Nell’ultimo intervento abbiamo parlato della personalizzazione della dieta, ma l’argomento che più mi sta a cuore lo affronteremo oggi: la qualità di quello che mangiamo.

Come vi ho scritto settimana scorsa, la predilezione per questo o quel modello alimentare è personale, e risponde ad esigenze di gusto, comodità ed adeguatezza. Una persona può trovarsi benissimo con una dieta vegetariana, un’altra persona potrebbe aver bisogno di una consistente quota di proteine animali; una persona può far derivare tutti i carboidrati di cui necessita da frutta e verdura, un’altra avrebbe crisi ipoinsulinemiche senza un primo piatto due volte al giorno.

Se generalizzare è impossibile, può esistere un fattore comune ad un qualsivoglia modello alimentare? Esiste un principio da poter seguire sempre, un fattore comune alla dieta del sedentario e dello sportivo, dell’orientale e dell’occidentale, dell’uomo e della donna?
A mio parere sì, e questo valore sine qua non è la qualità di quello che ci mettiamo nel piatto.
Alcune indicazioni che troverete in questo articolo sono suggerimenti di carattere prettamente salutistico; altre coniugano quest’aspetto con la necessità di attribuire un valore etico e ambientale alle nostre scelte in materia di cibo.
Ricordo quanto detto settimana scorsa: all’interno di un’alimentazione sana ed equilibrata non sarà di certo un singolo alimento sbagliato a determinare la malattia; in questo intervento però mi sto spingendo oltre: individuare il meglio possibile dal punto di vista qualitativo.

Come giustamente mi faceva notare una persona per la quale nutro profondo affetto e rispetto, viviamo in un mondo nel quale la necessità primaria dello sfamarsi è diventata per un buon 80% puro business per aziende che hanno come finalità il fatturato; siamo circondati da una varietà di cibi e di gusti che ci sconvolge e ci lascia interdetti, tanto che le nostre spese al supermercato possono diventare vere e proprie missioni. Il consumatore è disorientato dalla scelta che gli si palesa agli occhi: prodotti arricchiti di fibra, senza colesterolo, senza grassi, con omega-3, senza zuccheri o con probiotici. Abbiamo davvero bisogno di questi alimenti? Anche senza andare ad analizzare alimenti che dovrebbero essere venduti per le loro presunte proprietà salutistiche, quanto abbiamo concretamente bisogno di quello che si trova al supermercato?

Gli ingredienti dei prodotti della grande distribuzione sono raffinati, industrializzati e processati: stazionano in silos e container per mesi -se non per anni- prima di essere miscelati a creare quello che poi verrà venduto in confezioni di plastica.
Non sono freschi, non sono nutrienti, non sono *vitali*.
Possono essere più o meno calorici e più o meno ricchi di zuccheri e grassi, ma rimarranno sempre qualcosa di estremamente manipolato e snaturalizzato; se a questo aggiungiamo anche il fatto che non sono alimenti indispensabili e che quasi sempre esistono degli equivalenti fatti in casa partendo da materie prime semplici, a mio parere il 90% di quello che si trova al supermercato non è degno di essere messo nel carrello della spesa.

Uno dei capisaldi dell’alimentazione sana è che sia basata sul consumo di materie prime semplici, e non su alimenti trasformati: già quest’indicazione migliorerebbe la salute di moltissime persone, senza dover fare chissà quali sconvolgimenti dietetici. Le merendine, gli snack, i dolcetti, i tarallini… Sono tutte cose che risvegliano le nostre papille gustative, ma che non possono essere definite “sane”.

Riempiamo la nostra dispensa di materie prime non scomponibili in singoli ingredienti: frutta e verdura fresche; pasta e cereali; carne e pesce freschi e non trasformati (vale a dire niente affettati, salumi, hamburger, svizzere, bastoncini…); uova; legumi; frutta secca a guscio.

Oltre a consigliare di riempire la dispensa di materie prime e non di prodotti processati, il mio invito è quello di porre attenzione a freschezza, stagionalità e provenienza.

Freschezza. Più un alimento è fresco, più è vitale e più risponde alle nostre esigenze nutritive. Purtroppo, esistono alimenti che sembrano freschi ma non lo sono: pensiamo alle comodissime confezioni dei prodotti di IV gamma, lavati con cloro per inibire la crescita batterica; mi riferisco alle insalate preconfezionate, agli ortaggi venduti già mondati e a pezzi, alla frutta sbucciata ready-to-eat. Non possiamo veramente credere che quell’insalata in busta abbia la stessa qualità di un cespo di lattuga da pulire: la prima rimane bella anche quindici giorni, la seconda meno di tre. Che cosa è stato aggiunto per renderla tanto speciale?

Stagionalità. Inutile prendere le fragole a dicembre e le verze ad agosto: la Natura non ha predisposto la sua terra per veder nascere tutto l’anno i suoi frutti. Se troviamo frutta e verdura fuori stagione, sono sicuramente prodotti di serra nutriti con fertilizzanti e antimicotici. E poi, obiettivamente, i prodotti fuori stagione non sanno di niente: soldi spesi inutilmente.
Non sempre abbiamo la certezza che i prodotti stagionali siano cresciuti all’aria aperta: per questo entra in gioco la fiducia nel venditore. Un conto è comprare al supermercato, ben differente è trovare un fruttivendolo (macellaio, pescivendolo, bottegante) di fiducia, al quale poter anche fare lamentele qualora un prodotto non fosse all’altezza del prezzo che lo abbiamo pagato. La differenza tra il negozietto e la grande distribuzione è proprio questa: il negoziante ci mette la faccia, quindi starà ben attendo a ciò che vende. Nella grande distribuzione difficilmente avremo problemi di prodotti guasti… Perché sono tutti prodotti in serie, tutti uguali, tutti perfetti.

Provenienza. Se state comprando delle pere provenienti dall’Argentina perché costano meno, chiedetevi anche da quanto tempo siano state raccolte e come siano state conservate per arrivare fino a voi. E come sia possibile che una pera proveniente da 10.000 km di distanza abbia un prezzo inferiore rispetto a quella coltivata in Italia: come è stata trattata prima di arrivare sulla vostra tavola, quella pera?
Dove possibile, informatevi più specificamente circa l’origine di quello che mangiate. Se avete la possibilità di scegliere prodotti a km 0, forse questa è la scelta migliore, che viene incontro a più esigenze: saranno prodotti freschi, avranno viaggiato poco e sosterranno l’agricoltura locale. Se poi potete avere la garanzia che quei prodotti sono stati coltivati su terreni non a ridosso di autostrade, e non in modo intensivo… Beh, avete fatto una scoperta preziosa, non lasciatevi sfuggire il fornitore!

Circa la provenienza del prodotto si può aprire anche una parentesi etica ed ambientale. Ambientale, perché l’inquinamento prodotto dai trasporti non deve essere preso a cuor leggero. Alimenti di origine tropicale (come banane, cocco, ananas, avocado, mango…) dovrebbero essere consumati saltuariamente e non abitualmente, se vogliamo connotare i nostri consumi di un significato intrinseco più ampio rispetto a quello nutrizionale.
Etica, perché ancor oggi alle soglie del 2014 per produrre beni di ampio consumo vengono sfruttati come schiavi uomini, donne e bambini. Non voglio fare la moralista, ma alcuni alimenti che sicuramente tutti noi abbiamo in dispensa (zucchero, caffè, cacao) provengono necessariamente da Paesi del Sud del mondo, e probabilmente derivano dallo sfruttamento di intere famiglie. Un buon modo per non privarsi di questi alimenti senza avere un tarlo di coscienza è acquistarli in negozi del commercio Equo e Solidale. Pensiamoci anche quando andremo a comprare i datteri per i nostri banchetti delle feste, o da mettere nelle ceste da regalare.

Un fondo di motivazione etico-ambientale c’è anche nel consiglio di comprare il meno possibile nella grande distribuzione, preferendo invece la piccola impresa, il km 0, il non processato. Avrete prodotti più freschi, di cui potrete conoscere l’esatta origine, e avrete sostenuto la produzione locale almeno per quanto riguarda il “fresco” (frutta e verdura). Per altri alimenti dovremo necessariamente allargare il nostro raggio d’azione. Per quanto ci è possibile, guardiamoci intorno e individuiamo quei tre-quattro fornitori vicini a casa ai quali poterci affidare per prodotti freschi del territorio: più botteghe, meno supermercati; se avete poco tempo per fare la spesa, provate a informarvi se è possibile prenotare in anticipo la spesa o avere servizio a domicilio. Oppure provate a vedere se avete un gruppo GAS (acquisto solidale) nei dintorni a cui potervi associare: spenderete di meno, avrete una dispensa più ricca. E sana.

Un discorso a parte dovrebbe essere fatto sul biologico: voglio aprire solo una breve parentesi, con un paio di spunti di riflessione – o meglio con due provocazioni. Prima o poi dedicherò un articolo ad hoc.
Se compro delle carote biologiche a Bergamo di una marca che le vende delle esatte dimensioni, forma, colore e sapore anche a Trapani, un piccolo quesito me lo pongo.
E se compro dei biscotti biologici che costano due volte tanto quelli normali, ma che hanno lo stesso gusto e gli stessi ingredienti (sebbene bio), un altro quesito me lo pongo.
Facciamo attenzione a non confondere *biologico consapevole* con *biologico industriale*: i prodotti confezionati della grande distribuzione sono sempre processati, che siano biologici o che siano tradizionali.

Prendiamo cibo fresco. Cibo vero. Cibo che sia stato il meno manipolato possibile prima di finire sulla nostra tavola, e che abbia viaggiato poco.

Non tutto ciò che è naturale fa bene (basti pensare ai naturalissimi funghi velenosi), e non tutto ciò che è fatto dall’uomo è da rifuggire (altrimenti saremmo ancora all’età della pietra), ma sono profondamente convinta che dobbiamo riappropriarci di una dimensione meno materialista e meno consumista di quello che mangiamo.
Scegliere cibo *consapevole* è il primo passo, per la nostra salute e, indirettamente, per quella della Terra.

Piccola anticipazione: quanto trattato in quest’intervento verrà ampiamente approfondito in un ebook che ho in programma con Anna di Natural Menu, disponibile probabilmente a febbraio 2014. Se siete interessati, continuate a seguirmi sul sito o sulla mia pagina di facebook, metterò tutte le informazioni a tempo debito.