Come promesso a inizio anno, ho cominciato a parlare di protocolli dietetici specifici per alcune patologie, come le MICI (patologie infiammatorie croniche intestinali), malattie autoimmuni, dermatiti, disequilibri endocrini di vario genere.
Abbiamo visto in questo articolo che inizialmente la dieta più efficace è quella ad eliminazione, che dovrà successivamente essere adattata a ciascuna persona sulla base dei suoi sintomi (e in relazione alla remissione degli stessi).
La dieta che dovrebbe essere seguita in seguito alla fase iniziale d’eliminazione deve comunque prevedere l’esclusione di glutine e caseine (nei prossimi articoli vi illustrerò perché), con limitazione di altre categorie di cibo in relazione alla propria specifica condizione.
In molti, me compresa, si trovano bene ad adottare una Paleodieta (come accennato qui), sebbene un’adesione al 100% non sia indispensabile per ogni singola casistica. Come vi dicevo, io non posso essere definita una purista della Paleo: dal momento che attualmente il mio ipotiroidismo è ben compensato, ho testato alcuni alimenti che posso introdurre settimanalmente senza che mi diano problemi. Ad esempio, piccole quantità di riso (va un po’ peggio con quinoa e grano saraceno, pur essendo anch’essi gluten-free) e lenticchie rosse.

Come avevo anticipato, la Paleodieta (con o senza concessioni) può essere difficile da accettare.
Per punti, cercherò di spiegarvi in parole semplici gli aspetti maggiormente controversi.

1. “E’ una dieta basata sulle proteine”. In realtà, non si tratta di una dieta iperproteica, o non necessariamente: se dovete anche dimagrire, lo sarà, ma vorrei ricordare che qualsiasi piano alimentare dimagrante deve prevedere una quota di proteine superiore al fabbisogno per poter dare un dimagrimento sano, e non un deperimento fisico.
Personalmente non mangio proteine ad ogni pasto: faccio spesso cene di sole verdure e grassi, perché mangiando proteine a colazione e pranzo, e bilanciando i pasti secondo le mie esigenze, spesso la sera ho poco appetito. Molte persone che seguono la Paleo in modo fluido, assecondando le richieste del proprio corpo, adottano 2-3 volte a settimana il digiuno intermittente: saltano uno dei tre pasti (in genere la colazione). Tornerò su quest’argomento più avanti. Ad ogni modo, più ci si addentra nell’argomento più ci si rende conto che la dieta Paleo è iperproteica solo quando non si ascolta quello che il corpo chiede. O quando si fa uno sport per ipertrofia muscolare, chiaramente.
Se non fosse necessario il dimagrimento, viene suggerito un apporto proteico abbastanza simile a quello della classica mediterranea, con un aumento dell’introito qualora si fosse sportivi.

2. “Basta che mangi prodotti animali a più non posso”. Non dovete mangiare qualsiasi tipo di proteine. La Paleodieta sottolinea l’importanza della naturalità degli alimenti: così come abolisce prodotti confezionati, suggerisce di evitare affettati e insaccati con conservanti, e vi esorta a non acquistare carne e pesce da allevamenti intensivi. Gli animali allevati all’aperto, con mangimi naturali, hanno una composizione proteica e lipidica ben diversa di quelli allevati al chiuso, in batteria, e con mangimi da insilati. Quello con cui loro vengono nutriti avrà un effetto sulla vostra salute, ricordatelo sempre.
In altre parole, se traducete la paleodieta mangiando tutti i giorni bresaola, petto di pollo, bistecche da supermercato e pesce surgelato non vi state facendo del bene, tutt’altro. Soprattutto se soffrite di qualche patologia che determina infiammazione cronica, non state facendo altro che esacerbare i vostri sintomi.

3. “Mangi troppa carne”. In nessun caso si può dire che paleodieta significhi mangiare tanta carne. In primo luogo, esistono altre fonti proteiche (pesce di ogni tipo, anche il più povero, anche i molluschi e crostacei; uova di ogni tipo, anche di quaglia, anatra, oca, salmone o altro pesce). In secondo luogo, come ho già detto, non dovete mangiare ‘tante’ proteine: se adottate la dieta a scopo terapeutico ricordate che è più importante quello che escludete (glutine e caseina in primis) che non quello che lasciate.

4. “Non devi mangiare carboidrati”. La paleodieta è tendenzialmente una dieta a basso contenuto di carboidrati (low-carb), ma non è senza carboidrati: soprattutto se soffrite di ipotiroidismo, fatica cronica o ipoinsulinemia, stringere eccessivamente sui carboidrati sarebbe deleterio, non vi aiuterebbe affatto. Stessa cosa dicasi se avete una costituzione da ectomorfi: alti, longilinei, arti lunghi, difficoltà a mettere peso.
Dovendo escludere i cereali, le tipologie di carboidrati permessi nella Paleodieta sono: patate (a meno che non debbano essere evitate le Solanacee per motivi infiammatori), patate dolci (batate o patate dolci a pasta bianca), qualsiasi tipo di tubero (tipo manioca, tapioca, pastinaca), verdura di ogni sorta, frutta di ogni sorta (da limitare se si dovesse perdere peso), castagne. A seconda della patologia e delle necessità individuali può essere usata frutta essiccata, ricchissima di zuccheri (fichi, prugne, albicocche, datteri…).
Come vi dicevo, non sempre è necessaria un’esclusione totale dei cereali senza glutine (riso, grano saraceno, miglio, quinoa e amaranto, meglio se non in forma di farine): va calibrato in ciascun soggetto, dopo un’iniziale fase di esclusione. Personalmente tollero bene il riso e l’amaranto, così-così grano saraceno e quinoa. Il miglio, non mi piace granché. 
Ho letto diverse testimonianze di uomini e donne con patologie autoimmuni che, dopo la solita esclusione totale iniziale, tollerano piccole quantità di glutine soprattutto da segale e avena, a volte anche da farro e orzo. Susan Jane White, di cui adoro il sito e il libro di ricette, è una di loro. Capite bene che in questi casi non si parla già più di Paleodieta, ma più giustamente e propriamente di “dieta per il proprio corpo”.

5. Ci dimentichiamo sempre dei grassi… Parliamone. La dieta per patologie autoimmuni, infiammatorie o endocrine, non è iperproteica, ma è grassa. 
Tantissime persone, loro malgrado vittime di mezzo secolo di dietetica grassofobica, dimenticano questo particolare fondamentale: limitano i grassi, e inevitabilmente abusano di proteine.
Sbagliano.
Così come ho sbagliato io inizialmente. La dieta usa liberamente fonti di grasso provenienti da olio extravergine d’oliva, avocado, olio di cocco extravergine. Spesso sono ben tollerati ghee (burro chiarificato indiano, senza lattosio né acqua né caseine) e frutta secca, magari senza pellicina o previo ammollo notturno per l’allontanamento degli antinutrienti.
In caso di patologie autoimmuni è consigliabile consumare 1-2 noci dell’Amazzonia al giorno, ricchissime di selenio, che aiuta ad abbassare gli immunocomplessi (anti-TPO e anti-TG).
Chiaramente, vanno completamente esclusi gli oli raffinati e industriali: di palma, colza, cotone, soia, mais, semi misti.
Altro appunto, che si ricollega a quanto scritto sopra circa il consumo di carne e prodotti animali. Sappiamo che uno dei problemi della carne attualmente in commercio è il grasso: nel grasso l’animale accumula tossine; ecco perché diventa pericoloso mangiare tagli grassi di carne. Non per il quantitativo di grassi in sé, ma per quello che il grasso si porta appresso. Chiaramente, un animale grassfed o razzolante (ossia, allevato completamente in modo naturale) non accumula tossine nel tuo tessuto adiposo, e quindi non è controindicato mangiarne tagli di carne un po’ più grassi. Anzi, mangiare anche la componente grassa ha almeno due vantaggi: in primo luogo ci sentiremo sazi prima (grazie al potere saziante dei grassi), quindi non avremo bisogno di porzioni generose e iperproteiche per sfamarci; in secondo luogo, non sprecheremo cibo: mangeremo tutto quello che abbiamo comprato, ammortizzando il costo della carne biologica.
Nutrizionalmente parlando, la carne magra non è altro che… proteine. Niente vitamine, niente antinfiammatori, niente minerali: solo muscolo. Gli “uomini delle caverne” cui si rifà la paleodieta buttavano il muscolo, e si concentravano su frattaglie e grasso: erano queste le cose veramente nutrienti. E di veri nutrienti ha bisogno chi adotta la paleodieta a scopo terapeutico. A patto che -ripeto- gli animali non siano da allevamento intensivo: in tal caso fate più che bene a scartare il grasso.

6. Per quanto possa sembrare controintuitivo, la paleodieta può essere definita “dieta integrale”, nel senso l’alimento viene consumato nella sua integralità. Anche in questo si distanzia dalle diete iperproteiche: preferisce tagli di carne meno morbidi e meno pregiati, frattaglie comprese (su questo, fatte poche eccezioni, io sono un po’ più schizzinosa). 
Molto usato da chi segue la Paleo è il brodo di ossa, di cui potete leggere qui. Ha effetti antinfiammatori e antimicrobici, ottimo in caso di disequilibrio intestinale. Io lo faccio almeno una volta al mese, congelandolo in cubetti di ghiaccio e bevendolo due o tre sere a settimana, a volte come cena in sé (se è un periodo in cui ho l’intestino in subbuglio, e spesso capita quando sono stressata), a volte accompagnandolo a della verdura. 
Brodo d’ossa rigorosamente non sgrassato!

7. “La dieta Paleo è costosa”. Questa è un’affermazione abbastanza veritiera, ma dipende dal tipo di alimento che stiamo prendendo in considerazione, e il modo di acquisto prescelto.
Le uova, anche quando biologiche o del contadino, hanno un costo marginale: al massimo 50 centesimi al pezzo per quelle del contadino, circa 0,30 centesimi per quelle biologiche confezionate.
Il pesce pescato non è costoso, basta saper scegliere: chiaramente se comprate solo tonno, spada, branzino e gamberi andate a spendere una bella cifra settimanale, e senza grossa qualità nutrizionale. Il pesce più umile e piccolo è anche quello meno costoso: alici, acciughe, sarde, suri, sgombri, piovra, pesce lama, cozze hanno prezzi che si aggirano sui 7-16 € al kg. Sono pesci che hanno vissuto in mare, non sono stati allevati e nutriti a farine, ed essendo di piccola taglia non hanno vissuto a sufficienza per accumulare sostanze potenzialmente tossiche dall’acqua di mare. Al contrario, i pesci grossi (e generalmente più costosi) sono più inquinati. 
Per curiosità ho guardato quanto potesse costare il nasello surgelato della Findus, filetti bianchissimi (sbiancati?) e allevati: 4,19 euro per 300 g, quindi 16,76 € al kg! Per un pesce che una volta cotto diventa metà come volume, non sa di nulla ed è stopposo… A voi la scelta. Io compro pesce in pescheria (l’Orobica Pesca ha il 10% di sconto sul pesce fresco il lunedì e il martedì), spesso lo faccio sfilettare e poi lo surgelo a casa, così da averlo per 2-3 settimane.
La carne bianca costa tanto solo se pretendete di mangiare solo petto di pollo. Io compro la carne bianca nel mio negozio di fiducia, il Bioscelta di Bergamo: tengono carne bianca dell’azienda San Bartolomeo; mi sono fatta mandare il listino prezzi e scelgo i tagli che costano meno: 5 € (al kg) per le ali di pollo e i fegatini, 10 € per la coscia, sovracoscia e il fusello di tacchino, 7,5 € per il busto di gallina, 11 € per il pollo in parti. Chiaramente, la fesa di tacchino costa molto di più (25 €), così come il petto di pollo (26 €): non mi interessa avere tagli supermagri, mi interessa avere cibo di sostanza. Anche in questo caso ho provato a controllare i prezzi del supermercato: circa 12 € al kg per il petto di pollo Amadori (allevato intensivamente!) e ben 21 € al kg per il petto di pollo affettato dell’Aequilibrium, pieno zeppo di sostanze chimiche!
La carne rossa costa obiettivamente di più rispetto a quella della macelleria: io acquisto carne grassfed, ossia allevata completamente all’aperto senza uso di mangimi; gli ordini di questa tipologia di carne sono di un minimo di 10 kg, che conservo poi in un congelatore a pozzetto. Per ora mi sono sempre rifornita presso l’azienda Biasia, ma presto mi arriverà l’ordine di carne razza Highland, di questa azienda di Bergamo. I costi oscillano: 150-200 € per 10 kg (15-20 € al kg). E’ molto, lo so. Ma di certo non mangio carne rossa tutti i giorni né tutte le settimane, quindi è un costo che affronto 2-3 volte l’anno (per una famiglia di 4 persone, più ospiti!).

Frutta e verdura biologiche hanno un costo superiore rispetto a quelle da agricoltura intensiva, ma anche in questo caso basta saper scegliere, perché ci sono tanti modi per risparmiare: ad esempio, rivolgendosi ai GAS (gruppi di acquisto solidale) o alle cooperative. Personalmente compro gli ortaggi dalla mia fruttivendola di fiducia, spesso biologici o degli ortolani (quindi non trattati pur non essendo a certificazione bio). In estate capita che alcune mie conoscenze abbiano verdura in eccesso dai loro orti, e ne approfitto. In ogni caso, frutta e verdura sono il costo minore: il problema al più è trovare il tempo per fare rifornimento, senza andare al supermercato; in questo possono tornare utili i servizi a domicilio o gli ordini telefonici, che sempre più realtà biologiche mettono a disposizione.
Come per i vegetali, anche i grassi hanno un costo irrisorio: acquisto olio extravergine d’oliva a circa 9-10 € al litro direttamente dai produttori, compro frutta secca online da produttori italiani (ne acquisto in grandi quantità, risparmiando sul prezzo finale), uso olio extravergine di cocco e ghee, il cui prezzo non si discosta molto dall’olio evo di oliva.
Questi i costi della dieta Paleo.
Ovviamente aumentano se ci si fa abbindolare da tutti quegli inutili snack confezionati o “superfood” che costano un occhio della testa: in casa mia non troverete barrette energetiche fatte con pasta di dattero, raw-food di ogni genere e sorta, spirulina, chlorella, e via dicendo. 
Se facciamo una somma settimanale è probabile che il conto venga maggiore rispetto a quello di una famiglia media, ma… ma risparmio e risparmierò sulle medicine. E mangio cibo vero, nutriente, saziante, pulito. Magari non cambio uno smartphone ogni tre mesi…

8. “La Paleo è impattante sull’ambiente”. Non voglio dilungarmi su questo punto perché dovrei citare molti dati, statistiche, pubblicazioni; dall’idea che me ne sono fatta io dopo aver approfondito l’argomento, la dieta Paleo non è ecosostenibile solo qualora la si interpretasse come un’iperproteica, in cui buttar dentro qualsiasi tipo di proteine, soprattutto da carne. Se invece si fa un consumo *normale* di proteine animali (non tante, non ad ogni pasto) e si cercano i produttori *consapevoli* quest’affermazione non ha motivo di esistere. 
Come vi avevo accennato nel precedente articolo, io non ho comunque escluso ogni tipo di cereali e legumi, e se non l’ho fatto è anche per questo motivo: consumare riso o cereali senza glutine ogni giorno andrebbe contro la mia salute (come ho già avuto modo di constatare), ma consumarne piccole quantità 3-4 volte a settimana non causa un peggioramento delle mie condizioni, e mi permette di ridurre la frequenza dei pasti proteici. A questa mia scelta, fatta su base empirica e concettuale, si somma poi il concreto cambiamento del mio appetito: avendo meno fame, soprattutto verso sera, non mi pesa fare diversi pasti a settimana di sole verdure (e grassi).

Se quelle elencate finora sono le contestazioni maggiori della dieta Paleo, di seguito parlerò invece delle difficoltà maggiori che si possono avere nell’accettare una dieta come quella che la Paleo propone, ma che -come già detto nei precedenti articoli- è più che altro una dieta ad esclusione adattata a ciascuna condizione specifica.

1. Motivazioni etiche. Ci sono persone che non mangiano carne o pesce o uova perché frenate dalle innumerevoli notizie sulle perplessità patologiche implicate al consumo di carne e proteine animali. Di questo avevo parzialmente parlato qui; ribadisco inoltre che quella che sto proponendo non è una dieta con più proteine possibili: i quantitativi proteici sono pressoché sovrapponibili a quelli di una normale alimentazione. 
D’altro canto, ci sono persone che non mangiano carne per motivi etici o religiosi: in questo caso che si fa? Ho chiesto il parere di Franca Leccadito (che avevo intervistato qui) e lei mi ha risposto: “conosco persone vegetariane e ipotiroidee, che si curano in modo naturale; non mangiano carne né pesce, ma sporadicamente introducono uova, e in ogni caso non consumano glutine né latticini”. 
Certo, seguire una dieta senza glutine, caseine, soia, carne e pesce diventa molto complicato a livello organizzativo, ma a quanto pare non impossibile: si deve essere preparati a usare ingredienti particolari (come le proteine della canapa), essere ferrati sul potere antinfiammatorio del cibo, sapere come sfruttare al meglio l’energia del cibo crudo (che non vuol dire semplicemente “non cuocere ciò che si mangia”… ma manipolarlo di modo da farlo esplodere di energia, magari dopo aver seguito corsi di cucina crudista). E, qualora si fosse sportivi, si deve essere pronti ad assumere integrazioni proteiche o aminoacidiche costose, di alta qualità e non dalla soia (controproducente nelle diete ad eliminazione). In America e Australia vi è attenzione anche verso questo tipo di approccio; in Italia molto meno: se non si è preparati, si rischia di rinunciare a tutto e fare un bel caos nella propria alimentazione, andando presto in affaticamento surrenalico e mentale. 
E’ per questo motivo che, a mio parere, in caso delle patologie elencate all’inizio dell’articolo una dieta vegetariana o vegana non è perseguibile: può forse essere adottata ciclicamente, lontano dalle fasi acute della malattia, e con la consapevolezza che potrebbe peggiorare il quadro d’insieme.
Chiaramente, una dieta veg è tranquillamente realizzabile qualora non ci fossero patologie a cui far fronte, ça va sans dire!

2. Rinunce. Anche dopo aver visto la testimonianza di altri, e dopo esserne rimasti sbalorditi, non tutti sono disposti a rinunciare a certi alimenti, seppure questa semplice azione migliorerebbe di molto le proprie condizioni di salute. Rinunciare a glutine, latte, formaggi, e altri cibi a tolleranza individuale: si tratta di una scelta radicale e coraggiosa. Come già detto, in certe patologie endocrine e autoimmuni non è la dose a fare il veleno, ma anche il consumo sporadico. Molti medici di Medicina Funzionale sono concordi, ad esempio, nell’affermare che ogni volta che si introduce glutine in caso di patologia autoimmune attiva si causa un danno all’intestino che permane per 6 mesi: proprio come se si fosse di fatto celiaci. Gli stessi meidici sembrano essere meno imperativi in caso di patologia in remissione, dove sembrerebbe che piccole e sporadiche quantità non incidono a determinare peggioramento. Dalla mia piccola esperienza personale, anche se il mio ipotiroidismo è discretamente controllato, mi rendo conto che ogni volta che introduco glutine il mio intestino va ko: essendo l’intestino la sede del 70% del nostro sistema immunitario, ho fatto la scelta drastica di tagliare sul glutine. Imparo dalla pancia molto più che dalla testa. 
Le rinunce mi pesano? No, direi di no: adesso ho raggiunto il mio equilibrio. Inizialmente è stata drammatica, lo ammetto.

3. Rapporto con il cibo. Quando per anni si ha avuto un rapporto burrascoso e tormentato con il cibo, anche qualora non fosse mai sfociato in DCA conclamato, gestire una dieta come quella proposta dalla Paleo o dalla GAPS diventa insostenibile: la si vede solo nell’ottica delle rinunce, si pensa a tutto ciò che non si può più mangiare, si rischia di desiderare ardentemente ciò che dovrebbe essere vietato. Il rischio delle abbuffate compensatorie è dietro l’angolo. 
Visto l’argomento abbastanza complesso, ci tornerò in futuro senza dilungarmi ora.

Se avete intenzione di intraprendere la dieta ad eliminazione a fini salutistici, ricordate che non si tratta solo di stare a dieta: non lo state facendo per dimagrire, ma per far sì che il vostro corpo diventi più forte. Più che mai vale il detto di Ippocrate tanto sbanderiato a destra e a manca: “il cibo sia la tua medicina”.
Questo modello alimentare non deve essere impostato calcolando le calorie o l’apporto dei nutrienti: il vostro benessere vale più di qualsiasi numero della bilancia. L’eventuale dimagrimento deve essere una risposta naturale del vostro corpo ad un’alimentazione antinfiammatoria e rinvigorente il sistema immunitario, non deve essere un fine strenuamente ottenuto a suon di rinunce.

E ricordate un’altra cosa: questo modello alimentare può funzionare sia che voi vi stiate curando con farmaci tradizionali, sia che usiate cure alternative. E’ tuttavia possibile che alcune terapie non adeguate al vostro corpo creino una resistenza all’efficacia dell’alimentazione: fatevi aiutare da medici competenti, che tengano conto non solo degli esami di laboratorio, ma anche e soprattutto dei vostri sintomi.

Non si è malati o in salute solo quando il laboratorio di analisi sentenzia che i nostri valori “sono nel range di normalità”.