Una decina di giorni fa Martina ci aveva presentato gli aspetti psicologici legati all’ortoressia, un disturbo che sta a metà tra quello ossessivo-compulsivo e quello alimentare: qui trovate l’articolo.
Dare consigli comportamentali o alimentari ad una persona con tendenze ortoressiche è quanto mai difficile: bisognerebbe prima di tutto individuare il tipo di ortoressia (legata all’igiene degli alimenti? Alla paura della contaminazione batterica? Alle idee salutistiche verso certe componenti?), per poi andare a eradicare quelle false credenze che sono legate ai propri comportamenti ossessivi. Nei casi meno problematici questa strategia potrebbe essere sufficiente a risolvere il problema, ovviamente accostandola a piccoli compiti da portare a termine che permettano di superare il rigido schematismo che ci si è autoimposti; purtroppo, però, l’ortoressia non è quasi mai ‘superficiale’ ed è legata anche ad altri tipi di atteggiamenti ossessivo-compulsivi che vanno pian piano risolti con l’aiuto di un sostegno psicologico.
Questo mio intervento sarà inevitabilmente generico, utile forse a dare una prima spinta al cambiamento che deve però poi essere sostenuta e perseguita con un aiuto esterno.
Come accennato poco fa, per prima cosa si deve individuare cosa del cibo faccia paura. Abbiamo già visto nel precedente articolo sull’ortoressia che questo male non ha tanto a che fare con la paura delle calorie e dell’ingrassare, quanto invece con delle limitazioni autoimposte derivate da un’assolutizzazione di certe tendenze alimentari.
L’ortoressia può nascere da una folle paura della contaminazione microbica del cibo: esistono persone che non mangiano nulla che non sia confezionato perché solo l’ambiente sterile della confezione dà loro la sicurezza che l’alimento non sia venuto a contatto con agenti patogeni. Il fatto che lo stesso alimento potrebbe essere pericoloso per la salute a causa degli ingredienti utilizzati (margarine vegetali idrogenate, zuccheri, farine raffinate…) non sembra destare preoccupazione.
Risulta comunque può frequente un altro tipo di ortoressia, ossia quella legata alla salubrità nutrizionale del cibo: l’ossessione per prodotti biologici, la paura a mangiare alimenti che contengano grassi saturi, l’evitamento sistematico di qualsiasi microparticella di zucchero. L’attenzione alla salute che passa attraverso quello che si mangia viene portata ad un’estremizzazione devastante e permeante ogni aspetto della vita, fino al punto da compromettere la vita sociale.
Da non trascurare un’altra importante conseguenza dell’ortoressia: il rapporto conflittuale con tutto ciò che viene etichettato come “insano”. Se da un lato l’ortoressico associa l’idea di Sommo Male a tutto ciò che contenga ingredienti che nella propria mente ha abolito, d’altra parte esiste un desiderio viscerale per questi stessi alimenti: può essere la Nutella o la torta della mamma, il gelato o le lasagne, biscotti confezionati o un semplice piatto di pasta (le liste “consentito/proibito” dipendono strettamente dai condizionamenti e dal tam-tam salutistico che la persona ha subìto). Qualora il desiderio prevalicasse sull’imposizione di divieto il rischio è quello di uno sgarro che lascia con un senso di sconfitta, di rabbia e di “sporcizia” ben superiore rispetto all’entità dello sgarro stesso. Non è detto che lo sgarro sia un’abbuffata, anzi: potrebbe anche solo essere un cucchiaino di Nutella o una forchettata di pasta al tonno, dunque qualcosa di irrisorio in termini nutrizionali, ma che lascia con un’inquietante e indissolubile sensazione di contaminazione.
Un’ultima tipologia di ortoressia, estremamente connessa ad altri disturbi alimentari (tendenze anoressiche o bulimiche), è il controllo tal quale: la persona si sente a proprio agio solo se è l’unica a poter decidere cosa, come e quando mangiare. La scelta del cibo può essere anche abbastanza ampia: è possibile che non venga esclusa nessuna categoria di cibo, ma che ciascun alimento debba essere “preventivato” e consumato solo in un determino contesto e solo sotto stretto controllo. Ad esempio, se la persona ha previsto che il giorno successivo cenerà con una pizza da asporto e a seguire un gelato due gusti non avrà alcun problema a godersi la serata senza alcun senso di colpa; ma se la settimana successiva si trovasse a dover cenare con un trancio di pizza fatta in casa e tre cucchiaiate di gelato si troverebbe in serie difficoltà a non manifestare la propria ansia.
In termini oggettivi sembrerebbe che il secondo pasto sia migliore del primo: ottimi ingredienti per la pizza e quantità inferiori.
Che cosa scatena la mania compulsiva?
Il fatto di non aver avuto il controllo.
Purché lo si scelga volontariamente e possibilmente in largo anticipo, qualsiasi alimento va bene: sano o “non sano”; non appena lo stesso alimento viene imposto da fattori esterni (cena imprevista con amici, offerta sul lavoro, cambio di ristorante all’ultimo momento…) la situazione creata diventerà perturbante e disturbante.
In questo caso è il puro e semplice controllo a diventare patologico.
Individuare i limiti entro cui il proprio problema è andato ingigantendosi è fondamentale, ma lo è anche interrogarsi sulle cause del problema stesso: un comportamento ossessivo al punto da compromettere quelli che un tempo erano i piaceri della vita (un’uscita tra amici, una gita improvvisata, un invito al ristorante) e al punto da permeare ogni aspetto della propria vita non nasce dal nulla. Ci deve essere un disagio di base, frequentemente derivante da esperienze personali che hanno portato a sentirsi responsabili di qualcosa o a non poter controllare le conseguenze di determinati eventi vissuti come disturbanti. Un’indagine così profonda, che scava all’interno della propria coscienza, è difficilmente perseguibile senza l’aiuto competente di uno psicologo, perché affonda le sue radici proprio in ciò che la nostra mente cosciente nega o tenta di rimuovere (o di non ammettere).
Dopo aver individuato il problema nelle sue componenti e aver cominciato a smuoverne le cause scatenanti, bisogna indubbiamente andare ad alleviare il carico stressogeno che il controllo capillare del cibo comporta. E qui le soluzioni non possono che essere personalizzate: poco si prestano ad un articolo generico e aspecifico come il mio.
Sicuramente si deve cercare di esercitare sempre meno il controllo di ciò che si mangia, partendo dagli aspetti meno problematici: se ad esempio sappiamo che una cena al ristorante senza conoscere il menu ci manderebbe in crisi non sarebbe saggio iniziare proprio da questa sfida; potrebbe essere più utile un passo più piccolo: magari individuando 2-3 alimenti che fanno paura ma che si è disposti a introdurre nella propria alimentazione, impegnandosi a consumarli entro un dato tempo. Definire le tempistiche è imprescindibile: non è sufficiente comprare un ingrediente “pericoloso” e lasciarlo in dispensa in attesa di un momento propizio, perché è probabile che questo momento possa non arrivare mai. Un atteggiamento diverso -propositivo e risolutivo- è comprare l’ingrediente e imporsi di usarlo entro il giorno tale, con un’oscillazione di massimo 2 settimane. Ovviamente non si deve compensare in alcun modo quest’introduzione: non si deve togliere né aggiungere nulla alla propria normale alimentazione in vista di quella sfida.
Altro grande passo da compiere è quello di chiedere un aiuto esterno per capire perché le proprie convinzioni siano erronee e portino ad un comportamento patologico. La persona che soffre di ortoressia tende ad assolutizzare alcune notizie, svincolandole dal contesto ed enfatizzandone la portata: legge che il consumo di carne si associa all’insorgere di cancro, e bandisce sistematicamente ogni fonte di carne dalla propria alimentazione. Oppure legge che l’eccesso di frutta potrebbe contribuire ad incrementare l’introito quotidiano di zuccheri semplici, e comincia a sentire forti sensi di colpa qualora mangiasse un frutto più del previsto. Avere un solido appoggio professionale per eradicare convinzioni erronee è indispensabile nell’opera di contro-convincimento; si potrebbe ad esempio scoprire che la carne correlata al cancro è solo quella che contiene contiene conservanti chimici o quando supera sempre, di mese in mese, un certo quantitativo settimanale, oppure che gli zuccheri della frutta hanno un effetto metabolico ben diverso rispetto allo zucchero in grani.
In generale, prima di far diventare problematico il consumo di un certo alimento è bene ricordare che la nutrizione esercita il suo effetto benefico o patologico solo quando presa nel suo insieme: l’introduzione di un singolo alimento “miracoloso” o “velenoso” non dà alcuna conseguenza, né nel bene né nel male. Quello che conta è l’alimentazione nel suo insieme.
Allo stesso modo, non è una cena fuori con amici o l’invito dalla suocera a mangiare cannelloni con besciamella o il pasticcino offerto da un’amica che “inquinerà” il nostro corpo. Se questo è un dato di fatto palese, per la persona con tendenze ortoressiche risulta comunque difficilissimo privare l’evento del suo carico ansiogeno: la mente dice due cose opposte e in conflitto, cosicché il corpo e la coscienza non sappiano più cosa è bene e cosa è male.
Un punto sul quale vorrei focalizzare la vostra attenzione prima di concludere l’articolo riguarda l’atteggiamento con cui ci si pone in una data situazione.
Come abbiamo visto, l’ortoressico teme ciò che non può controllare o ciò che non rientra nel proprio schematismo. Quando sa che si troverà in una situazione che non saprebbe gestire può avere due meccanismi di risposta: o la rifiuta, scappando da essa e rifiutando il confronto con la novità, oppure la vive come una costrizione, un’imposizione alla quale dover soccombere volente o nolente.
Il rifiuto di una situazione con la quale confrontarsi permette di trovare un rifugio certo e sicuro, utile a non perturbare l’equilibrio emotivo ma certamente non d’aiuto alla risoluzione del problema.
Sull’altro versante, associare foschi scenari di tragedia e di incombenza ad una situazione cui ci si piega con riluttanza non può far altro che predisporrre a far accadere la tragedia: in sociologia è la cosiddetta “profezia che si autoadempie” (dal sociologo del secolo scorso Paul Watzlawick), ossia una predizione che si realizza per il semplice fatto di essere stata espressa. La teoria può essere trasposta su diversi ambiti: in psicologia, l’atteggiamento di un individuo nei confronti di un evento futuro altera il suo comportamento in modo tale da causare tale evento. Rapportato al disturbo alimentare, se siamo certi che il confronto con una sfida alimentare che va oltre i nostri schemi causerà un crollo delle nostre difese, tale crollo inevitabilmente si verificherà: abbiamo ogni fibra del nostro essere pronta al fallimento, e il minimo appiglio sarà per noi un’àncora per la realizzazione della nostra débâcle.
Al contrario, un atteggiamento più sereno e ottimista, pronto alla sfida ma non alla sconfitta, farà sì che i nostri meccanismi di attacco e di difesa siano ben alti.
Vivere con rassegnazione e vittimismo ogni situazione nuova ed imprevista non fa bene alla nostra mente e alla nostra psiche: questo vale per ogni persona, non solo in caso di ortoressia.
Mi rendo conto di aver detto tutto e niente con quest’articolo, ma purtroppo le soluzioni autogestite per risolvere l’ortoressia sono ben poche, anche perché non si tratta di una patologia riconosciuta e inserita in un dato protocollo terapeutico. Sul lato psicologico l’ortoressia viene trattata come se fosse una declinazione del disturbo ossessivo-compulsivo; sul lato alimentare ci si approccia ad essa alla stregua dell’anoressia nervosa.
Ecco perché, ancora una volta, rinnovo l’invito a farsi aiutare a districare il gomitolo delle proprie emozioni ed azioni: la volontà a cambiare può essere un primum movens, ma -da sola- non è sufficiente.
19 Comments
già l’idea e il fatto di scrivere questo articolo aiuta…gente come me, che proprio in questi 2-3 giorni sono alle prese con la risoluzione di problemi, non del tutto legati al cibo, ma pur sempre al controllo di tutto…Ho aperto gli occhi Basta, non va bene! c’è da cambiare…. e vivere serenamente…sennò è una vita sprecata 🙂
Vivere serenamente: è esattamente così! E finché non si affrontano i propri demoni, in primo luogo ammettendo che siano un problema, è difficile andare avanti. Ti auguro un *enorme* in bocca al lupo!
Sono assolutamente d’accordo con l’affermazione che ci siano ben poche indicazioni pratiche da fornire, al di fuori di quella di rivolgersi a dei professionisti (psicoterapeuta, dietista, ecc) per risolvere i conflitti alla base del desiderio di controllo. Per quanto mi riguarda, negli anni ho maturato tutta una serie di comportamenti di rifiuto e di controllo dell’alimentazione per “proteggermi” dall’eccessiva valenza emotiva che in casa mia è sempre stata data al cibo (mangi quello che ti preparo = mi ami e ti accetto; non lo mangi = non mi vuoi bene e quindi io non ti accetto per come sei). Fin da bambina mi hanno “costretta” a mangiare cose che non volevo (non ti dico i drammi durante le feste comandate, perchè ho sempre avuto la tendenza al rifiuto…), e appena sono cresciuta, ho attivato i comportamenti di controllo, che da un certo punto di vista mi fanno stare “meglio”, ma che sicuramente mi creano moltissima ansia quando “sgarro” (come hai detto tu, anche solo assaggiando un cibo proibito o guardandolo). Non parliamo delle occasioni sociali, che evito accuratamente, o se vi partecipo tendo a non mangiare mai niente o solo ciò che ho deciso preventivamente. E non parliamo neanche di tutto il tempo e le energie che impiego per pensare al cibo, a come programmare i miei pasti e a come bilanciare tutto il più possibile.
Sono sempre stata convinta che senza la psicoterapia sarei arrivata ad un disturbo alimentare conclamato, mentre per fortuna (grazie anche al nostro incontro di qualche mese fa, anche se non ti ho parlato esplicitamente di queste cose perchè mi costa davvero una fatica immane) ora le mie compensazioni sono sempre meno frequenti e ho iniziato a non programmare il pranzo della domenica, ma di lasciarlo decidere al mio ragazzo e di non modificarlo in base ai miei parametri.
Razionalmente so che queste rigidità sono eccessive e potenzialmente nocive, emotivamente non riesco ad abbandonarle perchè purtroppo poggiano su problematiche relazionali che ancora non sono risolte!
Ho scritto questo poema, io che ti seguo sempre silenziosamente, perchè certe frasi sembravano proprio scritte da me!
Grazie per gli spunti di riflessione! 🙂
Ecco, con il tuo commento mi hai ricordato un’altra cosa che non ho specificato nell’articolo, spero di rimediare ora… Quando si ha un comportamento molto restrittivo o schematico nei confronti dell’alimentazione è facile che per giustificarsi agli altri -amici o parenti- ci si nasconda dietro giustificazioni di intolleranze o malessere. Ammettere che queste siano solo scuse ed evitare di usarle a proprio favore è un incentivo a sbloccare il meccanismo autodistruttivo: ci si sente come ‘nudi’.
Altra cosa importantissima: delegare a qualcuno di fidato la scelta dei pasti difficili, quelli nei quali mettersi alla prova. E’ un atto di fiducia incondizionata, che non verrà tradita perché è difficile che una persona che ci ama ci metta di fronte a ostacoli che non saremmo in grado di superare. Hai fatto più che bene ad affidarti completamente al tuo ragazzo, almeno su certe scelte.
Quando al resto, non posso che farti il più grande augurio di trovare un equilibrio più stabile nei prossimi mesi: penso tu abbia già fatto passi da gigante rispetto a quando ci siamo viste in autunno.
Ricordati: non sempre ‘equilibrio’ vuol dire completa scomparsa del problema. Più spesso è una convivenza pacifica con il problema stesso -ossia il proprio atteggiamento verso il cibo: alla fine, potrebbe semplicemente diventare un difetto sul quale ironizzare, senza che ti faccia male. Come un vecchio marito brontolone dal quale non ci si staccherebbe mai 🙂
Come fare a mediare tra l’autocontrollo eccessivo e… la mancanza totale di controllo, soprattutto quando sei una studentessa universitaria alla prima esperienza da fuorisede, circondata da amici che non hanno veramente la minima coscienza di quello che mangiano (compreso l’amico vegano), che non può mangiare a mensa (per mille motivi, non certo per un fatto di qualità del cibo) e che trova come unica alternativa al cibo che si porta da casa delle pizzette costose e di dubbia qualità? Una volta va anche bene, ma due, tre… insomma, spero di essere riuscita a spiegarmi :- gli sgarri li faccio pure e senza sentirmi in colpa, ma il rischio di passare da uno sgarro a tutti i giorni di sgarri è dietro l’angolo.
Cara Sabrina, credo che il tuo sia proprio uno di quei casi nei quali avere una figura d’appoggio possa aiutare alla risoluzione del problema: una dietista potrebbe aiutarti a trovare quelle strategie utili a cercare sempre le scelte migliori anche quando sembra che la pizzetta iper-farcita sia l’unica soluzione. Credimi, essere una studentessa fuorisede e mangiare sano non è affatto impossibile: ci vuole un poco di organizzazione, e qualche trucco al momento giusto 🙂
Cara Arianna, sono mesi che penso di contattarti e non ne ho mai il coraggio perché attualmente a stento riesco a mantenere i miei studi, quindi so di non potermi permettere un consulto dietologico (né mi permetterei mai di chiedere sconti e simili!). Ma seguo il tuo blog ormai da dicembre e ho provato anche alcune ricette… complimenti, veramente, e grazie per gli utili consigli che ho già ricavato!
Spero, nel mio piccolo, di poterti aiutare anche indirettamente con quello che scrivo sul sito: se e quando vorrai scrivimi privatamente, anche solo per presentarti e per farmi capire cosa tu miri a risolvere con l’alimentazione, magari qualche consiglio riuscirei a dartelo comunque senza bisogno di vederci subito. Sai, a volte sono sufficienti due dritte per migliorare un problema 🙂
Ok, ci proverò! Grazie!
ecco come ritrovarsi leggendo un articolo su un problema di cui non sapevo dell’esistenza, è stata come una secchiata di acqua gelata che spero mi faccia uscire da questo intorpedimento mentale. non so piu’ cosa significa una cena tra amici o una festa con parenti, panico piu’ assoluto se non ho con me il cibo “confortante” e nonostante la mia scelta di cibo sia abbastanza vasta, se non è un pasto programmato vado completamente fuori rotta. grazie arianna
Dopo lo shock, spero che ci sia la presa di posizione: tu o il diagio con cui convivi? Cosa scegli, Silvia? Perché lo sai che per stare bene, ma bene veramente, devi affrontare i tuoi demoni… Non posso che abbracciarti virtualmente forte…
In caso di voler uno sfizio, i kit kat sono tanto dannosi nella scala dei cibi confezionati? Pur solo quelli nella giornata? Allergia a glutine e caseari.
Se tollera i Kit Kat dubito fortemente che abbia un’ALLERGIA a glutine e caseari…
Ne parli con il suo nutrizionista 🙂
Sono il padre di una figlia di 21 ann,i è alta 168 cm e pesa 46 kg , da molti mesi non ha più il ciclo mestruale, è ossessionata dal cibo salutare e privo di grassi, niente carboidrati,niente carne,solo pesce verdura e frutta ,diventa furiosa se il suo cibo viene contaminato da olio o sale.La cosa strana è che spesso ,di proposito, la portiamo a mangiare in ristorante a pranzo o a cena e li ,non si abbuffa, ma mangia pasta ,riso,carne, dolci ,quindi cibi contaminati ma Il giorno dopo a casa ricomincia con suoi i rituali salutari.Stiamo cercato in tutti i modi, buone e cattive maniere per convincerla a farsi aiutare da uno psicologo, ma non c’è verso, e la nostra disperazione cresce di giorno in giorno.La ringrazio per qualsiasi consiglio che lei mi suggerirà
Buona sera
Il mio problema è leggermente diverso ma sempre legato al cibo.
Ho paura di essere allergica a tutto ciò che mangio e ho ristretto il campo a pochissimi alimenti. Ho paura dello schok anafilattico che per altro non ho mai avuto,
Ho una voglia matta di mangiare di tutto ma mi blocco e se provo a sgarrare ecco che sento formicolio gola chiusa e via discorrendo… Non so più come uscirne, anche perché continuo a selezionare sempre di più e a perdere sempre più peso
Grazie e buona serata
Purtroppo non saprei come esserle d’aiuto, dovrebbe contattare uno psicoterapeuta… mi spiace..
Come aiutare una persona ortoressica ed ipocondriaca se non accetta di vedere la realtà?
Questo articolo non lo avevo letto. Davvero bello e pieno di spunti utili per individuare condizioni a cui magari non si faceva nemmeno caso ma che in qualche modo danneggiano la persona e per la cui risoluzione è fondamentale un aiuto psicologico.
Esaustiva e delicata come sempre ❤
Penso che rileggerò questo articolo periodicamente 🙂