventato più facilmente disponibile. Sembra quasi di trovarci in una condizione di carestia imminente: gli ipermercati sono ben riforniti, le scorte sembrano illimitate; abbiamo bar sottocasa, macchinette che distribuiscono snack in ogni edificio, ogni occasione è buona per offrire qualcosa da sgranocchiare. Che il mondo complotti contro il nostro girovita? Però avere disponibilità di cibo non significa doverlo mangiare: passino le forzature di cortesia per le quali siamo costretti ad accettare la fetta di torta anche se siamo a dieta, ma non è di certo questo a fare la differenza quando non riusciamo più a chiudere i jeans in vita. Entrano in gioco innumerevoli altri fattori, che per sommi capi si possono classificare in due macrocategorie: da una parte tutti quelli riconducibili all’industria alimentare, dall’altra quelli ascrivibili alla sfera emotiva e personale. Ognuno di questi contribuisce in misura differente a creare una vera e propria “cibo-dipendenza”: non si mangia solo per golosità, o per trarre conforto dal cibo, o ancora perché è un espediente sociale di indubbio successo. Sempre di più si mangia in modo vorace e compulsivo. Che mangiare possa provocare gli stessi effetti derivati dal consumo di droghe o di nicotina non è una novità: diversi studi scientifici dimostrano che il cibo determini l’attivazione degli stessi meccanismi a livello cerebrale. La perdita di controllo nel mangiare non è più imputabile solo ad un discorso di volontà: si mangia compulsivamente perché, attivata la secrezione dopaminica, non si può più farne a meno. Anzi: si è indotti a desiderare sempre maggiori quantità di cibo. E’ per questo motivo che gli obesi continuano ad ingrassare: ciò che mangiano non è mai abbastanza per il loro cervello.
Detto questo, c’è da fare un’importante osservazione: non tutto il cibo crea dipendenza, altrimenti si sarebbe assistito a un’esplosione di obesità anche in altre epoche nelle quali vi era sufficiente benessere sociale.

E’ il cibo-spazzatura la vera droga: il junk-food prodotto dalle industrie e distribuito nei fast-food di tutto il mondo.

Esistono delle componenti ben identificabili che rendono il cibo industriale una dipendenza: una di queste è la palatabilità. Un cibo palatabile non è necessariamente buono: la palatabilità è la capacità di stimolare l’appetito. L’industria alimentare ha trovato il mix perfetto di tre ingredienti che, quando presenti contemporaneamente, creano una combinazione perfetta a stimolare l’appetito e, di conseguenza, a comprare maggiori quantitativi di quello snack/patatina/bibita/hamburger: si tratta della sinergia di zucchero, sale e grasso. E’ stato ampiamente dimostrato da neuroscienziati e psicologi che la loro unione è, si potrebbe dire, letale: la stimolazione a livello cerebrale è molto potente, e soprattutto il consumatore non si rende conto di star mangiando non per fame, ma per dipendenza. Le industrie e i fast-food creano abbinamenti sempre più ricercati per poter sfruttare pienamente le potenzialità di questa scoperta: lo zucchero è presente anche in preparazioni salate (comprese salse, piatti pronti, hamburger), il salato non manca nei dolci (non esiste etichetta nutrizionale che non riporti un certo quantitativo di sodio), e il grasso è onnipresente.
In teoria il rilascio di dopamina che il cibo-spazzatura crea dovrebbe avere un limite: dovrebbe esistere un quantitativo in cui il cervello “si abitua” al cibo, quindi non rilascia più dopamina e il cibo perde la sua capacità di determinare compulsione. Questo, appunto, solo a livello teorico: la stimolazione contemporanea creata da zucchero, sale e grasso fa sì che i livelli di dopamina non diminuiscano; i circuiti neuronali si alterano, e il cibo diventa droga.

Quanto appena esposto è uno dei motivi per cui molte persone non riescono a fare a meno di junk-food, pur sapendo che fa male e probabilmente spesso anche riconoscendo che “non è buono”, senza contare che mangiare compulsivamente porta a non gustare il cibo, che viene ingerito senza essere apprezzato. Non è più un piacere o un modo per placare la fame, bensì un mezzo per assecondare una dipendenza.

Un esempio pratico? Prendiamo un pasto non abbondante in un comune fast-food: hamburger, patatine piccole con ketchup, bibita piccola e yogurt con frutta. Niente maionese, doppio cheeseburger, crocchette fritte o gelato: un menu all’apparenza, se non proprio sano, almeno innocuo. Sono andata a calcolare l’apporto energetico che questo pasto fornisce: 800 kcal, con 10-12 g di grassi saturi, 70 g di zuccheri semplici (pari il limite giornaliero per un adulto) e ben 3.4 g di sale (al giorno non se ne dovrebbe consumare più di 5-6 g).
Lo stesso quantitativo calorico è fornito da un pasto completo secondo la dieta mediterranea: un piatto di pasta al ragù e parmigiano, un secondo piatto di carne o pesce con abbondante contorno di verdure e condimento d’olio extravergine, un fine pasto di frutta con una pallina di gelato. Le calorie sono le stesse, la ripartizione dei nutrienti no: 5 g di grassi saturi, 20 g di zuccheri semplici, 1-2 g di sale.
In quale dei due casi, terminato di mangiare, vi sentirete sazi? Dopo quale dei due pasti non sarete pienamente soddisfatti e ne vorreste di più?

Comprare pacchi formato famiglia di patatine con salsa, bibite, dolci di dubbia qualità, e andare con regolarità nei fast-food è veramente una libera scelta? Dal mio punto di vista, non del tutto: siamo liberi di scegliere, ma si tratta di una scelta molto più condizionata di quanto si potrebbe presumere.