Qualche giorno fa sul quotidiano La Repubblica è stato pubblicato un articolo molto interessante circa la sostenibilità ambientale del consumo di carne, che mi ha ispirata a scrivere questo piccolo approfondimento, seppur esuli dall’alimentazione in termini nutrizionali.
Articolo interessante quello di Maurizio Ricci non perché abbia esposto teorie particolarmente innovative: che tutto ciò che riguarda l’allevamento sia ecologicamente dispendioso non è più una novità; i dati che mi sono parsi significativi sono quelli riguardanti le equivalenze tra i grammi di cibo consumato e i km percorsi in automobile, prendendo come denominatore comune le emissioni di gas serra prodotte. Vediamo così che 3-4 km in macchina corrispondono a 113 g di prodotti vegetali (pomodori, lenticchie, tofu, nocciole, riso ed altri), di uova, latte, yogurt e pollame; la stessa quantità di formaggi, suini, bovini e ovini corrisponde anche a più del doppio: dai 5 ai 12 km.
I gas serra in questione sono due: l’anidride carbonica e il metano; l’allevamento degli animali è responsabile del 18% di emissioni globali di anidride carbonica, e di più del 25% delle emissioni di metano (la cui attività è 25 volte più intensa ed inquinante dell’anidride carbonica). Sempre su La Repubblica leggiamo che se una famiglia di 4 persone rinunciasse al consumo di carne e formaggio un giorno a settimana per un anno, sarebbe come se lasciasse l’automobile in garage per ben 5 settimane: se tutte le famiglie d’America lo facessero, compenserebbero le emissioni di più di 7 milioni di auto l’anno. In rete ho trovato un report tedesco del 2007 che compara le emissioni causate da un vegetariano raffrontate a quelle di un onnivoro: mentre il vegetariano produce 0,65-1 tonnellate di CO2 l’anno, l’onnivoro è responsabile del doppio – ben 1,8 tonnellate annue.
Ma torniamo per un momento al discorso del bestiame: le zootecnie intensive (mi riferisco in particolare a quelle americane e dei grandi gruppi industriali) producono enormi quantità di gas serra con l’uso di fertilizzanti per il mangime, la macellazione, il trasporto delle materie prime e dei prodotti finiti. Senza contare che di per sé gli animali producono metano attraverso il loro apparato digerente e che -fattore non trascurabile- consumano direttamente (con l’alimentazione) o indirettamente (ad esempio con la macellazione) moltissima acqua: 5 kg di carne prodotta richiedono tanta acqua quanta ne consuma una famiglia media in un anno.
Almeno per quanto riguarda i gas serra sembrerebbe esserci un’alternativa che ne ridurrebbe le emissioni: si dovrebbe aumentare la qualità nutrizionale dei mangimi dati al bestiame. Negli allevamenti intensivi (e spesso anche in quelli tradizionali) il foraggio è costituito in larga parte da soia e granturco, la cui produzione determina una buona fetta delle emissioni associate all’allevamento e in più sottrae terreno fertile destinabile a coltivazioni per l’uomo. Un’allevamento più ecosostenibile sarebbe quello che lasci gli animali liberi di pascolare, e di nutrirsi d’erba: sia perché non comporta la necessità di coltivare per gli animali, sia perché il pascolo sottrae anidride carbonica all’atmosfera e la immagazzina nel terreno.
Una soluzione di questo tipo sarebbe idilliaca, in quanto permetterebbe di non privarci del consumo di carne e allo stesso tempo non sarebbe dannosa per l’ambiente quanto le attuali tecniche di allevamento. Bisognerebbe tuttavia ridurre i capi di bestiame: sarebbe necessario tenere una bassa densità di capi d’allevamento, ovvero pochi animali per ettaro di terreno, altrimenti l’accumulo di scarti animali azotati sarebbe eccessivo e nocivo per l’ambiente. Il pascolo sarebbe ecosostenibile ma richiederebbe un minor consumo di carne nella popolazione: i prezzi aumenterebbero, ma la qualità delle bistecche e dei filetti sarebbe notevolmente superiore tanto per il palato quanto per il profilo nutrizionale. Riassumendo: più qualità e meno quantità. Pensiamo anche ai recenti scandali che hanno interessato proprio il mangime degli animali: uova alla diossina, il morbo della mucca pazza, anabolizzanti stereoidei e antibiotici fatti assumere al bestiame per incentivarne una crescita massiva. Certo eliminare soia e granturco a favore di erba e pascolo avrebbe costi non indifferenti, ma a fronte di consistenti benefici. Promuovere un allevamento “a misura d’ambiente” avrebbe infatti tre vantaggi: ridurrebbe le emissioni di gas serra, aumenterebbe la qualità della carne e -proprio perché ne comporterebbe un minor consumo- diminuirebbe alcuni fattori di rischio per lo sviluppo di malattie cronico-degenerative. Meno carne significa infatti più salute: meno grassi saturi e meno colesterolo, fattori che contribuiscono a determinare l’insorgenza di patologie quali infarto, ictus, dislipidemia.
Ho voluto scrivere quest’articolo non per promuovere un’alimentazione vegetariana o per stigmatizzare il consumo di carne e/o il business che ci sta dietro, ma solo come spunto di riflessione e -magari- per orientare le vostre scelte. Quando vi trovate di fronte a carne a lunga scadenza preconfezionata, o a filetto di manzo venduto a prezzi veramente bassi, chiedetevi se comprandoli state facendo un affare per il portafogli o per la salute o, per ragionare un po’ più in grande, per l’ambiente. Senza voler fare del moralismo e senza ampollosità scontata, credo che siano le piccole scelte a fare la differenza: minuscoli granelli di sabbia che, se non sono isolati, formano una spiaggia*.
(*Questo per dire: sì, ho voglia di vacanza! :P)
14 Comments
Bello, bellissimo articolo!!!
Sull’argomento ci sarebbe davvero TANTISSIMO da dire. Più ne leggo più scopro un sacco di cose. Io – come sai – sono vegetariana ed è anche attraverso letture di questo tipo che ho formato la mia – chiamiamola così – consapevolezza alimentare.
Purtroppo ora come ora la gente compra quello che costa meno, predilige quantità e non qualità, corre a riempirsi il frigorifero di carne che – nella migliore delle ipotesi, e lo dico per presa diretta (i miei genitori sono onnivori ed ho assistito alla scena una volta che passavo a casa loro) – rilascerà acqua che a sua volta puzzerà di medicine.
Fortunatamente nelle piccole realtà – la mia zona è una di quelle – esistono ancora allevatori che pascolano letteralmente il bestiame e che vendono la loro carne a privati subito dopo averla frollata a prezzi forse leggermente più alti, ma questo non posso dirtelo con sicurezza. L’unica pecca – manco a dirlo – è il fatto la cosa venga ben poco pubblicizzata, tanto per ribadire il concetto di lucro. (Un po’ come lo zucchero, la carne è innanzitutto un business.)
Pur non essendo una fruitrice, insomma, mi viene da dire “Che peccato”…
Grazie! 🙂
Purtroppo più ci avviciniamo alle grandi città, più scompaiono le botteghe dei commercianti a favore dei grandi ipermercati. Indubbiamente comodi: una madre che lavora ha a disposizione tutte le categorie alimentari in pochi scaffali, ma la qualità non è sempre equiparabile a quella del macellaio o del fruttivendolo sotto casa. Vero anche il contrario a volte, ma il rapporto di fiducia venditore-cliente nei paesi è molto più stretto: se un negoziante vende bassa qualità, anche tenendo bassi i prezzi, non avrà molto successo in affari…
E’ comunque importante guardare la situazione con realismo: indubbiamente tutti vogliono “mangiare buono e sano”, ma nella scelta intervengono troppi altri fattori. Il costo, il tempo, la comodità… Per molti significa che bisognerebbe sedersi a tavolino per riorganizzare la propria vita 🙂
A me paragonare le emissioni delle automobili e delle flatulenze delle vacche ricorda tanto il vecchio adagio di ogni maestra delle elementari: “non si possono sommare le mele con le pere”.
Sulla qualità della carne il problema non è la quantità di produzione, sono le richieste del mercato che vogliono carne magra e rossa brillante, mentre la carne buona è grassa e tendente allo scuro perchè frollata adeguatamente (operazione che costa, pure). Poi viene stracotta, e tutti a lamentarsi che la bistecca magra, fresca e secca non è tenera, e grazie al cavolo!! Saranno teneri loro dopo mezz’ora passata sulla bistecchiera… Prendi gli USA: hanno una produzione intensiva ancora peggio che qui, eppure la carne è di migliore qualità media perché c’è una diversa selezione dei capi ed un diverso trattamento dopo la macellazione.
Infatti ho parlato un po’ con un paio di macellai, e quelli che puntano ad un minimo di qualità mi hanno detto che è difficile trovare il compromesso tra la carne buona e quella che riescono a vendere.
Non è un paragone che deve essere usato come sostituzione, ma come misura di riferimento: un po’ come dire che se mangio un gelato devo correre due ore per smaltirlo. E’ la stessa cosa? Indubbiamente no, ma è molto utile a dare l’idea di fondo, non trovi?
Qualità della carne: il compromesso è triplice, per come la vedo io. La carne deve essere sana (quindi genuina), buona e salutare: verissimo che la carne più grassa è pure quella più succulenta, ma i grassi saturi e le tossine che si accumulano proprio nel grasso dove li mettiamo? Ci vorrebbe uno strumento magico che identifichi la carne migliore sotto questi tre punti di vista. Qualsiasi sia la qualità della carne a livello di palato, se si guarda la salubrità del prodotto gli allevamenti intensivi sono completamente da bocciare.
Io ho parlato con il mio macellaio riguardo al filetto di manzo, che spesso chiedo ma non trovo: da un capo di bestiame ricavi un solo filetto, che in genere non supera di molto 1 kg, quindi quando l’ha a disposizione lo vende in fretta. Esistono poi i filetti importati dai paesi slavi, mi ha detto, ma sono sottovuoto e sono trattati in modo poco ortodosso, già partendo da una scarsa qualità della carne stessa. E’ un cane che si morde la coda…
e spesso non tutti possono permettersi di pagare il filetto di manzo cinquanta euro al kg, che non è un dettaglio trascurabile, se si ha una famiglia.
Al di là di questo: si potrebbe dire tanto di questo argomento, così come si sta cominciando anche a sollevare il grave problema della sostenibilità della pesca (lavoro nel settore, tra l’altro). Dai e dai, stiamo deturpando tutto il patrimonio marittimo.
Insomma, c’è poco da fare: purtroppo siamo stati per troppo tempo una banda di stronzi irresponsabili convinti che tutto fosse a nostra disposizione senza alcuna conseguenza.
Mi fa piacere che un po’ di coscienza collettiva stia cominciando a venire fuori…spero solo che non sia troppo tardi.
Infatti: come da risposta al commento di Eka 🙂
Sai cosa manca, a livello generale, secondo me? La trasparenza delle informazioni a causa della speculazione. Poi forse mi metto solo in bocca paroloni e discorsoni, però credo debba essere uno dei capisaldi in una società “commerciale”.
C’è molta mancanza di informazioni. Ma in generale, non solo a livello commerciale/speculativo.
Ad esempio : quanto poco si sa di proprietà nutritive reali e possibili rischi (di contrarre anche malattie, vedi recentissimo caso di eschirichia coli tedesco) di quello che mettiamo sulla nostra tavola?
Poco troppo poco.
Quanti mangiano pesce crudo in qualsiasi ristorante/sushi bar ecc senza preoccupari di nulla? Il pesce, per non essere pericoloso, andrebbe cotto a 100° o abbattuto a -70°.
Ma è di moda, quindi chi se ne frega.
Così come è status ammazzarsi di carne. Incuranti di ciò che fa male a noi e all’impatto ambientale che tutto ciò che consumiamo in eccesso produce.
E a me la carne piace, e tanto. Ma la mangio, come tutto, con buonsenso e parsimonia.
Scusa il pistolotto/spiegone, ma mi si chiude sempre un po’ la vena nei confronti del genere umano, quando parlo di queste cose…
Uhm non mi toccare il giapponese che a-d-o-r-o il sashimi 😛 Però ecco, evito i posti tipo “15 euro e mangi quanto vuoi” perché tremo a pensare alla qualità del pesce…
A parte questo, concordo nel dire che potremmo parlarne ad oltranza, del rapporto uomo-natura e uomo-mercato, mi fa piacere che il mio articolo abbia solleticato questa conversazione 🙂
Il punto è che come dice Laura, nelle famiglie non sempre è facile andare avanti con degli stipendi medio-bassi, figurarsi spendere un sacco di soldi per la carne. In famiglia, nei limiti delle possibilità, siamo per il “meno ma meglio” e per il “non compriamo borse di Chanel, ma almeno il Lidl lo evitiamo come la peste”. Piccoli accorgimenti, il macellaio di fiducia, il fruttivendolo di fiducia (in inverno) o il mercato ortofrutticolo dove acquista anche il nostro fruttivendolo, un orto, poca carne, pochissime uova, pesce perché ne siamo golosi.
Ma questo basta, per cambiare? Non lo so mica…
Se poi penso a chi di figli ne ha più di tre… la cosa si complica ulteriormente.
Come ho scritto nell’articolo, per avere carne migliore e allo stesso tempo non smenarci con il bilancio famigliare sarebbe indispensabile consumarne meno, il che sarebbe a tutto vantaggio della salute. E consumarne meno, in un mondo utopico in cui tutto il bestiame pascola beatamente per verdi prati e valli, sarebbe anche esigenza di mercato: ci sarebbero mandrie meno numerose, quindi meno offerta (ma più buona).
Ovviamente sto descrivendo una Repubblica platonica: esiste solo a livello di “pensiamo al meglio che c’è” 😛 Nella concretezza dei fatti, i piccoli accorgimenti di cui parli tu sono il fine a cui una famiglia media può puntare: scendere a patti con tutte le variabili che influenzano la salute, il reddito e le necessità.
Però, sai, io vedo anche tanta incoerenza in campo alimentare: spendere pochissimo per le materie fresche, e poi a conti fatti pagare uno sproposito per la merendina ipocalorica ipolipidica con cioccolato magro aggiunto. Ma qui ci addentriamo troppo nella sociologia, che non mi spetta… 🙂
Sebbene ripeterlo ormai mi sembri banale, penso che sia chiaro che ridurre il consumo di carne sia necessario quanto ormai ritenuto dato oggettivo. Lo studio citato da Repubblica si basa su una comparazione tra porzioni ideali, in cui ideali significa esattamente il contrario della situazione reale in cui le proteine superano la frutta e la verdura: quello studio mette in luce come ci debba esser immediatamente una riduzione del consumo di carne. Cmq bell’articolo, è sempre importante sottolineare che anche se non si decide di fare la scelta vegetariana, la scelta giusta sarebbe quella della qualità di un’alimentazione biologica, più genuina e sana. Anche io come madre cerco anche con il mio lavoro di spingere la cultura di un’alimentazione più attenta a ingredienti bio di altissima qualità.
Per quanto però i miei ortaggi vengano dall’orto c’è da spendere un po di più per la praticità di una pasta secca: sebbene sia sempre alla ricerca di alimenti freschi non voglio rinunciare a alimenti di qualità ma più pratici. ciao
Grazie per il tuo commento, a presto! 🙂
Ti metto questo commento con grande ritardo, ma ho trovato l’articolo curiosando nel tuo bel sito che non conoscevo. Io sono un’esperta di erbe commestibili e degli ecosistemi in cui crescono: ora le mie amate erbe stanno scomparendo perchè non ci sono più gli animali al pascolo, in simbiosi con i quali si sono evolute per millenni. Per quanto è estremamente dannoso l’allevamento industiale, è altrettanto utile per l’ambiente quello al pascolo, e questa solitamente è una cosa che non dice nessuno. Nei terreni abbandonati si modificano gli ecosistemi, e diminuisce tantissimo il numero di piante presenti, non sto qui ad entrare in dettaglio. E’ vero che l’allevamento brado richiede una maggior estensione di terreno per capo, ma in Italia esiste una quantità enorme di prati e boschi incolti e degradati, che un tempo erano bellissimi e pieni di fiori e piante utili
. Complimenti per il tuo lavoro!
Grazie per aver commentato Cristiana, sarebbe molto importante per me approfondire questo argomento… Magari l’anno prossimo provo a contattarti privatamente per un paio di informazioni, se non è disturbo 🙂