Abbiamo visto insieme le diverse componenti che influenzano la qualità di una tavoletta di cioccolato; ora non ci rimane che analizzare l’etichetta, vera e propria miniera di informazioni sulle caratteristiche di ciò che andremo a degustare.

Naturalmente, la prima cosa da leggere è la lista degli ingredienti, che devono essere indicati in ordine decrescente di quantità (dal più presente al meno). Vediamoli uno ad uno.

Pasta di cacao. È la componente più importante del cioccolato, ciò che ne determina gli aromi e le caratteristiche principali. Nei cioccolati migliori è l’ingrediente presente in maggiore quantità: dovrebbe essere quindi il primo della lista.

Burro di cacao. Praticamente insapore, è un grasso che oltre ad essere presente naturalmente nei semi di cacao (circa il 54% di una fava è composto da burro di cacao), viene aggiunto durante le fasi di produzione per rendere il cioccolato più morbido e facilmente scioglibile in bocca, e per facilitarne il processo di lavorazione. Un cioccolato senza burro di cacao potrebbe risultare più duro e meno piacevole al palato; d’altra parte, una sua presenza eccessiva potrebbe renderlo troppo grasso, e diluirne oltremisura gli aromi (è la sensazione che a mio parere si ha, per esempio, degustando alcune delle tavolette del francese Bonnat). Il burro di cacao viene ottenuto dalla pasta di cacao tramite la spremitura, effettuata da un macchinario ad alta pressione che separa la parte grassa del cacao da quella secca. I grassi che compongono il burro di cacao sono per 2/3 saturi (acido stearico e acido palmitico) e per 1/3 insaturi (acido oleico); quando l’acido stearico (saturo) raggiunge il fegato viene desaturato e trasformato in acido oleico, per cui avremo alla fine 2/3 di grassi insaturi e 1/3 di saturi: si tratta quindi di un buon grasso a livello nutrizionale.

Zucchero. Per legge il cioccolato, per poter essere venduto come tale, deve contenere almeno l’1% di zucchero; è per questo che le tavolette 100% non riportano la scritta ‘cioccolato’, ma solamente ‘massa’ o ‘pasta’ di cacao. Può essere utilizzato lo zucchero a velo o quello di canna (quest’ultimo è forse preferibile, visto che proviene dallo stesso ecosistema del cacao), non il Mascobado perché troppo umido e altera il sapore. Sono da evitare assolutamente i dolcificanti (ciclamato, maltitolo, acesulfame, aspartame o altro) che altererebbero le caratteristiche del cioccolato intaccandone la qualità: raramente si usano dolcificanti con un cacao pregiato.

Vaniglia. Viene aggiunta per rendere più profumato ed aromatico il cioccolato. Si possono utilizzare i baccelli o un estratto da essi ricavato: in questi casi sull’etichetta si troverà scritto ‘vaniglia in bacche’ oppure ‘estratto di vaniglia’. Diverso è il caso della vanillina, che viene sintetizzata a partire da sostanze vegetali diverse dalla vaniglia, a volte persino dagli scarti della lavorazione del legname: è da evitare. La qualità migliore di vaniglia è probabilmente la Bourbon, proveniente dall’isola di Réunion nell’Oceano Indiano, seguita dalla Mananara del Madagascar e dalla Tahiti. Di solito le qualità migliori vengono indicate in etichetta.

Lecitina. È una sostanza naturale insapore, estratta dalla soia o dal rosso d’uovo, che viene aggiunta all’impasto come emulsionante: non deve essere demonizzata, in quanto facilita l’amalgama degli ingredienti durante la lavorazione, migliora la conservabilità del prodotto ed elimina le bolle d’aria. Grazie alla lecitina, la fase di concaggio può essere effettuata a temperature più basse, favorendo la preservazione degli aromi del cioccolato. In sua assenza, per ottenere gli stessi effetti, si aumenta a volte la dose di burro di cacao: con la lecitina si può quindi risparmiare sul burro di cacao. Poiché le coltivazioni di soia sono spesso OGM, parlando di lecitina non si può trascurare questo aspetto: alcuni produttori di cioccolato indicano in etichetta che la lecitina proviene da soia non OGM. Va d’altronde considerato che la sua presenza nell’impasto è minima, e si aggira attorno allo 0,3% del prodotto. I cioccolatai migliori sono in grado di produrre ottime tavolette senza lecitina, ma il costo del prodotto aumenta.

Cacao in polvere. È la parte secca del cacao, ottenuta dalla pasta di cacao tramite la spremitura, che la separa dalla parte grassa (il burro di cacao). Viene aggiunto per dare forza e intensità al cioccolato, ma ciò può renderlo troppo asciutto e poco equilibrato.
 Se la vostra tavoletta non contiene cacao in polvere, ma solo pasta di cacao, avrete una sicurezza in più.

Latte. Viene usato soprattutto quello in polvere. Considerato a lungo il parente povero del cioccolato fondente, vi sono oggi aziende che producono tavolette al latte di elevata qualità, con ottime materie prime: ne è un esempio la Slitti, pluripremiata azienda di Pistoia, che produce tavolette al latte con varie percentuali di cacao (fino al 70%).

Nocciole. Possono essere aggiunte al cioccolato intere o in pasta: nel primo caso avremo il cioccolato alle nocciole, nel secondo il gianduia e i gianduiotti. La qualità considerata migliore per il cioccolato, è la piemontese Tonda Gentile delle Langhe, seguita dall’avellinese Tonda di Giffoni. Rinomati produttori di gianduia sono ad esempio Guido Gobino, Peyrano, Silvio Bessone e Giordano.

Grassi vegetali. Una direttiva dell’Unione Europea in vigore dal 2003 consente di inserire grassi vegetali fino a un massimo del 5% del prodotto. L’olio di palma è il più usato, ma sono permessi anche il burro di illipé, il grasso o stearina di shorea robusta, il burro di karité, il burro di kokum e il grasso di nocciolo di mango. Essi hanno un costo nettamente inferiore al burro di cacao e ne migliorano la conservazione, ma compromettono le caratteristiche e il sapore del cioccolato rendendolo untuoso e poco piacevole al palato. Fortunatamente in Italia vengono utilizzati pochissimo, mentre è più facile trovarli nelle tavolette prodotte negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Poiché i grassi vegetali vengono usati in sostituzione del burro di cacao, che viene estratto dai semi, e ne diminuiscono quindi la domanda di mercato, un effetto collaterale della direttiva europea è stato quello di danneggiare gravemente quei Paesi, soprattutto africani (la Costa d’Avorio e il Ghana sono i maggiori produttori mondiali di cacao), le cui già precarie economie dipendono dall’esportazione di cacao.

Può contenere tracce di…. Poiché nel processo di produzione del cioccolato vengono usati macchinari che vengono impiegati per la lavorazione di diversi tipi di cioccolato, può capitare che frammenti di ingredienti di uno (per esempio nocciole) finiscano nell’impasto di un altro. Mentre questo non fa differenza dal punto di vista gustativo, può farla per il consumatore se è allergico a quell’ingrediente. Viene quindi riportata tale dicitura, sia come tutela legale da parte dell’azienda, sia come utile informazione per il consumatore.

Esaminati gli ingredienti principali, ci sono altre indicazioni molto utili che possono essere riportate sulla confezione. Vediamole insieme.

Percentuale. Sfatiamo il mito da finti intenditori secondo cui è migliore la tavoletta che contiene la più alta percentuale di cacao. Un cioccolato al 99 o 100% potrà piacere ad alcuni, perché ovviamente è anche questione di gusti, ma difficilmente sarà equilibrato e privo di difetti dal punto di vista dell’analisi sensoriale: avrà un forte aroma primario di cacao, ma con i tipici difetti di una massa troppo predominante (amarezza, astringenza, sensazioni tattili meno gradevoli e via dicendo). Tuttavia, molto dipende anche dalla varietà di cacao utilizzato: un Forastero al 100% darà sensazioni completamente diverse, e meno piacevoli, di un Criollo al 100%, che dal punto di vista aromatico è molto più ricco e appagante. Secondo il mio parere, una percentuale equilibrata varia tra il 65 e l’85%: al di sotto, il cioccolato rischia di essere troppo dolce e poco complesso aromaticamente; al di sopra, può diventare troppo amaro e astringente.
Per legge è obbligatorio indicare la percentuale in etichetta, ma bisogna fare attenzione, perché con tale parametro si intende la somma di ‘pasta di cacao’ + ‘burro di cacao’: perciò, se sulla confezione è scritto 70%, ciò potrebbe dire che vi è un 70% di massa di cacao, così come un 60% di massa e un 10% di burro di cacao aggiunto (oltre a quello naturalmente presente nelle fave).

Origine. Come per la questione delle varietà di cacao, anche su quest’argomento ci sono molta confusione e pareri discordanti. Alcuni produttori indicano sulla confezione delle tavolette la provenienza del cacao, e ciò è vero soprattutto se si tratta di mono-origine o mono-varietà. Cominciamo col dire che se viene indicato genericamente solo il Paese di provenienza, per esempio l’Ecuador, ciò non ci dà informazioni precise sulla qualità del cacao: infatti in Ecuador ci possono essere piantagioni più o meno buone, che producono una qualità di cacao più o meno pregiata, e con questa sola indicazione noi non sappiamo con precisione di quali cacao si tratti. Più utile è l’informazione sulla varietà di cacao utilizzata, perché questo, come abbiamo visto nel precedente articolo, è un parametro molto importante per valutare la qualità della tavoletta. Spesso si tratta di blend, cioè di tavolette composte da una miscela di varietà diverse di cacao, ma non mancano le mono-varietà, e quando questo accade, siamo di solito in presenza di una tavoletta di buon pregio.
Molta confusione può tuttavia nascere quando uno stesso termine viene usato per indicare sia una varietà di cacao, sia una località geografica. ‘Chuao‘, per esempio, può riferirsi sia ad una varietà di Criollo, sia alla località del Venezuela da cui tale rinomata varietà proviene – località in cui però si contano circa 36 varietà diverse di cacao, tra le quali svariati Trinitario e Forastero. Capita così che alcuni cioccolatieri sfruttino quest’ambiguità e scrivano ‘Chuao’ sulla confezione delle loro tavolette, facendolo passare per un Criollo laddove trattasi invece di cacao proveniente sì da Chuao, ma di qualità ben diversa e sicuramente inferiore ad un Criollo. In questi casi bisogna sempre fare bene attenzione acché il termine designi la specifica varietà di cacao, e non una generica area geografica. Un’ulteriore curiosa fonte di confusione può prodursi quando i contadini dei paesi coltivatori usano talune denominazioni con un’accezione diversa dalla nostra: in Perù, ad esempio, i coltivatori di cacao usano il termine ‘Criollo’ per riferirsi a tutte le varietà antiche di cacao, alcune delle quali non sono Criollo; perciò può accadere che un produttore creda di comprare e lavorare delle fave di Criollo, e le definisca in etichetta come tali, quando invece si ha a che fare con qualcosa di diverso. In questi casi c’è solo da sperare nella competenza e nell’affidabilità del cioccolatiere…
Sempre più spesso poi si realizzano oggi tavolette con cioccolato proveniente da una singola piantagione (mono-piantagione) o addirittura millesimate secondo l’anno di produzione (ad esempio l’eccellente Ampamakia della Valrhona), nella convinzione che il terroir, cioè le condizioni di microclima e terreno in cui cresce l’albero di cacao, e l’annata di produzione possano influire sulla qualità del cacao. Alcuni addetti ai lavori, per esempio Gianluca Franzoni, fondatore della Domori, sostengono che questa convinzione sia infondata, perché a contare sarebbero soltanto la varietà genetica di cacao e il processo di coltivazione e lavorazione; ma un importante progetto finanziato dall’International Cocoa Organization (ICCO) dimostrerebbe al contrario il forte impatto che l’ambiente ha sull’aroma di cacao geneticamente identici, ma cresciuti in zone geografiche differenti. Possiamo quindi azzardare che anche il terroir abbia la sua importanza, e che possa essere corretta l’applicazione del termine cru, mutuato dal mondo enologico, anche al cioccolato, per definire le tavolette mono-piantagione o mono-varietà. In conclusione, dobbiamo fare molta attenzione alle indicazioni riguardanti l’origine del cacao riportate sulla confezione: sono molto utili, ma a volte esse rispondono perlopiù ad esigenze di marketing dei produttori, che vi ricorrono per distinguere e dare una patina di esclusività ai loro prodotti.

Raw o crudo. È ormai frequente vedere sugli scaffali tavolette cosiddette ‘raw’ o ‘crude’, nate per assecondare e sfuttare la crescente popolarità della dieta crudista. Nel caso del cioccolato, tuttavia, il termine non ha un significato univoco, non esistendo in materia standard di lavorazione specifici che permettano di applicarlo in maniera precisa: a volte esso viene impiegato quando il cacao viene tostato a temperature inferiori a quelle consuete (sotto i 50°), altre quando la tostatura non viene affatto praticata. C’è però un problema: durante alcune fasi della lavorazione del cacao, come la fermentazione, l’essiccazione, la raffinazione, il concaggio, si possono raggiungere temperature molto elevate e difficilmente controllabili, per cui molto spesso è dubbio che il cacao sia davvero crudo come indicato sulla confezione. Al di là di tutto, il cacao necessita di un’adeguata tostatura per sviluppare appieno il suo potenziale aromatico, per cui una tavoletta raw corre più facilmente il rischio di avere un sapore poco ricco, o acido, o astringente: per questo si tratta spesso di tavolette aromatizzate, con aggiunta di burro e polvere di cacao per correggerne l’aroma. Non mancano d’altra parte neanche in questo ambito degli ottimi prodotti, come quelli della pluripremiata Pacari.

Equo e solidale. Meritano sicuramente un accenno le tavolette del circuito equo e solidale che, sebbene siano raramente di alto livello da un punto di vista qualitativo, ci permettono di fare alcune importanti considerazioni sulle condizioni di lavoro dei coltivatori di cacao. Di tutto il valore creato dalla filiera del cioccolato, questi ultimi ne sono infatti i minori beneficiari, perché il grosso dei guadagni finisce nelle tasche di commercianti, grossisti e intermediari dei Paesi occidentali. Nonostante i bassissimi salari, i lavoratori nelle piantagioni sono talvolta esposti a molti rischi: uso di fertilizzanti e pesticidi senza protezioni, con vere e proprie epidemie di malattie legate all’impiego incontrollato di sostanze chimiche, lunghi orari lavorativi, mancanza di cibo, acqua e alloggio adeguato, discriminazioni etniche e di genere. Inoltre, per abbassare ulteriormente i costi di manodopera, alcuni Paesi fanno un largo utilizzo di lavoro minorile: si stima che nella sola Costa d’Avorio vi siano circa 200.000 bambini con meno di 15 anni impiegati nelle piantagioni, di cui 12.000 sono vittime di tratta di esseri umani e schiavitù. Appare quindi lodevole l’intento del commercio equo e solidale, di remunerare adeguatamente e vigilare sulle condizioni lavorative dei coltivatori di cacao. Del resto va detto che anche al di fuori di questo circuito, non mancano le aziende che si premurano di garantire adeguati standard di lavoro ai contadini: anche per questo è importante avere il controllo su tutta la filiera produttiva (le marche sotto citate in genere possono dare questa sicurezza).

Premi. Esistono diverse associazioni e competizioni, con giurie composte da esperti degustatori, che si occupano di riconoscere, promuovere e premiare il cioccolato di alta qualità. Tra le più importanti vi sono gli International Chocolate Awards, la London Academy of Chocolate e, in Italia, la Compagnia del Cioccolato. Di solito, le tavolette che ottengono dei premi da queste associazioni non mancano di riportare tale informazione sulla confezione. Può essere utile dare un’occhiata alle liste delle tavolette premiate di anno in anno, per farsi un’idea dei migliori prodotti in circolazione.

Ecco infine una lista orientativa di alcuni tra i migliori cioccolatieri del mondo, suddivisi per nazione.


Italia: Domori, Amedei, Claudio Corallo, De Bondt, Gardini, Giraudi, Guido Gobino, Guido Castagna, Slitti, C-Amaro, Maglio, Silvio Bessone.

Francia e Belgio: Pierre Marcolini, Michel Cluizel, Valrhona, Erithaj, Bonnat Chocolatier, François Pralus, Jean-Paul Hévin, Patrick Roger, La Maison du Chocolat, Pierre Hermé, Alain Ducasse.

Danimarca: Friis Holm.

Regno Unito: Akesson’s, Damian Allsop.

Stati Uniti: Amano, William Dean.

Austria: Zotter.

Ecuador: Pacari.

Vietnam: Marou.

Adesso abbiamo tutti gli strumenti per scegliere consapevolmente la nostra tavoletta di cioccolato: sappiamo quali sono le varietà di cacao migliori, come deve essere coltivato e lavorato, come leggere e interpretare ciò che viene scritto sull’etichetta e la confezione, e conosciamo alcune tra le marche più rinomate. Non ci resta che fiondarci nella cioccolateria più vicina e… farne incetta!

Bibliografia
1. D.A. Sukha e D.R. Butler, “Trends in Flavour Profiles of the Common Clones for the CFC/ICCO/INIAP Flavour Project”, Annual Report 2005 (St. Augustine, Trinidad and Tobago: Cocoa Research Unit (CRU), University of the West Indies, 2005), 55-61.
2. D.A. Sukha et al., “The CFC/ICCO/INIAP Cocoa Project to Establish the Physical, Chemical and Organoleptic Parameters to Differentiate Between Fine and Bulk Cocoa Some Highlights Form the Organoleptic Component”, disponibile in pdf qui.
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4. B. Nesto, “Discovering Terroir in the World of Chocolate”, disponibile in pdf qui.
5. R. Caraceni, “La degustazione del cioccolato: degustazione – valutazione – analisi organolettica”, Hoepli, 2010.
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6. Baresani (a cura di), “Alla ricerca del cacao perduto”, Gribaudo, 2011.
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