Su questo sito ho (quasi) sempre parlato di alimentazione, accenando all’argomento ‘integrazione’ solo di sfuggita, e dedicandovi un vero e proprio articolo solo una volta (questo, in relazione all’attività sportiva).
Sono sempre stata contraria a suggerire supplementi “di default” alle mie pazienti, a meno che non fossero accertate carenze vitaminiche, come spesso accade in caso di squilibri endocrini, allergie, problematiche di cattivo assorbimento intestinale e disbiosi. Insomma, sono sempre stata convinta che se una persona sta bene ed è in salute, non necessita di alcuna integrazione perché il suo organismo è in grado di prendere tutto quello che è necessario da quello che mangia.
Ebbene, negli ultimi due anni mi sono (parzialmente) ricreduta.
Non nel senso che io ritenga necessaria un’integrazione a occhi chiusi, ma nel senso che a volte anche condizioni apparentemente “di salute” possono nascondere sintomi o problematiche transitorie correggibili con una supplementazione ciclica (ossia non continua: a fasi alterne, oppure per un breve periodo fino alla remissione del sintomo).
Mi riferisco chiaramente a integrazioni gestibili da me in quanto dietista: esiste poi tutta una serie di sostanze ad azione terapeutica che non necessitano della prescrizione di un medico per poter essere acquistate, ma che di fatto devono essere consigliate da chi di competenza, perché la loro somministrazione può perturbare l’equilibrio endocrino e funzionale della persona, portando anche ad effetti collaterali di rilievo quando mal gestite. Prendiamo ad esempio, banalmente, la vitamina D: a bassi dosaggi è un supplemento in caso di carenza; a dosaggi elevati (in genere sopra le 10.000 UI/giorno) è un vero e proprio farmaco ad azione ormonale che può alterare i valori di calcemia e PTH e di alcuni ormoni.
Andiamo con ordine.
Di cosa stiamo parlando?
Per prima cosa, un paio di definizioni e considerazioni.
Si parla di integratore o supplemento quando ci si riferisce ad un prodotto contenente in forma concentrata alcune sostanze nutritive che possono essere carenti nella dieta del soggetto: possono essere, ad esempio, le classiche vitamine o minerali, ma anche fibre, aminoacidi, acidi grassi (omega3 e omega6), estratti vegetali ad azione antiossidante e così via. A volte i supplementi sono addizionati ad un prodotto alimentare: pensiamo ad esempio ai cereali da prima colazione arricchiti di vitamine del gruppo B o alla margarina vegetale addizionata di omega3.
La legge è molto chiara quando si parla di integrazioni: nella loro etichettatura non si può fare riferimento a proprietà terapeutiche o di prevenzione, che nella percezione comune li metterebbero sullo stesso piano dei farmaci e li caricherebbero di un valore curativo che, di fatto, non hanno. Per questo motivo sugli integratori alimentari, al più, trovate scritto che “è un aiuto per… può contribuire a…”: tutto nell’ottica dell’ipotesi, com’è giusto che sia.
Chi può suggerire l’uso di integratori?
Tutti e nessuno. La legge prevede chiari limiti a quelle che sono le prescrizioni mediche relative a farmaci, ma non dà indicazioni riguardo i “consigli”: gli integratori possono essere opportunamente presi a seguito del consiglio di chi è competente in materia, ma anche su iniziativa personale o perché te l’ha consigliato l’estetista, il parrucchiere o la dirimpettaia.
Questo vuoto legislativo non deve trarre in inganno: si potrebbe credere che, proprio perché non vi è l’esplicita richiesta di un medico, gli integratori alla fin fine non possano fare male, e che, anzi, “non possano far altro che bene”.
Sbagliatissimo.
L’uso scriteriato di integratori può portare a effetti collaterali quando tale supplementazione è inutile o inadeguata. Ad esempio, in soggetti ipermetilanti l’uso della vitamina B12, anche qualora risultata carente da esami del sangue, può portare a crisi di ansia e mal di testa; oppure, l’uso di vitamina D in persone con alterazioni del PTH può portare a scompensi a carico delle paratiroidi; oppure ancora, consigliare la maca per la fertilità di una donna con gli androgeni elevati potrebbe non far altro che peggiorare il quadro endocrino.
Inoltre, è importante anche considerare il modo in cui l’integratore è stato formulato. Molto banalmente, esistono almeno cinque forme chimiche del magnesio: quando lo assumiamo “perché rilassa” sapremmo dire quale forma stiamo supplementando? E’ quella ideale al fine che vogliamo ottenere? L’integratore che stiamo usando prevede anche sostanze sinergiche che ne amplificano l’efficacia? Ha un rilascio graduale? E’ incapsulato in modo che superi efficacemente la barriera acida dello stomaco? Se stiamo assumendo un principio fitoterapico, abbiamo idea della titolazione e della specifica provenienza (tanto per dirne una: spesso la radice di una pianta ha proprietà diverse rispetto alle gemme, sapremmo dire quale parte è contenuta nel nostro integratore?)?
Insomma, anche qualora si trattasse di “sostanze naturali” o di “semplici vitamine” è bene che siano indicate da qualcuno che conosce le varie interazioni del principio attivo, e che sappia indicarci una specifica posologia in termini di quantità e durata della somministrazione.
Quando assumere gli integratori?
La definizione di integratore o supplemento racchiude in sé l’idea che siano sostanze da usare nel momento in cui la persona non riesce a ricavarle dalla normale alimentazione.
E già qui si apre un dilemma: come si capisce se una persona stia assumendo a sufficienza di una determinata sostanza attraverso il cibo di cui si nutre? In genere, dagli esami del sangue è possibile capire se ci sia uno stato carenziale.
Ma ecco che si apre non uno, ma ben tre dilemmi collaterali:
1. I range di riferimento del laboratorio di analisi sono calcolati per una persona “media”: mediamente in salute, mediamente attiva, di età media… A volte capita che il valore attestato “rientri nella media”, ma sia troppo poco/troppo tanto per la specifica persona. Ad esempio, ritornando sull’esempio classico della vitamina D, una ragazza in amenorrea può testare la sua vitamina D e vedere che “è nei range”; tuttavia, in relazione alla condizione specifica e personale di amenorrea, tali valori potrebbero essere troppo bassi e richiedere supplementazione.
2. Alcuni valori devono essere messi in relazione ad altri per poter decretare se ci sia effettivamente bisogno di supplementazione. Ad esempio, il ferro: dosare il ferro nel sangue (sideremia) non serve pressoché a nulla. Se anche il valore fosse troppo basso, deve essere messo in relazione ad altri esami per avere un quadro completo della situazione (emocromo completo, ferritina, transferrina, piastrine, a volte anche vitamina B12…). Infatti, se la sideremia fosse bassa potrebbe essere per motivi diversi rispetto ad una concreta carenza: integrare il ferro quando non sia effettivamente necessario può diventare pericoloso, poiché è uno dei minerali più pro-ossidanti presenti in natura
3. Dagli esami del sangue non è possibile evincere qualsiasi tipo di carenza relativa all’alimentazione: ad esempio, non è possibile rilevare se ci sia una carenza di fibra, di fermenti lattici, di antiossidanti. E’ compito del professionista, attraverso l’anamnesi del paziente e la valutazione del suo modo di alimentarsi, capire se sia necessario integrare alcuni elementi che risultano essere indosabili attraverso specifici esami.
Che ruolo svolge l’alimentazione in caso di conclamata carenza?
La domanda è più che lecita: se viene attestata una carenza nutrizionale, la scelta di integrarla attraverso un supplemento è l’opzione “facile” o l’opzione “saggia”? Vale a dire, scegliamo di ricorrere al supplemento in pastiglie perché cambiare modo di alimentarci sarebbe troppo complicato, o effettivamente l’alimentazione non può fare granché?
*Dipende*.
Partiamo da due dati di fatto:
1. L’alimentazione *media* attuale è alquanto povera di vitamine, minerali e antiossidanti. La causa è da ricercarsi nella scarsa varietà delle scelte alimentari, sommata ai metodi intensivi di agricultura.
Pensate a quanta frutta e verdura mangiate: forse 3-4 tipologie di frutta in inverno e qualcuna in più in estate, idem per la verdura; e per ciascuna categoria (mela, pera, melanzana…), chiedetevi se ne consumate una sola tipologia (mela gialla Golden, pera Kaiser, melanzana tonda…) o se sulla vostra tavole se ne trovano anche di diverse (pensate che esistono più di 50 varietà di mele!). Considerando che la protezione antiossidante è tanto maggiore quanto ampia è la varietà di cibo che assumiamo, possiamo ben capire quanto questo fattore conti.
I metodi di coltivazione, invece, incidono sulla concentrazione di vitamine e minerali: pensate che un mirtillo selvatico può contenere dieci volte la vitamina C di un mirtillo di serra! E che l’insalata dell’orto contiene venti volte più acido folico di quella in busta “ready to eat”.
2. A volte (anzi, oserei dire spesso) una carenza nutrizionale non dipende dallo scarso apporto alimentare, quanto piuttosto a problemi di assorbimento intestinale o altri fattori metabolici. Ad esempio: tantissime persone soffrono di anemia da carenza di ferro, ma guardando il modo in cui si alimentano si può escludere che non ne introducano a sufficienza (magari mangiano carne quasi tutti i giorni); e allora, dove è da ricercarsi la causa della carenza? Le possibilità sono molte: cattivo assorbimento intestinale, nella donna perdite di ferro a causa di fibromi o per via del ciclo mestruale, eccesso di calcio che limita l’assorbimento di ferro…
Di fatto, quando c’è una carenza alimentare potrebbe essere poco utile aumentare il consumo di alimenti che contengono l’elemento carenziale. La scelta di optare per una supplementazione esterna non è solo una comodità, ma una necessità vera e propria.
Questo, ovviamente, non toglie che nella maggior parte dei casi è utile accostare cambiamenti alimentari ad una supplementazione specifica: la supplementazione esterna permette di correggere la carenza nell’immediato, mentre i cambiamenti delle proprie abitudini alimentari consentiranno, in futuro, di evitare (o limitare) altre carenze.
Ha senso prendere integratori quando si è sani e non ci sono carenze accertate?
Questo è un annoso e complesso problema.
In linea di massima, ha senso prendere integratori in assenza di carenze accertate e di patologie se:
1. Ci sono problemi transitori di cui velocizzare o supportare il superamento; ad esempio: perdita di capelli nel cambio di stagione; concentrazione in periodi di studio molto intenso; riposo notturno quando ci sono problemi di ansia che causano difficoltà di addormentamento o insonnia…
2. L’uso di supplementi permette di raggiungere una condizione migliore rispetto quella di partenza (ovviamente, senza cadere nel doping!). Ad esempio, l’uso di integrazioni per rafforzare il sistema immunitario prima dell’inverno, oppure l’utilizzo di certi principi fitoterapici per migliorare la circolazione linfatica e diminuire la ritenzione di liquidi, oppure ancora l’assunzione di supplementi di omega3 (per il bimbo) durante la gravidanza.
Nei prossimi articoli cercherò di approfondire la questione questi ultimi due punti, sperando di darvi spunti e suggerimenti interessanti!
3 Comments
Salve, aspetto con ansia il proseguimento dell’articolo…nel frattempo potrebbe darmi un’idea di un’integrazione per mia figlia che è da pochissimo incinta e ha ovaio micropolicistico? Aggiungo che ha preso per più di un anno inositolo, e i suoi esami ormonali risultano nella norma. Inoltre Secondo lei l’inositolo può essere proseguito anche in gravidanza? Grazie!
Non darò consigli specifici persona per persona, non essendo a conoscenza del quadro clinico e alimentare; oltretutto in gravidanza per qualsiasi necessità anche di integrazione il riferimento è sempre il ginecologo. Le auguro il meglio! 🙂
ho trovato ottima l’Alga spirulina
riguardo invece le pillole di potassio?