Settimana scorsa Martina ci ha spiegato il quadro psicologico che sta alla base di quelle che abbiamo definito “abbuffate soggettive”: abbiamo visto che questi episodi sono tanto più frequenti quanto più rigida è la dieta. Vediamo oggi che provvedimenti alimentari è utile attuare per debellare le abbuffate, o anche solo quegli sgradevoli sgarri che ci lasciano in balìa del senso di colpa.

Nota bene. I consigli che vi darò -così come quelli dati da Martina- possono essere utili fino a un certo grado di conflittualità con il cibo; non sono sicuramente il sostituto di una terapia cognitivo-comportamentale in caso di disturbi dell’alimentazione veri e propri, di lunga decorrenza, e dal forte potere penetrante nella vita quotidiana. Abbiamo deciso di trattare il rapporto conflittuale con il cibo nella sua accezione potremmo dire subclinica, ovvero quando rappresenta motivo di sconforto e di mancanza di stima per sé stessi; i DCA più importanti devono essere curati con un team di dietisti, psicologici, medici: la risoluzione del problema non è semplice e va affrontata su più fronti.

Lasciando perdere per un istante le cause psicologiche (stress, nervosismo, bisogno di conforto dal cibo), esistono due meccanismi scatenanti che potremmo ricondurre alla sfera alimentare: in primis -come Martina ci ha brillantemente illustrato- c’è quell’insinuoso effetto collaterale per il quale abbiamo voglia di ciò di cui ci priviamo. L’alimento proibito diventa tentazione, sacrificio e condanna: lo desideriamo, e allo stesso tempo lo connotiamo di un forte valore simbolico; l’alimento tenta la nostra volontà, è simbolo della nostra forza finché siamo in grado di voltargli le spalle, ma diventa il nostro peggior nemico nel momento in cui l’abbiamo tra le mani. Il cibo incriminato assume quasi un valore trascendente: è qualcosa di cui assolutamente privarsi, ma che diventa automaticamente ‘permesso’ -e permesso in larga quantità- qualora avessimo già commesso l’innocente sbaglio di averlo assaggiato. Non esistono gradazioni di grigio: o tutto o niente. O ce ne priviamo totalmente, o ci strafoghiamo: sappiamo benissimo che da un punto di vista calorico-metabolico non è la fettina di torta o il biscottino o la pizza che compromettono l’andamento di una dieta dimagrante, eppure il potere psicologico di ciascuno di questi alimenti è tale che se solo ne assaggiamo un boccone nella nostra testa dipingiamo scenari catastrofici, ci colpevolizziamo, pensiamo di aver mandato tutto all’aria; contemporaneamente alla nostra autofustigazione, addentiamo un altro boccone e poi un altro ancora. Scateniamo l’abbuffata, in un misto di emozioni: l’ebbrezza di gusti proibiti, la perdita di controllo e la forse inconscia punizione che ci affliggiamo per essere stati deboli, quasi pensando che l’abbuffata sia il giusto prezzo da pagare per quella che era un’innocente tentazione, che se fosse rimasta tale non avrebbe avuto conseguenze né fisiche né psicologiche.

La suddivione mentale di “cibo permesso e cibo proibito” è sicuramente la causa di molte abbuffate, ma non è l’unica. Ce n’è un’altra, più attinente a questioni meramente fisiologiche, e si chiama omeostasi. L’omeostasi è quel sottile equilibrio organico che il nostro corpo tenta di preservare anche in situazioni estreme, ed ha a che fare con qualsiasi sua funzione o qualsiasi suo distretto corporeo: l’aumento della termogenesi da brivido è la risposta omeostatica al freddo; l’aumento della sudorazione è la risposta al caldo; l’aumento del cortisolo è la risposta allo stress; l’aumento della fame è la risposta alla privazione.

Il nostro corpo ha bisogno di un equilibrio dei macronutrienti tale per cui diete troppo restrittive innescano le abbuffate come meccanismo di risposta ad una situazione che l’organismo vive come “carestia”.

Dunque, ecco che nella genesi delle abbuffate entra in gioco anche un fattore fisiologico (ossia comune a tutti noi e non solo dipendente dalla nostra psiche). Persone che hanno un brutto rapporto con il cibo, persone depresse, ansiose o ipercritiche tendono ad essere molto più sensibili alle abbuffate da restrizione alimentare perché in loro i due condizionamenti (fisiologico e psicologico) si sommano.

Ora che abbiamo descritto i due vettori che portano alla compulsione alimentare, veniamo ai consigli pratici: quali strategie sono consigliabili per evitare il più possibile il rischio di abbuffate?

Aggiungere, non togliere.
Spesso (e discutibilmente) quando ci si mette a dieta si tagliano completamente alcune categorie di cibo: abitudine sconsideratamente pericolosa in cui ha un brutto rapporto con il cibo, perché non farà altro che aumentare il desiderio di quegli stessi alimenti che si sono proibiti. Non sottovalutiamo il potere psicologico del cibo: se siamo a rischio di abbuffate non è assolutamente il caso di sottoporci allo stress della rinuncia totale di un determinato alimento.

Consumare cibi “pericolosi” in situazioni che offrano deterrenti.
Purtroppo bisogna tener conto anche dell’altro lato della medaglia: per alcune persone esistono degli alimenti che rappresentano un pericolo di abbuffata sia quando totalmente assenti (perché innescano il desiderio compulsivo) sia quando sono “consentiti” perché se ne vorrebbe una quantità sempre maggiore rispetto a quella lecita: non è sufficiente “un biscotto”, se ne voglio 10-15.
Altro esempio. Esistono alimenti che fin da quando siamo piccoli associamo a qualcosa di molto gustoso ma da mangiare con moderazione perché -come ci ricordava la mamma o la rivista di benessere di turno- “fanno male”: la pizza, il pane, i formaggi, le fritture. Anche inserendo tali alimenti in un contesto di alimentazione consapevole, vale a dire senza demonizzarli, c’è il rischio che la loro atavica connotazione negativa spinga ad un’abbuffata, come se appena sotto il proprio conscio si avesse la sensazione di mangiare qualcosa di proibito che fa scattare il ben noto meccanismo del “…tanto ormai!”.
Un buon compromesso in questi casi è organizzare un’uscita con amici o parenti per mangiare con loro la pizza (o qualsiasi altro alimento pericoloso): assoceremo al momento goloso la situazione conviviale, e la presenza di altre persone farà da freno ad una nostra eventuale compulsione successiva.
Senza privarci di nulla, facciamo in modo di consumare gli alimenti più tentatori nelle occasioni in cui la presenza di altre persone farà da deterrente alla nostra abbuffata: in questo modo non rimarremo con la voglia del dato alimento, ma allo stesso tempo gli avremo impedito di essere pericoloso. Sfruttiamo merende con le amiche per una cioccolata con panna, pomeriggi di studio in compagnia per i biscotti, cene fuori per la pizza, pranzi di famiglia per lasagne o cannelloni. Non facciamoci cogliere impreparati: scegliamo preventivamente di mangiare qualcosa di pericoloso, perché se usciamo di casa pensando di ‘resistere’ e poi -sulla scorta delle insistente altrui- cediamo alla gola ci sentiremo deboli e sconfitti, più vulnerabili; invece, avendo preventivato lo sgarro, ci sentiremo autorizzati a goderne: purtroppo l’abbuffata risente fortemente della nostra coscienza, come se ci fosse un giudice superiore che ora permette, ora nega.
Cerchiamo di fare in modo che l’occasione in cui sgarrare si protragga per un tempo sufficiente a debellare la nostra frenesia: se abbiamo un brutto rapporto con il cibo potremmo “fare i bravi” finché siamo in pubblico, ma rinchiuderci in cucina non appena torniamo a casa.
Per questo è importante ricordare che il desiderio di abbuffata raggiunge un acme, un vertice, per poi decrescere: l’intensità del desiderio di cibo non si mantiene elevata per delle ore, ma viene smorzata dallo scorrere del tempo. Ecco perché è importante assicurarsi di avere qualcuno vicino per tutto il periodo potenzialmente pericoloso pre-abbuffata, che in genere dura 30-60 minuti.

Programmare “bonus” a frequenza giornaliera, settimanale o bisettimanale.
Beninteso che in caso di disturbo alimentare conclamato è assolutamente controproducente intraprendere una dieta dimagrante prima di averlo completamente risolto, se il nostro problema di abbuffate soggettive è di piccola entità il mio suggerimento è quello di iniziare la dieta inserendo un ‘bonus’ che ce la faccia pesare meno.
Sapendo di avere questo momento in cui indulgere alla gola non ci sente privati delle proprie tentazioni e si vivrà con meno costrizione il resto della dieta.
La frequenza e la consistenza dello ‘sgarro’ sono da valutare individualmente: c’è chi si sente più tranquillo con 20 g di cioccolato al giorno, e chi invece preferisce avere una cena completamente libera a settimana. Se il resto della dieta è ben calibrato vi assicuro che non sono questi extra a frenare il vostro dimagrimento.

Seguire un’alimentazione bilanciata nella suddivisione dei macronutrienti.
E’ imprescindibile che il tipo di alimentazione che si intende seguire -sia esso dimagrante o meno- non sia a ridotto contenuto di proteine e grassi, e che abbia il giusto apporto di carboidrati. Diete sbilanciate sono vissute dal corpo come una privazione di cibo: soggetti predisposti ad abbuffate saranno a maggior rischio di recidivare questo comportamento.

Ricordarsi che “lo zucchero chiama zucchero”.
Quando il nostro corpo ha fame indirizza la sua scelta verso quegli alimenti che gli danno energia di pronto utilizzo: i carboidrati, semplici (dolci) o complessi (farinacei).
La fame “vera” è causata da un abbassamento dei livelli di glicemia sotto la soglia che permette al cervello di lavorare bene: gli alimenti che fanno risalire più velocemente la glicemia sono i carboidrati. La fame nervosa o compulsiva tende ad orientarsi verso i carboidrati, l’unico tra i macronutrienti che sia connesso ai meccanismi di gratificazione cerebrali in senso meramente biochimico: una fiorentina può farci sentire appagati in senso edonico (gratificazione generale), ma una fetta di torta, con i suoi zuccheri e le sue farine, va a sollecitare gli stessi meccanismi cerebrali connessi alla dipendenza da sostanze, seppure in forma nettamente minore.
Sia nel caso di fame vera che in quello di fame compulsiva i carboidrati sono la scelta versa la quale siamo naturalmente predisposti ad orientarci: non si tratta di semplice debolezza o mancanza di volontà, ma è una risposta fisiologica del nostro organismo. Purtroppo se abbiamo un brutto rapporto con il cibo e mangiamo prodotti a base di carboidrati, tendiamo a non averne mai abbastanza: avremo sempre voglia di un pasticcino in più, mentre se avessimo nel frigorifero solo carne, uova e verdure smetteremmo molto prima anche se il desiderio di cibo -di un altro genere di cibo- rimarrebbe presente. Vi è mai capitato di sentirvi sazi ma di avere ancora il pensiero rivolto al pane, al dolce o ai tarallini? Se vi venissero offerti li accettereste volentieri, mentre non pensereste ad un bis di bistecca.
Se però state pensando che togliere i carboidrati sia la soluzione migliore, vi state sbagliando di grosso: una privazione di carboidrati troppo rigida predisporrà ad un’abbuffata ulteriore, mentre la giusta presenza quotidiana di questi nutrienti ci aiuterà a non connotarli più come negativi. Vi consiglio di introdurre quotidianamente nella vostra alimentazione carboidrati complessi, come la pasta o i cereali, le patate, il pane, e di riservare alle occasioni (o bonus) di cui sopra i carboidrati più golosi – ossia dolci, pizza, tarallini e prodotti da forno.

Mangiare piano.
Qualsiasi pasto stiate facendo e qualsiasi sia il vostro stato d’animo, mangiate piano e masticate a lungo; concentratevi sul cibo. Lasciate il cellulare e il pc in un’altra stanza, spegnete il televisore e cercate di mangiare in un’atmosfera serena.
Non negate il cibo. Non fatelo diventare qualcosa di automatico come il respiro, o -peggio ancora- qualcosa da vivere sommessamente, di nascosto e con disagio. Mettete nel piatto e sul tavolo ciò che volete mangiare ad ogni pasto, e prima di cominciare a consumare gli alimenti prescelti chiedetevi se vi basteranno, se sono troppi o se sono troppo pochi. Aggiungete o togliete cibo, e non iniziate a mangiare finché non sarete sicuri di poter gestire con un buon autocontrollo il pasto: per evitare un’abbuffata è meglio programmare gli extra del pasto (es.dolcetto finale o una porzione più abbondante di primo) piuttosto che tornare di soppiatto in cucina a prendere ciò che si desidera. I due atteggiamenti sono diversi, e fanno la differenza: nel primo caso si ammette a sé stessi di avere quel determinato desiderio e si valuta se sia il caso o meno di metterlo in tavola (chi si abbuffa si conosce meglio di quanto crede… Sa quando rischia di più a mangiare e quando a non mangiare un determinato cibo). Nel secondo caso il solo fatto di aver precedentemente negato la concessione del dato alimento fa vivere con disagio il momento in cui si cede allo stesso: ci si sente deboli, vulnerabili, e colpevoli.

…e quando l’abbuffata è dietro l’angolo?
Chi si abbuffa lo sa: l’abbuffata ha un modo tutto suo di presentarsi. Può cominciare al mattino, perché avete mangiato un biscotto in più che vi graverà sulla coscienza fino a sera quando rientrate dall’ufficio e siete finalmente liberi di fare razzia della dispensa. Oppure può essere più insinuosa: subito dopo aver mangiato la frutta per merenda vi viene voglia di aprire l’armadietto dei dolci.
State calmi: come vi ho detto prima l’abbuffata ha i suoi tempi, raggiunge un apice di desiderio per poi decrescere piano piano. Prima ammettete con voi stessi che siete in pericolo, prima riuscirete a correre ai ripari: se convivete con le abbuffate da lungo tempo sapete che negare di essere a rischio non serve a nulla, perché i segnali sono ben chiari. Trovate il prima possibile qualcosa da fare, possibilmente qualcosa che vi metta a stretto contatto con voi stessi: fate una lunga doccia calda anche se sono le tre del pomeriggio, pettinatevi, truccatevi, incrematevi, toglietevi la tuta e mettete vestiti “veri” anche se siete soli in casa. Non perdete il controllo di voi, non negate il vostro corpo.

E soprattutto non pensate “non ho tempo per fare queste cose”: sapete che se vi mettete davanti al computer o alla tv o sui libri nel giro di poco vi alzerete per andare in cucina. Prevenitelo, perché vi conoscete. Butterete via 30-40 minuti ma avrete scampato l’abbuffata. E sarete più profumati e belli che mai!
Vi consiglio -come già accennato da Martina settimana scorsa- di fare una lista preventiva delle cose da fare nei momenti più pericolosi per l’abbuffata: pensateci prima, così da non essere impreparati; sapete che prima di un’abbuffata è impossibile concentrarvi su altro, quindi fate in modo di avere già una lista di cose da fare che vi tenga impegnati.

Essere gentili con sé stessi e non avere fretta.
Correggere un brutto rapporto con il cibo è un percorso che presenta qualche passo a gambero: tre avanti, uno indietro.
Siate realistici: non è possibile interrompere di punto in bianco un ciclo di abbuffate che dura da anni, delle cadute ci saranno sempre.
Siate ottimisti: queste cadute saranno sempre meno frequenti e sempre meno pesanti, si diraderanno il tempo e diventeranno qualcosa di più simile ad uno sgarro per golosità che non un’abbuffata.
Siate tolleranti: chi ha vissuto un disturbo dell’alimentazione difficilmente ne esce completamente; ci saranno momenti della sua vita particolarmente stressanti nei quali le cattive influenze si ripresenteranno. E’ una vostra debolezza, non una vostra colpa. Fa parte di voi e del vostro carattere: prima lo accettate, meno danni farà. Se invece continuate a negare questa parte di voi, ripetendovi che “voi non siete così”, continuerete a negare una parte di voi stessi con la quale dovete comunque convivere, e che diventerà tanto più forte quanto più intensamente voi la negherete.
Non sto dicendo che non avrete mai un bel rapporto con il cibo o con voi stessi, anzi! Voglio però farvi capire che rimarrà un vostro modo d’agire in situazioni di stress: riconoscere che anche a distanza di anni potrete passare un periodo in cui sfogherete le emozioni sul cibo vi aiuterà a riconoscere tempestivamente il problema, e a fare il possibile per non permettergli di farvi del male.