In questo primo articolo del 2015 vi parlo di me. E’ la prima volta che lo faccio.

Finora le mie pubblicazioni sono state orientate soprattutto verso un’educazione alimentare di base: in tre anni di apertura del sito, difficilmente mi sono occupata di dimagrimento e di patologie. 
Da quest’anno, invece, vedrete molti più articoli relativi all’approccio alimentare di certe patologie di cui moltissime persone soffrono, a volte senza nemmeno esserne coscienti, o -più frequentemente- senza sapere che con una corretta alimentazione sia possibile prevenire gli effetti collaterali della malattia stessa, o addirittura controllarne la progressione.
Malattie infiammatorie croniche come il morbo di Crohn o la rettocolite ulcerosa; disequilibri endocrini come ovaio policistico, dominanza estrogenica, stress surrenale; patologie autoimmuni come tiroidite di Hashimoto, psoriasi, celiachia o artrite. 
Queste e tante altre malattie possono essere gestite attraverso specifici approcci dietetoterapici, nei quali non è sufficiente “mangiare un po’ di tutto nelle giuste quantità” per poter raggiungere lo stato ottimale di salute.
Non vi parlerò solo di dieta e malattia: continueranno ad esserci articoli riguardanti la corretta alimentazione, il rapporto con il cibo, lo sport, e le ricette sfiziose.
Però, troverete anche molti più interventi riguardanti la *cura* attraverso il cibo.

Perché questa scelta? 
Perché non molto tempo fa ho saputo di avere una patologia autoimmune, e, grazie a persone che via via vi presenterò nei miei articoli, ho capito di poterla tenere sotto controllo attraverso il modo in cui mi alimento e il mio stile di vita (…ricordate, vero, cosa intendo per stile di vita?). 
Ora non mi sento affatto malata, ma lo sono stata, e quel che è peggio è che all’epoca non sapevo quello che mi stava succedendo.
Non so quando e se ricomincerò ad avvertire tutti i sintomi della mia malattia: forse sì, forse no.
Quello che posso dire è che due anni fa ho avuto un tracollo, che ne sono uscita grazie ad un medico che non smetterò mai di ringraziare, e che da allora non ho mai smesso di informarmi per poter Stare Bene.

Come alcuni di voi sapranno, le malattie autoimmuni sono insidiose anche quando silenti (come nel mio caso), perché espongono a un maggior rischio verso altre malattie autoimmuni, infezioni ricorrenti, ridotta fertilità e un -ahimé ampio- spettro di piccoli problemini di salute.

Facciamo un passo indietro.
Come alcuni di voi sapranno, ho uno splendido fratello ventiduenne che studia Neuroscienze a Brighton, e che si laureerà a luglio. Devo a lui la conoscenza e l’approfondimento di tanti studi scientifici riguardanti disequilibri endocrini femminili e terapia alimentare: si tratta di protocolli alimentari in Italia sono pressoché sconosciuti, e che invece all’estero vengono applicati da diversi anni.
Quando vado in Inghilterra a passare qualche giorno da lui mi stupisco dell’attenzione che bar e ristoranti hanno verso modi diversi di mangiare: menu per intolleranti, per celiaci, per vegani, cucina paleo. Le librerie pullulano di libri di cucina “senza”: senza glutine, lattosio, farine, soia. E ho perso il conto dei centri di yoga, agopuntura e medicina alternativa incrociati per le strade della città.
Badate bene: non sono centri in mano a stregoni poco affidabili, ma a professionisti riconosciuti dal sistema sanitario inglese. 
Insomma, anni luce rispetto all’Italia, forse a causa di una sorta di settorialità della salute nel Belpaese: ogni professionista tende ad accentrare su di sé la terapia, quando invece sarebbe molto più efficace un lavoro di squadra. Io credo che sarebbe molto più utile per il paziente avere un unico centro medico di riferimento, nel quale operano diversi professionisti con una stessa forma mentis in grado di confrontarsi sui diversi casi.
Chiusa la parentesi, torniamo all’oggetto di questo intervento.

Grazie agli stimoli che mi sono venuti da mio fratello e grazie a ricerche su Google e su Pubmed (portale di riferimento per i consulti bibliografici in ambito medico), nell’ultimo anno e mezzo mi si è aperto un mondo riguardante le cure alternative di patologie autoimmuni, ormonali e infiammatorie croniche.
Non sto parlando dell’ultimo ritrovato commerciale per una miracolosa cura dell’Alzheimer o della psoriasi, ma di protocolli terapeutici che molti medici in America, Inghilterra, Australia, Francia, Svizzera e Belgio (solo per citarne alcuni) mettono in pratica per i propri pazienti, con successo e con il supporto dell’operato di figure para-sanitarie (ad esempio, dietista, osteopata, fisioterapista, psicologo). E’ questo l’approccio conosciuto come Medicina Funzionale, una sorta di cura del corpo integrata, che mira alla risoluzione della causa e non del sintomo, e che si avvale tanto di principi farmacologici (spesso naturali) quanto di integratori alimentari, terapie meccaniche (fisioterapia o osteopatia) e sblocco emotivo (meditazione, respirazione, psicoterapia).

Non so se sia nato prima l’uovo o la gallina: il periodo in cui ho cominciato ad interessarmi alla Medicina Funzionale è coinciso con il mio tracollo fisico, che ha raggiunto il suo apice nell’estate 2013. Erano già diversi mesi che mi sentivo poco bene, sempre stanca, senza energie né fisiche né mentali; lo attribuivo allo stress e alle preoccupazioni di quel periodo. Però, i sintomi anziché regredire si moltiplicavano, e diventavano più difficili da gestire: la mia pelle era diventata molto brutta e oleosa, per qualche settimana mi sono caduti i capelli a ciocche (tanto che ho dovuto fare un taglio drastico), il mio ciclo mestruale era più che mai irregolare. Sebbene cercassi di stare attenta alla mia alimentazione, avevo cominciato a gonfiarmi e non riuscivo a perdere peso; anzi: l’appetito si era triplicato, e facevo davvero molta fatica a gestire queste nuove sensazioni. Ero abituata ad avere più fame solo quando facevo più sport: in quei mesi avevo invece dovuto ridurre la mia attività fisica perché non avevo energie, eppure la mia fame sembrava insaziabile. 
L’arrivo del caldo estivo rappresentò il colpo di grazia: ero uno straccio, e se persino quel sant’uomo del mio fidanzato mi fece notare che “avevo le braccia un po’ grosse” (“per non parlare di viso, gambe e pancia”, pensavo io), *forse* era il caso di ammettere che qualcosa proprio non andava.
I miei studi in ambito di disequilibri endocrini femminili fecero focalizzare la mia attenzione sul problema del ciclo. Avevo già contattato una ginecologa, che mi aveva proposto la pillola per regolarizzare gli ormoni (senza farmi fare esami preventivi): rifiutai. Prima di tutto, avevo già usato la pillola anni prima, e mi aveva solo dato grossi problemi. In secondo luogo, sapevo che la pillola avrebbe coperto il problema senza risolverlo completamente.

Dopo un paio di settimane di valutazioni, contattai il dottor Perugini Billi, che conoscevo grazie al suo illuminante libro “Mangia grasso e vivi bene”. Volevo essere curata in modo naturale, cosa che lui fece: il dottor Perugini mi aiutò con integratori fitoterapici, omotossicologici e ayurvedici. Inizialmente usavo un paio di rimedi, che in seguito sostituì con altri tre. La cura durò in totale due mesi e mezzo, e gli effetti furono quasi immediati. Le energie mi tornarono completamente nel mese di settembre, il ciclo si era subito regolarizzato, e io avevo cominciato a sgonfiarmi.
In concomitanza alle cure, decisi di cambiare alimentazione. Un po’ su suggerimento di Perugini, un po’ per quello che avevo letto nei mesi, un po’ perché a me sembrava di mangiare sanissimo, eppure non mi sentivo bene: se ero davvero convinta che l’alimentazione cambia la salute, era il caso di cambiare prospettiva e cominciare a sospettare che il modo in cui mangiavo non era sano *per me*.

Intendiamoci, non è che mangiassi male. All’epoca avevo un’alimentazione perfetta, stando alle Linee Guida, ma quasi agli antipodi rispetto quanto avrebbe fatto bene a me. 
Mangiavo cereali integrali tutti i giorni, tanta frutta e verdura, yogurt intero ad ogni colazione, zero uova, poca carne, pesce due o tre volte a settimana, legumi molto frequentemente, anche soia. Il mio introito giornaliero di grasso era rappresentato da un paio di cucchiai di olio extravergine al giorno, e un paio di manciate di frutta secca.
Sono profondamente convinta che quando qualcosa a livello organico è sbilanciato, la prima cosa da fare sia correggere l’alimentazione; la mia esperienza di dietista mi diceva: non esiste *la* dieta perfetta, ma la dieta perfetta *per te*.
Allora, ho cambiato. 
Nelle prossime settimane vi spiegherò più nel dettaglio quello che ho modificato della mia alimentazione. Inizialmente gli accorgimenti che ho adottato erano sullo stile di una dieta per ovaio policistico, perché -pur essendo certa di non soffrire di PCOS- sapevo che era un modello alimentare che ben si adegua a quasi tutti gli squilibri endocrini femminili. 
Vidi i primi risultati dopo qualche settimana, anche grazie alle cure che stavo facendo. Poi però non ci fu più bisogno di fare cure, e continuai semplicemente con la dieta: da quel terribile luglio-agosto 2013 non mi sono più sentita così debole, senza energie, gonfia e rallentata (anche mentalmente), e so che devo moltissimo al mio cambiamento alimentare.

Certa che la radice dei miei problemi fosse uno squilibrio degli ormoni sessuali, una volta che quello si regolarizzò e che io ripresi le mie energie, non feci più caso a tante altre piccolezze che scoprii in seguito essere segnale che qualcosa ancora non andava, ma che per me erano semplicemente sintomi familiari, che ho forse da sempre. 
Ad esempio, l’avere costantemente freddo, anche con 40 gradi. Avere una temperatura corporea basale che spesso andava sotto i 36°C. Il cerchio alla testa di cui soffrivo in tarda mattinata. I frequenti giramenti di testa. Il dolore alle articolazioni di caviglie e ginocchia. La pressione molto bassa. Un nervosismo e un’ansia spesso ingiustificati. Un colesterolo totale molto elevato (fortunatamente con quello buono HDL altrettanto alto), che non scendeva con alcun tipo di modifica alimentare.
Durante l’estate 2014 si sono presentati anche altri piccoli “acciacchi”, sporadici ma fastidiosi: formicolio alle mani, occhi molto secchi, di nuovo un ciclo irregolare, e -da un esame suggerito da Perugini- vitamina D molto bassa nonostante una costante esposizione solare (la vitamina D è carenziale soprattutto -ma non solo!- in caso di squilibri ormonali e malattie autoimmuni).
Avete presente quando cominciano a mettersi insieme i puntini? Ecco, credo sia proprio quello che è successo a me. 
All’improvviso cominciai a pensare che non fosse un problema di ciclo, ma di tiroide. Giusto per non essere presa per visionaria, decisi di testa mia di fare l’esame della tiroide. Risultò che avevo gli anti-TPO elevati.
Gli anti-TPO sono anticorpi prodotti dal corpo contro un enzima coinvolto nella produzione degli ormoni tiroidei; la loro presenza nel sangue è segno di una patologia autoimmune, la tiroidite di Hashimoto, che ha tra le sue conseguenze tutta la serie di sintomi che vi ho citato (e molti altri, quando la tiroidite è attiva e non compensata).
Onestamente, quando ho fatto gli esami del sangue non credevo di avere altro che un lieve ipotiroidismo; la patologia autoimmune è qualcosa di più, perché potrebbe portare a conseguenze un po’ più complesse che il semplice ipotiroidismo. 
Non mi sono propriamente spaventata: per ora la malattia è silente (a parte i simpatici sintomi di cui sopra, che vanno e vengono, ma che non sono debilitanti). Però devo stare attenta, devo adottare una *dieta & stile di vita* che non portino ad una degenerazione della malattia, perché non ho proprio intenzione di passare la vita a prendere farmaci, chimici o naturali che siano.

Da quello che ho letto negli ultimi due anni, dalle mie ricerche, dalle testimonianze di chi ci è passato a livello molto più debilitante rispetto a me, so che la prima soluzione per contrastare l’ipotiroidismo è la dieta. 
Così, ho deciso di dare l’ultima sferzata alla mia alimentazione, e di renderla al 100% adatta a contrastare l’Hashimoto. 
In università tutto quello che dicono in relazione all’ipotiroidismo è: “si tratta di una patologia che porta ad ingrassare, quindi bisogna dare meno calorie e incitare a fare attività fisica”. 
*Per fortuna* esiste lo studio individuale, ed esiste internet, dove tantissime persone hanno condiviso la propria esperienza e hanno stimolato le ricerche della Medicina Funzionale in America, Australia e Gran Bretagna.
Come ho detto, in Italia è molto poco conosciuta, e ancora meno conosciuto è l’approccio alimentare che si affianca alla Medicina Funzionale. 
Perché si conosce poco, se funziona? Vi chiederete.
Bella domanda, alla quale non so se saprei rispondere. 
Forse perché alle persone piace sentirsi dire quello che si aspetta di udire, e non frasi tipo: “Questo non lo puoi proprio mangiare: non ti farà ingrassare, ma peggiorerà la tua patologia”. Forse perché è difficile pensare che sull’alimentazione *non* patologica funziona il principio dell’accumulo, mentre sulla patologia funziona quello dell’interruttore. Vale a dire: se sei una persona sana e in salute, è chiaro che anche le cose più deleterie (es. junk-food) non ti fanno male se assunte sporadicamente e senza eccessi; ma se hai certe malattie, alcuni alimenti che per altri sono normalissimi, a te causano conseguenze molto amplificate e fastidiose: ad esempio, i latticini per la PCOS, oppure il glutine per l’ipotiroidismo. 
Oppure, forse perché in Italia c’è ancora un forte tam-tam per la dieta mediterranea, con tutte le male-interpretazioni che ne conseguono; è difficile accettare il fatto che per alcuni di noi pane, pasta e pomodori non sono propriamente amici della salute. E che invece altri alimenti spesso demonizzati possono diventare preziosi alleati (ad esempio, sempre in relazione a ipotiroidismo, uova, grassi anche animali, carne bianca naturale e ruspante).

Non è stato facile per me in primis scontrarmi con una realtà che prima credevo essere solo frutto di estremismo alimentare deleterio e infondato: mi immagino come si possa sentire una persona che non sa nulla di alimentazione, presa tra due fuochi e da opinioni discordanti, tutte sostenute da studi scientifici in apparenza validissimi.
Se non fossi dietista, forse parlare di queste tematiche sarebbe per me più facile. Da dietista, invece, rischio che le mie parole vengano fraintese: è per questo che non ne ho mai apertamente parlato sul sito. 
Nelle ultime settimane invece ci ho pensato a lungo, e ho deciso di aprire le porte anche alla trattazione di questi tipi di “diete alternative” per chi, come me, ha delle malattie che rischiano di deteriorare la salute psicofisica se non vengono tenute sotto controllo. 
Al momento del mio ‘tracollo’ ho avuto la fortuna di incappare nei siti giusti (ossia, supportati comunque da evidenze scientifiche e non da fumose supposizioni new-age) e di incontrare il medico giusto (il dottor Perugini); ho avuto la fortuna di avere le basi didattiche per interpretare certi dati; e ho avuto la fortuna di capire che non si trattava di “restringere l’alimentazione”, bensì di “cambiare alimentazione”. Ho dedicato molto del mio tempo a cercare fornitori di cibo consapevole che potessi mangiare senza spendere un patrimonio, ho cercato ricette e libri di ricette sfiziosi, ho continuato ad adattare la mia dieta ai miei sintomi.
Quindi, mi sono detta, perché non condividere la mia esperienza e le informazioni che ho reperito? Potrebbe essere d’aiuto a tanti altri che brancolano nel buio.

A fianco di tanti articoli che continueranno comunque a parlare di alimentazione salutare per persone sane, che possono mangiare il famoso “poco, ma di tutto”, comincerò a parlarvi anche di altri stili alimentari adatti a certe patologie. 
E vi parlerò di come mangia una dietista con Hashimoto, sia quando è a casa che quando si trova al ristorante (il mio ragazzo dice che sono diventata l’incubo di ogni chef… Ma quando si tratta di salute, non c’è Cracco che mi possa fermare!).

Presto pubblicherò il primo articolo riguardante l’ipotiroidismo, con una collaborazione preziosissima sia a livello personale che professionale.